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Danza ai bordi del mondo

Creato il 01 ottobre 2011 da Antonio
"The bum's as holy as the seraphim! the madman is
      holy as you my soul are holy!
"
Da: Allen Ginsberg, Howl (Urlo), 1955.
"Il barbone è santo come il serafino! il pazzo è 
     santo come tu mia anima sei santa!"
Danza ai bordi del mondo
Vi presento il contributo di Fabrizio al tarantismo. Io e Fabrizio condividiamo la stessa età e lo stesso paese di origine, Melissano in provincia di Lecce, e naturalmente condividiamo anche tante piacevoli chiacchierate quando in estate lui torna da Londra e io da Roma per le vacanze. Ho scritto di lui in questo post a proposito di una performance che ha tenuto due estati fa a Taviano, un paese vicino a Melissano. Il saggio di Fabrizio, scritto in inglese, fa parte di un testo dedicato alla coreutica ed al legame tra danza e follia.
Il tarantismo era considerato una malattia provocata dal morso della tarantola (Lycosa tarentula), un ragno innocuo per la verità ma che nel Salento assume la valenza simbolica del pericolo in agguato tra i campi di lavoro. Il morso del ragno avveniva soprattutto nei mesi estivi, nel periodo della mietitura del grano e della raccolta del tabacco, e spesso tornava periodicamente a far sentire i suoi effetti nella stagione estiva, in una sorta di recidiva della memoria. Prediligeva mordere le donne la taranta, così si chiama la tarantola nel mio dialetto, più raramente gli uomini. Il morso della taranta provocava uno stato di malessere generale che si manifestava con palpitazioni, movimenti frenetici e apparentemente privi di coordinamento. Lo stato di malessere poteva essere curato solo attraverso la musica, la danza e i colori che concorrevano nella terapia. Ernesto De Martino, nel 1959, chiarì come il morso della taranta aveva il carattere di "istituto" e non di malattia, il morso e il ri-morso era elemento catalizzatore per risolvere traumi, frustrazioni, conflitti familiari, e vicende personali in un contesto socio-economico depresso. La taranta si inscrive così in orizzonte metastorico che "fa sì che quando nella storia il negativo assale l'esistenza, l'individuo non naufraga nella negatività sopraggiunta, perché sa che c'è un ordine superiore, un ordine metastorico - che la magia, la mitologia e la religione si incaricano di descrivere - in cui questa negatività viene riassorbita e risolta" (Umberto Galimberti nella introduzione a Sud e Magia di E. De Martino, Feltrinelli, 2003). Consiglio vivamente la visione di questo video del 1962 che accompagnava La terra del rimorso di De Martino.
Oggi il tarantismo che descriveva De Martino, in La terra del rimorso, è scomparso ma, fortunatamente, non è scomparsa l'aioresis ermeneutica intorno a questo fenomeno della mia terra. La lettura storicistica di De Martino viene oggi messa in discussione da una lettura di ordine mitologico che vede nel mito di Dioniso l'origine del tarantismo (qualche riferimento bibliografico lo trovate nel mio commento a questo post). Non è mia intenzione dilungarmi su questa diatriba, forse lo farò successivamente.
Fabrizio mette in guardia da una visione dualistica campagna/città, progresso/regresso, tracciando così una distanza dall'approccio di De Martino, ma il fermo richiamo alla durezza della vita contadina ed alla dimensione simbolica della taranta che Fabrizio fa nel suo saggio rende giustizia ad una tradizione continuamente violentata tra romanticismi dionisiaci (dove si confondono sentimentalismi arcadici e manifestazioni orgiastiche selvagge) e notti di musica a base di hot dog e coca-cola (una volta si diceva servule e vino ma evidentemente i tempi cambiano!) davanti all'ex convento degli agostiniani di Melpignano. Riguardo l'atteggiamento romantico Fabrizio dice: "L'inzuccheramento sentimentale, e per certi versi reazionario, che anela ad un mondo "autentico" e bucolico è quello di soggetti che non hanno avuto diretta esperienza di vita contadina, e che l'hanno romanticizzata", affermazione che condivido in pieno aggiungendo che in alcuni casi "l'inzuccheramento sentimentale" altro non è che una manifestazione di rifiuto inconscio della parte meno digeribile della vita contadina. Invece per quanto riguarda le notti di musica dico che è apprezzabile la diffusione che ultimamente ha avuto la musica della taranta, ma è  molto poco apprezzabile che persino i giovani delle mie parti conoscano soltanto l'aspetto folkloristico e musicale della taranta e ne ignorino completamente i profondi significati antropologici e storici.
Basta così, chiudo dicendo un'ultima cosa. Quando il saggio era in preparazione Fabrizio mi aveva anticipato che avrebbe aperto con la Mmela paccia, il suo nome era Carmela, contratto in Mmela e l'appellativo significa pazza. Mmela è una figura topica della mia infanzia, appartenente ad una dimensione quasi mitologica che alcuni direbbero non esserci più. E' merito di Fabrizio aver rievocato quella figura dalla mia memoria. Mmela è morta da tanto tempo ma qualcuno, nelle calde notti salentine di fine giugno, è sicuro di sentire chiaramente sbattere i suoi piedi per terra, quando la sua folle danza continua a tracciare, con esasperante precisione, il confine degli abissi ai cui bordi tutti camminiamo senza curarci della vertigine.

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