Ma nello stesso tempo ci si avvicina con inquietudine.
Avrò capito la sua essenza? Saprò rendere a parole una vita che esula da ogni concetto?
Sono queste le domande che mi sono posto dopo aver scelto di voler parlare di un nuovo personaggio. Di una donna, come spesso accade in questi ritratti che vi offro.
Daphne è già un nome che ha di per sé un sapore mitologico, fantasioso. Una ninfa, uno spiritello, una musa dello stravagante.
Posto vicino al cognome Guinness, fondatore di quella birra da pub irlandese consumato su tavolacci di legno con noccioline o pistacchi, diventa Daphne Guinness, colei che di tutto ha un bel po’.
Eleganza, fantasia e pazzia, charme e genio.
Ingredienti che hanno esaltato quel germe chiamato “moda” nato e cresciuto con l’età.
È l’età infatti che ha consacrato questo interesse in passione, e non in una passione qualunque, ma in quella di un puntiglioso e indagatore collezionista.
Si possono collezionare monete, francobolli, fumetti o semplicemente vestiti.
Perché nessuno parla di questo genere di collezionismo? Forse perché gli abiti servono, li usiamo quotidianamente per rispondere al mondo su cosa siamo e su cosa vorremmo essere, mentre i francobolli o le cartoline rimangono attimi intrappolati in pesanti faldoni.
Il matrimonio con Niarchos che le hanno concesso lusso e benessere, fa parte di un periodo della sua vita che ha soprannominato “uovo di fabergè”, un’allusione a quella ricchezza sognata, illustre ma pur sempre una gabbia dorata.
In quegli anni la passione viscerale per la moda è rinata e si è trasformata.
Quel collezionismo seriale ma non ostentato con cui si avvicina all’abito vintage o alla borsa di un noto stilista, diventa sempre più fondamentale nella sua ricerca estetica.
I gioielli, le piume e i cappelli sono una sua firma, un’estensione dell’io, della sua voglia di apparire mostrando per l’abito che ha una sua essenza, un suo potere seduttivo.
Daphne Guinness è una donna camaleontica, può passare da un abito semplice di flanella grigio alle scarpe Armadillo di Mc Queen lasciando senza fiato proclamatori del fashion e stilisti.
Perché quello che per qualcuno è solo moda per lei è gusto, eccentricità.
Non è la solita fashion icon, la solita ricca annoiata capace di buttarsi addosso il primo abito firmato per pubblicità o per comparire su qualche rivista, al contrario lei la moda l’analizza e l’assimila come si fa con l’arte o la letteratura.
Riesce a reinterpretare l’abito che indossa senza banalizzarlo.
Non a caso è stata ingaggiata come fashion editor dall’amica Isabella Blow che ha fatto del copricapo un alter ego, un punto di forza, un accessorio sempre più audace.
Collabora con stilisti emergenti, finanzia e produce pellicole cinematografiche, si occupa di design e non perde di vista gli affetti e la buona lettura. Tra giornali di moda, quotidiani e numerose tazze di tè, le sue giornate non dimenticano la musica, l’Opera e l’arte.
Da bambina trascorreva le vacanze a Cadaques, splendida località in Spagna dove conobbe Richard Hamilton, Dalì, Duchamp e Man Ray che se fosse ancora vivo l’avrebbe sicuramente celebrata come fece con la Marchesa Luisa Casati.
Non mi piace la parola icona. Un’icona è qualcosa di immobile, posta su una parete, compiaciuta e compianta.
Daphne Guinness invece è il ritratto dinamico di una donna contemporanea.
Mai uguale a se stessa, mai stufa di disincantare la sua immagine.
Più che icona, Musa.
Lorenzo Bises