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David Bowie – Stage (1978)

Creato il 24 settembre 2013 da The Book Of Saturday

stage

Nel 1978, per la seconda volta, la RCA Records decide di pubblicare un disco live di David Bowie. Appena uscito, Stage divide subito critica e pubblico. C’è chi pensa sia l’ennesima operazione commerciale e polemizza con Bowie perché «non c’è niente di nuovo, nemmeno nell’interpretazione dal vivo». C’è chi invece apprezza un album dal vivo con tutto il Bowie post Ziggy, Heroes, Station to Station e Low.

STORIA. Le registrazioni riguardavano i concerti americani del Duca Bianco a Philadelphia, Providence e Boston. A supportare Bowie, il team classico formato da Carlos Alomar, Dennis Davis e George Murray, ma ad arricchire tale connubio, anche una serie di session man di straordinaria bravuta: Simon House degli Hawkwind al violino elettrico, alle tastiere Roger Powell (meglio conosciuto per alcuni suoi lavori con Todd Rundgren), Sean Mayes al pianoforte.

IMPORTANZA. A supportare Bowie, anche un’ensemble di archi e cori che rendeva un concerto di David Bowie dell’epoca, uno spettacolo di magnificenza fuori dall’ordinario. È quel quid che a fine anni ’70 poteva giustificare l’uscita di un secondo disco live, soltanto 4 anni dopo la pubblicazione di David Live. Per il resto, Stage servirà soltanto a dividere l’opinione pubblica, uno spartiacque tra il capolavoro di Heroes e il successivo Lodger.

SENSAZIONI. Al di la delle varie riedizioni (ma perché le etichette si divertono così tanto a stravolgere l’ordine delle tracce?), il punto di più alta tensione Stage lo raggiunge all’arrivo dei brani di Heroes, dove Powell cerca di emulare (fa quel che può…) le tastiere e i sintetizzatori di Brian Eno.

DA NOTARE. Sono atmosfere ovattate, di una Germania divisa e devastata dalla sonnolenza e l’isolamento della Guerra Fredda. Un gran contributo, lo fornisce il grande Adrian Belew, che David Bowie vide in un concerto tedesco al seguito di Frank Zappa. Il Duca chiese a quest’ultimo se glielo prestava e così Belew accompagnò per tutto il tour David Bowie. Da assaporare, con quei vorticosi giochi armonici che rendono la chitarra di Adrian Belew una delle più inconfondibili del panorama rock-fusion degli anni ’70-’80.



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