Quando inizia una storia?
Una versione dominante degli inizi vige anche in Italia, per quanto riguarda le zone di confine con le attuali Slovenia e Croazia. In questa narrazione, l’inizio dei tempi è il settembre 1943. Niente esiste prima di quella data, come se quelle terre fossero sorte all’improvviso dal Mar Adriatico e su di esse si fosse scatenata la brutalità della guerra. Brutalità che sta naturalmente tutta dalla parte delle allora forze Jugoslave, che avrebbero perseguitato e massacrato i buoni e pacifici italiani che lì vivevano. Persecuzione senza ragione, senza movente, senza giustificazione.
L’obiettivo di questa narrazione è costruire una memoria di comodo, che sostituisca la storia.
Come nelle brutte storie di famiglia i bambini sono gli ultimi a sapere, così la storia antecedente l’8 settembre 1943 di quel territorio è stata rimossa, oltre che dal discorso pubblico italiano, dalla storia studiata alla scuola dell’obbligo.
Non solo: su quella vicenda di violenza si sono fondate campagne d’odio, ormai inutili come tassello di politica estera, ma considerate strumento di costruzione del consenso per molte formazioni del centro destra e della destra italiana. Così, mentre la pubblicazione di memoriali e inchieste sulla persecuzione e sull’espulsione degli italiani dai territori di confine hanno trovato la giusta risonanza, quelle che raccontano gli anni fra il 1919 e il 1943 dal punto di vista delle popolazioni slave hanno goduto, fino a questi anni, di fortuna decisamente minore. Si pensi solo che il romanzo Necropoli di Boris Pahor [1] ha atteso quaranta (40!) anni per essere pubblicato in Italia da una delle nostre maggiori case editrici.
Ma che cosa abbiamo da nascondere?
Molte cose.
Questo volume di Toffolo ne mostra una.
Internavamo civili in campi di concentramento, li massacravamo di lavoro e li lasciavamo morire di fatica e fame. La loro colpa? Non essere italiani. Oggi la chiamiamo pulizia etnica. Che, quando è organizzata e si realizza nell’uccisione di tutti gli elementi sgraditi, diventa genocidio. Questo era il progetto italiano per quei territori. Le parole d’ordine erano “Fascistizzazione” e “Italianizzazione” e sono spiegate crudamente nei capitoli Il Millepiedi (Giudita: “Ma tu hai capito che cosa vogliono da noi?”. Drago: “Vogliono che diventiamo come loro. […] Gli italiani sono diavoli“) e “La Mosca“, dove in forma di incubo Drago sogna la fame, la deportazione, lo sterminio e l’occupazione.
In quei campi c’erano bambini.
Noi uccidevamo quei bambini.
Dopo aver ucciso i loro padri, le loro madri. Dopo aver distrutto le loro case, i loro villaggi [2] .
Che cosa possono fare i bambini in un campo di sterminio? Come possono sopravvivere?
Toffolo sceglie di raccontare la storia di due bambini che sopravvivono al campo. E sceglie di raccontarla con il linguaggio delle strisce. In questo modo si svincola programmaticamente dalla necessità di una trama e può illuminare momenti ed emozioni. E può giocare con il ritmo della lettura: la struttura in due vignette, apertura e immediata chiusura, comunica un senso di spazi ristretti, di impossibilità di manovra per cercare punti di contatto. La ripetizione di questa unità e delle situazioni riesce a rendere l’ossessione con cui Giudita cerca un contatto con Drago. Ricerca ossessiva, perché Giudita sa che l’isolamento uccide, che deve aggrapparsi a qualcuno. Le piccole variazioni delle posizioni dei due bambini raccontano l’evoluzione della loro amicizia, prima ancora delle parole.
Abbiamo parlato di: Riferimenti: Note:
È un racconto morale, composto con minuta sapienza tecnica e mai didascalico. La dedica “Alla gente Rom, perseguitata oggi in Europa”, ricorda che i nomi dei protagonisti possono cambiare nel tempo e nello spazio, ma la malattia è sempre la stessa.
Da leggere e far leggere.
L’inverno d’Italia
Davide Toffolo
Coconino Press – Fandango, 2010
149 pagine, brossura, bianco e nero – 14,00 €
ISBN: 978-8876181726
Coconino Press: www.coconinopress.it
Davide Toffolo: eltofo.blogspot.com
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