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De-essing check

Da Paride

Butta il mestolo e succhia il mio punch, troppe lingue assaporano le mie dita, come su un piano fanno scale, viaggiano in skate oppure in mono e non volano. Da una nuvola all’altra tramite ponte levatoio l’avvoltoio non mi calcola e vola. Di schiena mentre si lava plana verso il castello in aria e si gratta. Non atterra, sospeso pranza e banchetta, alletta la corte da finto menestrello, spiega valori e valute, lui è un buon avvoltoio si dicono in tante, mentre riprendono a mangiare, mentre riprende il volo nella notte. L’avvoltoio sogna biondi ricci, va e viene nel sonno, nel volo, nel cielo aspro del suo regno, finché non è giorno. Il suo regno trae sostegno dal didentro, fermo su estensioni aerobiche in danza; un fiammifero fiero del suo ego non avrebbe tempo di diffondere il suo effetto, brucerebbe troppo presto. Attraccandosi con rabbia a un lembo del suo vedo, il rapace fissa l’estremo del suo centro e vi parla. A cospetto di stupidi cerini, nebulizzando invidia mista a bolo alimenta l’odio mentendo sull’assenza di alcol. Pichi sfasati verso l’alto deglutiscono l’alito del finto falco e riflettono, riaccendono, illuminano nell’attimo il tempo del gran capo.

Seguendo moti parabolici infetti da qualunquismo precoce, lapilli sostituiti a proiettili muoiono impattandosi sulla polvere pirica che sporca il mio dorso. Destandomi attendo che rientri in circolo la riscrivibilità dell’inconscio e pompando disattenzione dalla memoria, scarica da ore, dreno la banalità superficiale del distante per incrinare le labbra liete fra le guance inamidate. Altro mi sfugge, l’annuncio della fine è coperto dal rumore dell’acqua che scorre tiepida sulle dita; le mie dita che preferiscono raschiare cibo dai piatti, insaponare forchette, lucidare cristalli.


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