De Mauro: “La Buona Scuola? Da bocciare. E non chiamatela riforma…”

Creato il 13 maggio 2015 da Pedagogika2
intervista a Tullio De Mauro di Giacomo Russo Spena
La sua voce è pacata. Il giudizio è fermo: “Il provvedimento va ritirato”. Tullio De Mauro ragiona senza ideologismi, argomenta e analizza i dati. Illustre italianista, storico docente universitario di Linguistica alla Sapienza di Roma e, per un brevissimo periodo, ministro dell’Istruzione ha le idee chiare sulla buona scuola: “Non è una riforma, nel ddl manca un quadro complessivo di riassetto del sistema scolastico”. Una bocciatura, netta, per il governo Renzi.
Professore, entriamo subito nel merito del disegno di legge. Quali aspetti non la convincono?
Dal potere incontrollato dei presidi al ruolo semplicemente consultivo del collegio dei docenti, fino all’assurdo sistema di finanziamento. Il meccanismo del 5 per mille non agevolerà l’autonomia scolastica ma la diseguaglianza: si amplierà la divaricazione economica tra le scuole creando quelle di serie A e quelle di serie B. Nelle zone benestanti giungerà al plesso scolastico un importo maggiore rispetto alle strutture poste in zone disagiate e povere del Paese. Infine, la questione della stabilizzazione degli insegnanti precari come intimato da una sentenza europea. Nel ddl i numeri sono avvolti nell’oscurità, rischiamo di attuare soltanto 100mila assunzioni. E per gli altri?
È giusto utilizzare il termine “riforma” per la buona scuola della ministra Stefania Giannini?
Lo affermava lo stesso premier Renzi, mesi fa. Non considerava il provvedimento una riforma strutturale mentre nella versione definitiva del testo si è palesato, impropriamente, il termine. Il vero dilemma della buona scuola non è rappresentato dalle misure sbagliate, quanto dalle gravi manchevolezze: è assente un quadro complessivo di riassetto e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione. Siamo lontanissimi. E il Paese ne aveva invece bisogno per riagganciare la scuola ai valori della Costituzione vigente.
Su questo punto lei insiste da anni. Rispetto ai valori della nostra Carta quanto è stato stravolto il concetto di istruzione pubblica?
I nostri padri costituenti - penso a personaggi del calibro di Piero Calamandrei - avevano ipotizzato la scuola come un organo costituzionale al pari di magistratura, parlamento e governo. Un organo costituzionale in regime di autonomia e con il compito basilare di garantire ad ogni cittadino almeno 8 anni di istruzione pubblica e gratuita. Senza distinzioni e discriminazioni. La sinistra, storicamente, ha manifestato e manifesta per rivendicare il diritto allo studio dimenticandosi che nella nostra Carta – più che il diritto – è sancito il principio, ancor più fondamentale, del dovere della Repubblica a fornire un sistema scolastico con obiettivi e modalità di insegnamento. Nella buona scuola non c’è traccia di questi elementi.
Negli ultimi vent’anni l’istruzione pubblica ha subito pesanti tagli, da governi di centrodestra e centrosinistra. Quanto ha influito ciò nella distruzione del nostro sistema scolastico?
Dobbiamo sgombrare il campo da equivoci. Nel Paese manca un'effettiva consapevolezza: i tagli draconiani hanno influito, e si sono sentiti, ma l’offerta scolastica italiana rimane ancor oggi un’eccellenza, tra le più quotate al mondo. Mi spiego. Nonostante le minori risorse stanziate, le scelte punitive nei confronti degli insegnanti e i vari provvedimenti nefasti e peggiorativi, la scuola italiana - così com’è - ha funzionato complessivamente bene in questi anni. Non abbiamo memoria storica: cinquant’anni fa, due terzi della nostra popolazione non era scolarizzata, rispetto ad allora abbiamo fatto passi da gigante. Come attestano i dati internazionali sull’istruzione, in alcuni livelli - materna, elementari, media inferiore – i nostri alunni sono tra i migliori al mondo come competenze e capacità didattiche.
In qualche modo si può sopperire ai tagli draconiani, quindi?
Ovviamente servono più soldi per la scuola e i governi stanno tagliando troppo su un settore strategico per il Paese, ma è preliminare un discorso su cosa e in che modo insegniamo.
Ha parlato di eccellenza nei livelli di materna, elementari, media inferiore… e le superiori?
È il nostro tallone di Achille: è il segmento peggiore. Dopo il biennio, diventato finalmente d’obbligo, dai tempi della riforma Gentile in poi, non si è mai intervenuti per ripensare contenuti, metodi e impianti di insegnamento. Così sono in aumento fenomeni di disaffezione e abbandono tra studenti, soprattutto maschi, e si sono abbassati i livelli di capacità culturale. Il governo Renzi, lo ribadisco, non si è occupato dei problemi reali della scuola, pensando agli aspetti secondari, in altri Paesi invece si sta intervenendo per una riorganizzazione completa dell’istruzione.
Se fosse, oggi, ministro dell’Istruzione oltre ad intervenire sul riassetto di contenuti e metodi di insegnamento e a riaffermare i valori della nostra Costituzione, quali altri vulnus colmerebbe?
Nel ddl governativo manca il fenomeno della dealfabetizzazione della popolazione adulta italiana, ovvero l’“analfabetismo di ritorno”. La perdita delle capacità alfabetiche generali che la scuola pubblica garantisce ad ogni alunno in termini di conoscenza e competenza. In Europa tra i Paesi ricchi, dietro di noi, c’è solo la Spagna. I numeri sono preoccupanti: l’80 per cento della popolazione adulta ha problemi di comprensione di un articolo di giornale e ha competenze minime per orientarsi nella vita di una società contemporanea. Concluso il ciclo scolastico, a 18 anni, si affievoliscono le sollecitazioni a tenersi informati, a partecipare effettivamente alla vita pubblica e a sviluppare capacità di comprensione. Tra le cause principali, senz’altro, il modus vivendi di una società consumista dove primeggiano altri valori. Tale problematica, di immane proporzioni, pesa non solo sulla vita sociale, politica, elettorale del Paese ma – dati alla mano – pesa direttamente anche sull’andamento scolastico dei figli.
Nel testo del governo in effetti non si tenta di risolvere nemmeno il problema della diseguaglianza, eppure la scuola italiana è la più diseguale d'Europa, quella in cui i rendimenti scolastici dipendono più che in ogni altro Paese dalle condizioni socioeconomiche della famiglia…
Un silenzio tombale, la disattenzione più completa. Come già detto, l’80 per cento di analfabetismo di ritorno si riflette sui figli e, se elementari e medie inferiori - nei primi anni di apprendimento - tamponano il gap, man mano che crescono le richieste e gli obiettivi della formazione, le scuole non riescono a fronteggiare la problematica. È urgente un provvedimento sull’educazione permanente e ricorrente degli adulti. Il Paese ne avrebbe bisogno.
Intanto lo scorso 5 maggio sindacati, insegnanti e studenti sono scesi in piazza contro il ddl del governo. Cosa pensa di quella giornata?
Lo sciopero è riuscito perfettamente e il dato più significativo è l’unitarietà tra i vari soggetti: la protesta ha messo d’accordo l’intero mondo della scuola. In questi anni ho discusso varie volte con Giorgio Israel, un amico e attento studioso. Aveva sentito le mie dichiarazioni sulla buona scuola e mi ha confessato di essere d’accordo parola per parola: è un indizio biografico per attestare come persone solitamente distanti nel modo di pensare si ritrovino oggi concordi nel rifiuto di questa legge.
Il governo farà marcia indietro?
Renzi ha risposto in maniera ambigua da un lato dicendosi pronto al dialogo e ad ascoltare le ragioni della piazza, dall’altro facendo intendere che il governo proseguirà comunque il proprio iter fino all’approvazione della buona scuola. E sbaglia perché il provvedimento andrebbe ritirato. Tra l’altro i tempi parlamentari sono strettissimi e sarebbe un grave errore porre la fiducia.
La fiducia verrebbe giustificata dall’urgenza di stabilizzare gli insegnanti precari, per non incorrere in sanzioni da parte dell’Europa…
Se veramente avevamo qualche velleità di assumere entro settembre… il provvedimento doveva già essere pronto. Ormai non ci sono i tempi tecnici, abbiamo sforato. Più ragionevole pensare di stabilizzare i precari entro dicembre. Da capire ancora modalità e numeri, anche su questo nel ddl regna il buio.
(11 maggio 2015)

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