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Dead Man Down – Il sapore della vendetta

Creato il 14 marzo 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Anno: 2013

Durata: 148’

Genere: Thriller/Azione

Nazionalità: USA

Regia: Niels Arden Oplev

Distribuzione: Lucky Red

Uscita: 14/03/ 2013

 

Niels Arden Oplev aveva già lasciato intendere chiaramente quale fosse il suo obiettivo con il suo lavoro più noto (almeno fino a questo nuovo film), Millennium-Uomini che odiano le donne. Un regista danese che sviluppa un thriller, parecchio cerebrale, di un autore svedese con uno stile che si rifà al cinema d’azione di stampo americano, sacrificando l’atmosfera lugubre a favore di qualche scena concitata e carica di ritmo. La risposta gli venne data qualche anno dopo da David Fincher, con la sua versione di Millennium-The girl with the dragon tattoo. America ed Europa si erano scambiati i ruoli, con Fincher che aveva colto gli aspetti più sensibili e tetri della trama, e Oplev che ne aveva riletto l’aspetto più classicamente d’effetto. Con Dead man down, Oplev gioca a carte scoperte. È americano in tutto e per tutto. Fuoco, fiamme, velocità, picchia duro, violenza spettacolare, sparatorie e altro. Il film difetta soprattutto nella sceneggiatura, troppo carica di coincidenze forzate che azzoppano la trama in termini di verosimiglianza, e faticano nel coinvolgere emotivamente lo spettatore. Succedono talmente tante cose “casuali” che il distacco fra i protagonisti e chi guarda è decisamente accentuato. In sé questo non è un difetto, perché altrimenti il cinema cesserebbe di esistere, ma in tutta la prima parte del film Oplev palesa l’intenzione di voler addentrare lo spettatore in una dimensione umana, reale, tramite il personaggio di Noomi Rapace. Sensibile, triste, la protagonista femminile riesce a toccare i tasti giusti per cogliere l’aspetto più malinconico della trama e farcene appropriare. Ma poi quest’intenzione del regista sembra perdersi, non è ben chiaro se volutamente o meno, ma c’è uno stacco netto nel modo di raccontare la storia. Per il resto, va segnalata la presenza di Isabelle Huppert, non eccessivamente fuori luogo, la bravura della suddetta Rapace, e il registro espressivo troppo monocorde di Colin Farrell. Oplev cerca di fare l’americano, ma non rinuncia per forza di cose al suo background europeo, e questo costituisce un limite. Limite in cui non è mai incappato, ad esempio, il suo connazionale Nicolas Winding Refn, che è riuscito a reinventare un modo europeo di intendere la violenza, trasformandola in cinema d’autore. In buona sostanza ritengo che Oplev abbia sacrificato un aspetto fondamentale: l’ironia. Nel realizzare questo film lui si è ispirato al cinema del Vecchio continente. Invece doveva ispirarsi a Die Hard. A tutta la saga di Die Hard. Si prende troppo sul serio, e non puoi farlo se vuoi che Colin Farrell faccia irruzione in una villa con un SUV. A volte sembra di guardare un film di Tarantino, ma senza l’ironia di Tarantino. Immaginate qualche scena piena di sangue e pallottole tratta da Kill Bill o Le iene o Pulp Fiction, ma senza la carica umoristica di questi film. Ne esce fuori una scena di violenza con il commissario Cattani della Piovra.

Riccardo Cammalleri

 


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