Si arriva ad un punto in cui anche la tua generazione diventa “gli adulti”, è il punto in cui inizi a “comandare”, a sentire la responsabilità, a pagare il mutuo per la casa al mare e a vedere la tua carriera non più in vertiginosa ascesa ma, nel migliore dei casi, in lenta progressione. E’ il punto in cui la tua generazione sarebbe dovuta diventarela generazione X, la generazione guida del proprio Paese.
Se le dinamiche socio economiche degli ultimi 20 anni in Italia avessero seguito il semplice, banale flusso di accadimenti, avvicendamenti, mutazioni manifestatesi nel resto del mondo, oggi , per esempio, mio fratello maggiore che al liceo mi passava i libri di storia stropicciati e i libri di religione immacolati, la persona a cui devo i miei continui 3 anni di ritardo rispetto alle mode visto che indossavo le sue maglie dismesse, quest’uomo insomma cresciuto con me appena un po’ prima di me, adesso sarebbe Presidente del Consiglio dei Ministri, oppure il capo dell’azienda per la quale lavoro, il presidente del Coni oppure anche solo il sindaco della mia città.
E invece mi ritrovo a 40 anni insieme a lui e ai nostri stagionati coetanei a piangere ancora degli amori del liceo, a discutere della cifra stilistica del primo Salvatores o dell’effetto che fa andare a vedere il Boss che canta a San Siro. E quando la discussione si fa impegnata sul serio si arriva perfino a scivolare sui danni per la democrazia nel caso in cui un media tycoon andasse al potere di nuovo e imponesse la sua legge non scritta sui processi di funzionamento della società del nostro Paese. Esattamente come facevo nel 1994 riferendomi sempre allo stesso tycoon che già all’epoca mi sembrava un arzillo vecchietto.
Questa è la triste storia di una nazione che da un lato sembra aver subito un processo di crioconservazione nelle facce, nei nomi, nelle popstar, nella classe dirigente e nei problemi irrisolti mentre dall’altro procede sul sentiero di degrado della morale pubblica, dell’incapacità di immaginare uno scopo nuovo, un obiettivo ambizioso, un percorso inconsueto e non banale da indicare a chi è nato e nascerà in questo millennio, una strada che possa dare senso alla capacità evolutiva di un Paese che, pur essendo giovanissimo nel consesso delle nazioni, pare aver lasciato irrimediabilmente alle spalle il suo tempo migliore.
E la colpa è tutta nostra, di questa generazione troppo giovane per rinunciare al cazzeggio e troppo vecchia per cazzeggiare con i ventenni-trentenni che nuotano brillantemente nel mare dell’occupazione variabile imposta dal mercato flessibile. Quarantenni troppo poco poveri per ribellarsi ai babyboomers che hanno sperperato le ricchezze dei padri senza costruire nulla al netto di quintalate di debiti, ostaggio di ultra cinquantenni che garantiscono, a noi solerti secondini di una società-prigione, la scomoda posizione di capetti sempre a disposizione del potere incartapecorito, senza avere mai il coraggio di urlare.
Noi qui, disposti a non attaccare la Bastiglia pur di non rischiare il modesto bonus che ci consentirà di acquistare l’ultimo gadget alla moda che non riusciremo ad usare perché lavoreremo 18 ore al giorno per chiudere le falle delle nostre squadre demotivate e sottopagate.
Noi qui turbati dagli sguardi sprezzanti di chi non baratta la propria libertà di pensiero e la propria dignità forse anche solo perché non c’è nulla che gli viene offerto in cambio, soli ormai a spingere i carri di una carovana governata da carrettieri vecchi, inadeguati e arroganti che non hanno alcuna idea sulla strada da percorrere ma risoluti a non cedere il timone neppure quando ormai è chiaro che il deserto ci circonda inesorabilmente.
Noi qui che dovremmo accettare di non essere più tanti attempati Holden Caulfield, dovremmo voltarci verso il burrone sul ciglio del campo di segale e guardare oltre l’orizzonte cercando un nuovo sentiero e iniziare a fare tutto questo urlando un secco e deciso BASTA.