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Declinare crescendo

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Domenica 13 gennaio 2013

CAMMINARSI DENTRO (440): Declinare crescendo

A quattro anni dal congedo dall’insegnamento attivo, mi ritrovo spesso a considerare ciò che resta dell’esperienza di Educatore. Il mio ultimo Preside ci tenne a dichiarare in pubblico che, se pure andiamo in pensione, non cessiamo di essere Insegnanti: abbiamo il diritto di chiamarci ancora Insegnanti. E’ uno status sociale che non si perde. Confesso che a me fa piacere verificare, quando esco di casa, l’atteggiamento deferente degli adulti che mi chiamano Professore. Sento che una parte grande del mio Sé è ‘depositata’ in quella parola. Anche nel Centro di ascolto mi chiamano “il professore”.
Ciò che resta, perciò, non è un ‘resto’, per il fatto che da ventitré anni a questa parte alla condizione di insegnante si è sovrapposta per me quella di educatore nel Centro di ascolto: conclusa l’esperienza di insegnamento, non ho cessato di sentirmi educatore.
Negli ultimi sei anni, poi, mi sono nati due nipotini che contribuiscono ad impedirmi di invecchiare inutilmente e precocemente. Ho da fare.

Il ‘tempo’ dell’Educazione, tuttavia, è cambiato: è tempo della relazione d’aiuto e tempo della relazione educativa in famiglia.
Rispetto al ruolo istituzionale imposto dalla Scuola, mi sento ‘in trincea’, impegnato in un tipo di ascolto più ricco e vario, che mi ripropone gli stessi problemi, senza Didattica: non ho ‘materie’ da insegnare; prevale l’Educazione sull’Istruzione. Se a scuola bisognava rivendicare il ruolo dell’educazione su quello della mera istruzione – formiamo i ragazzi, non ci limitiamo ad istruirli nella nostra disciplina -, adesso è solo formazione, a casa e nel Centro di ascolto.
La preoccupazione della crescita dei bambini di casa e dei ragazzi del Centro  è esclusiva: non ha bisogno di ‘aggiungersi’ ad altro. Sento più nitidamente il valore e il  ’peso’ della relazione umana: sono esposto, ne va di me, della mia natura, del mio carattere, delle mie inclinazioni, delle mie capacità relazionali; prima ancora di attivare conoscenze e competenze, mi sembra decisivo quello che riesco a fare a partire da quello che sono, perciò parlo di capacità.
Mi trovo ad interrogarmi ancora su identità sessuale, individuazione, disagio, famiglia, progetti di vita. Sono tornato a studiare l’età evolutiva, la formazione del carattere, le scelte educative, la natura umana, la struttura della personalità, la persona… con lo sguardo rivolto ai nipotini e ai ragazzi-adulti affetti da tossicomania. Non sono, però, il semplice ‘prolungamento’ dell’insegnante di un tempo, anche se quella relazione educativa resta sullo sfondo, come termine di confronto continuo.

Paolo Poli ha dichiarato recentemente, alludendo alla sua età, che si sente più libero, perché non lo guarda nessuno quando esce di casa. E’ importante trovare modi di convivenza accettabili con adulti privi di pregiudizi, perché dai giovani non può venire niente: non possono comprendere cosa significhi avere 64 anni. Non sono molti, se paragonati alla condizione triste di chi ne abbia dieci o venti di più e nessuna voglia di vivere… Tuttavia, questi miei anni portano già il segno della vecchiaia, ancorché incipiente. Il tempo del silenzio, dell’esperienza delle mancate risposte è iniziato. Per questo, è meglio parlar d’altro.


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