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Decommissioning: il nucleare che piace all’Italia

Creato il 07 novembre 2014 da Valtercirillo

Il nucleare è la principale fonte di elettricità in Europa: nel 2013 ha coperto il 25% dell'energia generata secondo i dati Entso-e ( il network che gestisce il sistema di reti elettriche europee) grazie a 136 centrali in esercizio in 15 Paesi. Nel mondo sono 434 i reattori in esercizio e 72 sono in costruzione, di cui 29 in Cina, 10 in Russia, 6 in India, 5 in Usa, 5 nella Corea del Sud e 4 in Europa.

L'Italia ha deciso di rinunciare a questa tecnologia, di cui è stata antesignana, con i due referendum del 1987 e del 2011, preferendo dipendere da maggiori importazioni di petrolio e gas.

Tuttavia, pur rinunciando a ogni beneficio economico, occupazionale e produttivo della tecnologia nucleare, a ben vedere anche l'Italia non ha mai rinunciato all'energia nucleare. Che - per ragioni esclusivamente economiche - abbiamo continuato serenamente a importare da Francia, Svizzera e Slovenia in quantità variabili dal 12 al 14 % dei nostri consumi elettrici.

Ora si presenta una nuova opportunità in ambito nucleare che anche l'Italia è interessata a cogliere.

L'incognita del futuro nucleare e la certezza del decommissioning

Quale piega prenderà il mercato nucleare nei prossimi anni è tutt'altro che chiaro. Tutte le previsioni ipotizzano che tra vent'anni la quota del nucleare a livello mondiale sarà più o meno quella attuale, il che - dato il forte incremento atteso per la domanda elettrica - vuol dire una discreta crescita in termini assoluti.

Secondo la World Nuclear Association, oltre ai citati 72 impianti attualmente in costruzione ce ne sarebbero altri 172 "pianificati": una cifra che suona bene, ma che in realtà non dice niente. Per conoscere quale sarà il futuro del nucleare occorrerebbe sapere se l'umanità si metterà davvero d'accordo sulla necessità di ridurre le emissioni climalteranti. Se la risposta è sì, il nucleare è l'opzione più a portata di mano, più economica e che dà maggiori sicurezze agli attuali sistemi produttivi.

È quindi è reale la possibilità che si torni a costruire centrali nucleari anche nei Paesi occidentali. Il "quanto" dipende però da vari fattori, a partire dall'evoluzione tecnologica di tutte le altre fonti di energia, e soprattutto quelle rinnovabili, in termini di aumento dell'efficienza energetica e riduzione dei costi e degli impatti ambientali.

Ma più che gli ipotetici reattori da realizzare qui interessano quelli realizzati, in particolare nella prima fase di sviluppo della tecnologia: più o meno dal 1960 al 1985. Questi reattori sono stati costruiti per restare in esercizio 40 anni, ed effettivamente al termine del periodo alcuni di essi sono stati fermati. La maggior parte ha però dimostrato di essere molto più longeva di quanto calcolato, potendo restare in esercizio oltre 50 anni. Ma anche così sono molti gli impianti che si avvicinano alla fine della vita: entro il 2025 una cinquantina delle centrali oggi in esercizio sarà fermata per raggiunti limiti di età. A queste vanno aggiunte altre eventualmente chiuse per motivi politici (potrebbe essere il caso della Germania) oltre a qualche decina di reattori di ricerca e a impianti di vario tipo, come, per esempio, quelli per il ciclo del combustibile o di interesse militare.

Questi impianti vanno messi in sicurezza, smantellati, smaltiti e lavorati fino a ripristinare il sito alle condizioni ambientali originarie: un insieme di azioni che viene appunto indicato con l'inglese decommissioning.

Sono già decine le centrali e gli impianti nucleari che sono stati definitivamente fermati e che attendono di iniziare il decommissioning in Gran Bretagna, in Germania, in Francia, Belgio, Olanda, Svizzera e altri Paesi. In Italia è già iniziato per la centrale di Trino Vercellese e sono in lista di attesa le altre tre centrali chiuse dopo il referendum del 1987 e quattro-cinque tra impianti di ricerca e legati al ciclo del combustibile.
Ma non c'è solo l'Europa: in Russia, Ucraina, Cina e in molti altri Paesi ci sono impianti nucleari - sia civili che militari - che necessitano delle capacità e delle competenze già maturate nei Paesi più avanzati.

Si tratta di un mercato molto appetibile: dai 60 agli 80 miliardi di euro solo in Europa nei prossimi 10 anni. Con ricadute occupazionali di elevato profilo e che possono anche diventare quantitativamente rilevanti.

L'Italia ha competenze di primissima qualità nel settore, sia di ricerca, sia industriali. Paradossalmente, anzi, l'uscita anticipata dal nucleare ci ha messo in una posizione di relativo vantaggio sul mercato internazionale del decommissioning, che a buon diritto può essere considerato un pezzo importante della green economy.

Ora c'è solo da stare attenti a evitare il solito, appassionante gioco dell'azzopparsi da soli. A cominciare dalla vicenda del deposito nazionale dei rifiuti nucleari. Una struttura evidentemente indispensabile, che dopo anni di inetti rinvii ora si dovrà decidere in modo definitivo come e dove fare. Sul "dove" è molto probabile che ci sarà da ridere. Tra circa 6 mesi partirà una apposita consultazione pubblica sull'argomento. Staremo a vedere.

[ Valter Cirillo]

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