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Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?

Creato il 23 dicembre 2014 da Nwotruthresearch

Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?
Adesso possiamo dirlo con un certo grado di consapevolezza. Il movimento della decrescita non è altro che l'ennesimo movimento reazionario volto a far ritornare l'umanità ad uno stato simile a quello in cui era sotto il dominio Cattolico nei secoli bui del Medioevo, cioè un'umanità che viveva nella penuria, nelle malattie, nella carestia e nel terrore religioso. E, nonostante tutti i capziosi ragionamenti contraddittori e senza logica dei decrescenti, i quali dicono ogni volta che abbiamo frainteso i loro veri obiettivi (sì sa, di decrescite ce ne sono tante versioni quanti sono i sacerdoti che la propagandano) rimane un fatto inconfutabile: questo movimento si è sviluppato di pari passo alle politiche antidemocratiche di austerità della gesuitica Commissione Europea, volte a far precipitare le classi subalterne in uno stato di povertà, ignoranza e sottomissione simile a quello del Medioevo Cattolico, se non peggio.
Nello stesso momento in cui i decrescenti ci dicono quanto è bello e rivoluzionario ritornare alle vecchie tradizioni "solidali" dei tempi andati preindustriali, quando il popolo ignorante e sottomesso al terrore religioso viveva sì e no di stenti fino a 40-50 anni al massimo e poteva contare solo sull'elemosina stracciona del potente di turno, il re dei Paesi Bassi Guglielmo Alessandro ci spiega adesso che il welfare non è più sostenibile e gli aiuti alle persone in difficoltà andrebbero affidati solo alla carità e alle reti sociali private.
Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?
 Adesso molti decrescenti ci raccontano la buona novella di quanto sia bello vivere da straccioni che riciclano gli oggetti dalla rumenta e si accontentano dello stretto necessario alla sopravvivenza, proprio nel momento in cui la Commissione Europea, e gli stati europei che da essa prendono ordini, non fanno altro che smantellare tutti i "privilegi" di assistenza sociale nei confronti delle classi subalterne, dopo aver smantellato i loro redditi da lavoro ed aver creato disoccupazione di massa anche per mezzo dell'introduzione dell'euro. Inutile girarci intorno, cari decrescenti, sarebbe l'ora di smetterla di starnazzare pateticamente che il vostro movimento sia qualcosa di diverso da quello che in realtà è, cioè un movimento reazionario antidemocratico volto alla restaurazione di un Ancien Régime preindustriale e prescientifico in cui far precipitare le masse, perfettamente in linea con i progetti dell'elite eurista. E' illuminate al riguardo un libro di recente pubblicazione, scritto la Luca Simonetti, dal titolo Contro la Decrescita, di cui leggiamo l'introduzione:
Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?
Questo libro si propone un compito tanto necessario quanto controcorrente: smontare il mito della decrescita come visione alternativa della società rivelandone di volta in volta i numerosi luoghi comuni, le ingenuità o addirittura la malafede. Ha davvero senso il nuovo mito del ritorno alla terra e l’elogio dei contadini del passato? È giusto considerare l’austerità un valore contrapponendola al «demoniaco» consumismo? Siamo proprio sicuri che lo slow food sia più etico e altruistico del tanto stigmatizzato fast food? E uno Stato in cui qualcuno decidesse cosa è necessario consumare per vivere, e cosa non lo è, non diventerebbe uno Stato totalitario? Non c’è il rischio che si tratti dell’ennesima, prepotente riemersione di un’ideologia antica che ha già avuto in passato esiti politicamente nefasti?
Da Carlo Petrini a Serge Latouche, da Simone Perotti a Vandana Shiva, Simonetti passa in rassegna idee e proclami di tutti quei teorici della «decrescita felice» che in nome di una visione del passato nostalgica e sentimentale, e animati da diffidenza e ostilità nei confronti della scienza, della tecnica e del progresso, finiscono col «vedere l’apocalisse con ghiotta impazienza». Con ironia e passione, e uno stile limpido e acuminato, l’autore di questo libro ci dimostra che nessuna decrescita potrà mai essere felice, ma solo estremamente pericolosa.
In questo libro vengono analizzate ad esempio le terrificanti proposte volte all'eliminazione del Welfare state portate avanti dal pazzoide Ivan Illich e riprese dai decrescenti nostalgici dei tempi andati; spiace dirlo ma Illich, quell'omuncolo fatto passare da una certa letteratura "antisistema" da anarchico rivoluzionario, non è stato altro che un piccolo reazionario conservatore e fatalista. "Illich è convinto che la condizione umana sia sempre la stessa e non sia suscettibile di miglioramento e che combatterla sia hybris, il vecchio termine greco che indica la tracotanza dell'uomo che pretende di superare i limiti posti dal fato", afferma Simonetti alle pagine 44 e 45 del suo libro; e continua: "Qui è innanzitutto interessante il modo in cui viene descritta la figura di Prometeo, il Titano che, sfidando gli dei, donò il fuoco agli uomini: per Illich diviene un mascalzone, animato dalla cupidigia e giustamente punito. C'è da chiedersi, però, perché mai la decisione divina di negare il fuoco agli uomini e tenerselo per sé sarebbe buona e giusta e egoista quella di Prometeo di rubarglielo e farne partecipi gli uomini. E' evidente anche l'inconfessabile natura classista della teoria di Illich: la hybris va bene per i pochi, per gli eroi, per gli uomini di eccezione; non va bene per la massa. Questa impressione è confermata dal fatto che, tra i contraccolpi del progresso che portano alla nemesi, oltre ai ben noti cavalli di battaglia del Nostro - la scuola, la medicina, l'automobile - spunta anche, inopinatamente, il diritto di voto."
Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?
 E' forse un caso che Illich provenga culturalmente dall'istituzione più antidemocratica e reazionaria di tutti i tempi? (mica dalle scuole pubbliche di massa da lui aborrite!). Cioè, Illich "studiò  teologia e filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma" (vale la pena ricordarvi che l'Università Gregoriana è un'istituzione elitaria privata guidata dai Gesuiti?) e diventò, nel 1951, un sacerdote cattolico, anche se in seguito tornò allo stato laicale per via di contrasti con la Chiesa stessa; ma di finti abbandoni e opposizioni alla Chiesa Cattolica ne abbiamo analizzati già diversi, si veda ad esempio anche Loyola e De Chardin: da eretici a profeti per il bene di Roma. Ma andiamo avanti. Da un articolo dal titolo La crisi "sistematica" della chiesa descritta già 40 anni fa di Fabrizio Mastrofini, pubblicato su Vatican insider, leggiamo:
"La proposta di Illich è semplice. Primo: il senso del cristianesimo è nell’evangelizzare. Dunque niente a che vedere con il proliferare di strutture ed istituzioni sociali, educative, sanitarie alle quali abbiamo assistito in tutto il mondo. Solo annuncio del Vangelo e cambiamento interiore. Il resto verrà da sé.
[...]
L’esempio, per capire, riguarda la «forma» che secondo Illich potrebbe assumere la vita dei preti. A suo avviso «il ministero sarà esercitato non più come impegno a tempo pieno ma piuttosto come una gioiosa attività nel tempo lasciato libero dal lavoro. La diaconia sostituirà la parrocchia nel ruolo di unità istituzionale di base della Chiesa." fonte

 Cosa avrebbe da lamentarsi, diciamocelo, questo Illich, nel vedere che ogni giorno la sanità viene smantellata e privatizzata, le pensioni vengono tagliate e che l'edilizia popolare e la scuola pubblica ricevono sempre meno finanziamenti? E' indubbio che approverebbe! L'importante è evangelizzare un mondo di "felici" dementi, denutriti, malati ed ignoranti che si accontentano della loro miseria e che vivono comunitariamente in baracche autocostruite alla meglio e ascoltano la buona novella del "gioioso" prete-lavoratore, il sostituto dell'educazione delle scuole pubbliche, a quanto pare!! Il resto verrà da sé, guai a progettarlo con istituzioni democratiche non ecclesiastiche e finanziamenti pubblici! La vera essenza della rivoluzione "anarchica"! Proprio come Madre Teresa di Calcutta, ci verrebbe da dire. Tutto il discorso dei decrescenti è improntato alla demonizzazione del benessere di massa acquisito dopo decenni di lotte sociali e di progresso tecnico scientifico; ai loro occhi questo benessere non è altro che consumismo demoniaco imposto da un mercato svincolato dai bisogni umani. Intendiamoci, che il progresso tecnico scientifico abbia portato delle problematiche non lo mettiamo certo in dubbio; e non mettiamo certo in dubbio che nelle mani di un'elite antidemocratica la tecnologia e la scienza possano avere effetti nefasti, ma vi è un fatto ineludibile: il progresso tecnico scientifico, l'igiene, le infrastrutture, i trasporti, la scuola pubblica e il cibo prodotto industrialmente non hanno portato solo problemi, ma ne hanno risolti molti altri: hanno portato ad un aumento dell'età media, alla diminuzione di morte prematura per malattie curabili, all'istruzione dove prima c'era solo superstizione religiosa ed ignoranza, alla libertà dal bisogno dove prima c'erano carestia e fame, ecc. ed è proprio in questa fiabesca ricostruzione dei tempi andati operata dai decrescenti che ravvisiamo uno dei peggiori limiti di questo movimento. Per loro non è nemmeno concepibile che il progresso tecnico scientifico possa risolvere i problemi di inquinamento e avvelenamento di certe aree della Terra, oltre a favorire benessere e libertà dal bisogno. Ma il problema non è il progresso tecnico scientifico, il problema sono la politica e le istituzioni democratiche, che devono essere preservate, al fine di far beneficiare del progresso scientifico e tecnologico la gran parte dei cittadini, evitando o minimizzando i possibili usi volti a soggiogarli. E' chiaro che al punto un cui siamo arrivati, oltre a non essere auspicabile, non è nemmeno possibile tornare indietro ad un periodo prescientifico e preindustriale (i decrescenti identificano tout court il progresso scientifico e tecnologico con il capitalismo rapace), semplicemente perché non sarà possibile bruciare tutti i libri di fisica, chimica, biologia, ingegneria e uccidere tutti gli scienziati portatori di sapere. Se, quindi, vi sarà un ritorno all'età della pietra, sarà un ritorno dei cittadini comuni a questa età di miseria, ignoranza, superstizione e malattie, mentre l'élite di nobili e benestanti continuerà ad usare la scienza e la tecnologia per i propri fini e per il proprio piacere personale, oltre che per controllare e soggiogare i novelli uomini delle caverne seguaci di John Zerzan; e, tra virgolette, pare proprio che sia quello che vogliono; cioè ridurre in "felice" povertà e ristrettezza "solidale" la massa dei cittadini, mentre un'élite si gode i frutti del progresso e della scienza. A voi piace un futuro del genere? A me no, ma se volete andate pure a vivere nei boschi e nutritevi di ghiande e non protestate attraverso internet, che è uno strumento frutto dello sviluppo scientifico tecnologico, che voi aborrite. Un altro limite logico e una contraddizione evidente del movimento della decrescita è quello secondo cui gli adepti dovrebbero abbracciare di spontanea volontà questo movimento perché ne ricaverebbero sicuramente dei benefici, ma una pagina si è l'altra anche, gli stessi sacerdoti della decrescita non fanno altro che terrorizzarci con catastrofi imminenti se non saremo disposti ad abbracciare questo stile di vita mistico-ascetico; i deliri catastrofisti abbiamo comunque già imparato a decifrarli da Giulietto Chiesa. Sono i deliri di una setta fanatica.
Nel caso dei decrescenti ad esempio si legga un articolo tratto da quella fogna di giornale che era L'Unità, dal titolo LATOUCHE / IMPARIAMO DALLE CATASTROFI:
Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?
Per l'Occidente, «bolide che corre all'impazzata senza autista e senza freni», c'è forse ancora una ricetta, una via d'uscita. Serge Latouche, a Bologna per una conferenza, parla di «pedagogia della catastrofe». Una catastrofe - prossima, futura - che sarà ancora più grande delle precedenti: solo allora, forse, la gente saprà risvegliarsi, reagire e costruire una società diversa, giusta, rispettosa dell'ambiente.
[..]
"Il fatto è che, a un certo punto, saremo più o meno costretti a rivedere il nostro modo di vivere.
[...]
" fra pochi anni dovremo, per amore o per forza, rivedere il nostro modo di vivere, di funzionare. Tanto più che già oggi noi - intendo l'Occidente, bolide che corre all'impazzata senza autista e senza freni"
[...]
"Nei prossimi anni ci aspettano sempre più catastrofi, praticamente, siamo impegnati in una gara tra cambiamento e catastrofe. Ed è davvero importante prepararsi a cambiare strada"

Quindi in realtà lo stile di vita che ci dicono di abbracciare è un obbligo che dovremmo assumere pena la nostra estinzione. Ma proprio il discorso catastrofista apocalittico lo abbiamo già analizzato e smantellato nel nostro blog. Questo discorso non è altro che un'ideologia ascientifica (ma supportata da un certo establishment scientifico con connessioni alle istituzioni politiche sovranazionali, come l'IPCC) di una setta fanatica ed estremista spacciata per analisi scientifica "indipendente", come ad esempio tutto il discorso sugli effetti catastrofici della CO2. Il solito PROBLEMA-REAZIONE-SOLUZIONE che abbiamo più volte analizzato nel nostro blog. Si vedano alcuni esempi, partendo proprio da Giulietto Chiesa:
L'Opposizione controllata di Giulietto Chiesa
Elite "Uccidi Te Stessa Per il Giorno Della Terra"
l'hacking dell'ipcc e le finalità dei catastrofisti
2084: la dittatura del carbonio?
Lovelock, la depopolazione, l'effetto serra e la geoingegneria
Confessioni di una tiepida allarmista sul riscaldamento globale
Decrescita: ma è così bello vivere da straccioni?
Tutto il discorso dei decrescenti, come quello dell'elite che vuole eliminare ogni tipo di democrazia, è improntato all'emergenza: bisogna agire subito, ci dicono, e le istituzioni democratiche esistenti sono troppo lente ed impacciate; da qui il passo è corto per arrivare ad auspicare un regime forte che prenda le decisioni "responsabili" senza l'intralcio dei cittadini "malati di consumismo". Ma anche qui, cosa c'è di diverso da quello che sta avvenendo alle nostre istituzioni sovranazionali oramai quasi del tutto svincolate da qualsiasi controllo democratico?
Naturalmente qui non abbiamo analizzato nel dettaglio tutte le sfumature reazionarie del movimento della decrescita; se volete approfondire, leggete il libro di Luca Simonetti.
Quindi, cari amici, l'ideologia della setta fanatica dei decrescenti si innesta perfettamente nel costrutto istituzionale dell'elite eurista, e non è nulla di diverso. Gettiamo, quindi, questa ideologia nella pattumiera della storia, una volta per tutte, e pensiamo al benessere dei cittadini.
Si legga anche:
Alla fine è un mantra che ci viene propinato da qualche pensatore della destra (che ha nel Dna una tendenza passatista) e da una pletora sempre più ampia di pensatori di sinistra (che in questo caso rinunciano a ogni mito di progresso).
È l'idea di una decrescita felice, di una «salutare» rinuncia al sogno del pil col segno positivo, al desiderio di essere capaci di produrre domani qualcosa di meglio di ciò che produciamo oggi, di creare cose belle ma «innaturali». I nomi degli intellettuali che si sono fatti alfieri di questo ritorno alla natura, di un downshifting controllato, sono ormai arcinoti: il francese Serge Latouche, l'indiana Vandana Shiva, l'italiano Maurizio Pallante, il greco Giorgos Kallis. E attorno a questi teorici un vasto movimento di fan del rallentamento che ha contagiato testate giornalistiche, come Repubblica , gastronomi alla Carlo Petrini, registi alla Ermanno Olmi... Memorabile sul tema proprio una loro doppia intervista sulle pagine del quotidiano nel 2009: «Il consumismo ha fallito e va confutato su tutti i fronti. La velocità va combattuta con la lentezza» (Petrini). «Libertà di consumare, sprecare, avvelenare. Stesse in me, fonderei un partito della povertà, intesa come riduzione dei consumi» (Olmi).
Ma quanto rigore teoretico c'è in queste elaborazioni che si discostano dalla visione liberale e capitalistica ma anche dalle dottrine marxiste? Poco, a leggere Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione , il saggio di Luca Simonetti che arriva in libreria questa settimana (Longanesi, pagg. 260, euro 16). Simonetti prende in esame quella che lui chiama la galassia dei «decrescenti» e mette in luce molte delle loro aporie. Uno dei nodi su cui insiste di più a esempio è quello del ricorso alla continua contrapposizione fra natura e tecnologia, caro a teorici come Vandana Shiva. La natura è vista come una misteriosa entità benigna a cui l'uomo contemporaneo, stregato dal mercato, continua solo a sottrarre. Basterebbe decrescere un po' e consentire alla natura di donarci spontaneamente, come succedeva una volta. Ma a ben guardare quell'«una volta» non esiste. Da sempre trasformare le risorse naturali in beni fruibili ha richiesto sforzo, organizzazione e mercato. E, come spiega Simonetti, l'uomo stesso con le sue industrie è anch'esso un prodotto della natura. «L'uomo fa integralmente parte della natura, tutte le sue azioni sono eseguite in conformità con essa... Perché l'uomo non può non seguirla: tutte le sue azioni sono compiute a causa di, o mediante leggi fisiche... sicché un lavandino, un aeroplano o la Nona di Beethoven sono altrettanto naturali di una mareggiata o della grandine». A meno che non si intenda con natura il corso spontaneo degli eventi a cui ci si dovrebbe adattare, o peggio una specie di dea. Tolto il fatto che questa sarebbe un'abdicazione alle nostre capacità razionali, sarebbe anche accettare l'inaccettabile perché, come già spiegava John Stuart Mill, «la vera verità è che quasi tutte le cose per cui gli uomini vengono impiccati e imprigionati quando le commettono l'uno verso l'altro, sono azioni quotidiane della natura».
E questo è solo un esempio. Simonetti mette in luce anche quanto sia labile la distinzione cara ai «decrescenti» tra merci e beni. O quanto sia soggettiva la distinzione che va tanto di moda fra bisogni veri e bisogni falsi. Perché «quando date un'occhiata alla lista dei beni di consumo che (secondo il critico) non hanno una reale utilità, ciò che trovate invariabilmente è una lista di beni di consumo che gli intellettuali di mezza età ritengono di nessuna utilità». Insomma sono sempre i consumi degli altri, quelli non necessari. Per non parlare di tutti i pericoli sottesi all'elogio dell'agricoltura di sussistenza che gia la Fao nel 1959 descriveva come inefficaci: «I metodi primitivi di coltura non si traducono soltanto in una debole produttività, ma molto spesso anche in un deterioramento dei terreni e delle altre risorse naturali».
Viene da chiedersi allora come mai la moda della decrescita abbia attecchito così bene. Simonetti lo spiega così: «Alla fine dietro il ragionamento economico che è labile si cela una questione estetica. In una società ricca è facile vedere il lato che non ci piace della modernità e sognare di fare ritorno ad un “prima” assolutamente astorico. Il rischio di questo atteggiamento è però quello di partire da problemi reali per proporre soluzioni irreali che mettono in discussione la modernità in sé». Fa anche un po' specie che a essere vittima di questo fenomeno sia soprattutto la sinistra che a parole è progressista. Simonetti lo spiega così: «La destra su questi temi ha trovato nel suo Dna degli anticorpi. La sinistra ha perso negli ultimi quarant'anni progettualità e concretezza. Quella concretezza materialista che era alla base del marxismo. E così sono diventati vittime di certe utopie».
link articolo: http://www.ilgiornale.it/news/cultura/decrescita-non-felice-compenso-confusa-1065016.html



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