Il decreto Balduzzi contempla il pagamento di 200 euro (e prima dell’intervento di medici ed aziende ne erano 1000) per ogni medicinale registrato
Cara Antonella, ci siamo di nuovo, il decreto Balduzzi contempla il pagamento di 200 euro (e prima dell’intervento di medici ed aziende ne erano 1000) per ogni medicinale registrato. In ogni caso i piccoli rimedi della farmacopea omeopatica non sembra avranno vita facile in Italia. Puoi farci il punto della situazione e dire i vostri progetti futuri? E cosà proponi di fare assieme agli 11mila firmatari della petizione al Ministro Balduzzi ed alle altre associazioni omeopatiche inclusa la nostra?
Dal 31 ottobre, con l’approvazione al Senato, il decreto è legge e per i medicinali che abbiano ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) ci sarà questa tariffa annua a pagare, ridotta rispetto ai 1000 Euro iniziali, ma comunque eccessiva rispetto alla realtà del mercato omeopatico. Ho cercato di documentarmi e il modello più percorribile sembra quello tedesco, che ha garantito ai medicinali meno venduti, ma non per questo ovviamente meno necessari per i singoli pazienti a cui sono prescritti, una strada differente, quella della semplice notifica.
I colleghi europei mi hanno riferito che ci sono pressioni perché questo stato di cose cessi in Germania, obbligando tutti i prodotti alla AIC, ma la forza dei milioni di pazienti che si curano con l’omeopatia ha finora sventato questo tentativo. E d’altra parte in Svizzera un referendum popolare ha obbligato ad inserire il diritto ad avvalersi dell’omeopatia addirittura nella costituzione! Credo che dobbiamo creare un movimento popolare forte e informato. A fianco di questo però è molto importante agire presso le istituzioni, che sono soprattutto ignoranti dell’argomento, e sono spinte a prendere provvedimenti dalla necessità di far cassa a tutti i costi.
Il fatto che le nostre proteste motivate abbiano fatto sparire i famigerati 1000 euro dalla legge,mi dice che se ci facciamo portatori di richieste logiche, ragionevoli, motivate, possiamo trovare ascolto. Non dimentichiamo che il Ministro della salute è un Costituzionalista, e il richiamo all’articolo 32 della costituzione che prevede il diritto di cura ha avuto certamente un importante richiamo su di lui. Credo che possiamo agire in sintonia con i produttori di medicinali unitari, perché la produzione di complessi, prescritti su base nosografica, pone problemi completamente differenti, tanto che una mia proposta di preparare un documento comune per interfacciarci con l’AIFA non è stata accettata, e probabilmente va bene così. Fondamentalmente questo ci semplifica la vita. Come FIAMO rappresentiamo i medici competenti in omeopatia, quindi prescrittori di medicinali unitari e la sopravvivenza, la disponibilità di questi ci interessa. Gli altri faranno la loro battaglia per i loro specifici problemi.
Quindi a voi, come federazione dei medici omeopati, un sistema “alla tedesca”, che garantisca la reperibilità anche dei piccoli rimedi sembra la soluzione giusta. In generale i piccoli rimedi sono prescritti dal medico. Un vincolo di prescrizione (ricetta ripetibile, o non ripetibile?) per questi rimedi potrebbe rappresentare un inconveniente o un vantaggio?
I medicinali omeopatici sono SOP, introdurre vincoli di prescrizione renderebbe probabilmente ancora più difficile il reperimento e allontanerebbe ulteriori pazienti, già abbastanza scoraggiati dalla difficoltà nell’avere a disposizione il medicinale richiesto.
In generale c’è tendenza a pensare che una volta registrati i medicinali omeopatici, che non hanno indicazione terapeutiche, dovranno essere venduti tutti con ricetta medica. Questo potrebbe voler dire che anche quelli che spesso si usano in acuto (arnica, belladonna, aconitum, etc) sarebbero sottoposti al vincolo prescrittivo. Pensi che sia utile la presenza di ricetta per un rimedio omeopatico?
Io credo che le caratteristiche della prescrizione omeopatica, secondo cui, ad esempio, lo stesso prodotto può essere usati con modalità differenti in acuto e nella situazione cronica, renda difficile l’obbligo di ricetta specifica. Quello che va potenziata è la diffusione di una corretta informazione al paziente. La medicina omeopatica è appunto una medicina, e come in tutte le medicine si può prevedere una ricetta o una somministrazione diretta in farmacia. L’uso da banco del medicinale omeopatico deve poter essere previsto, ma andrebbe regolato secondo logica. Diversamente da quello che accade in allopatia, non si tratta di distinguere medicinali differenti, quelli da banco e gli altri, ma di far crescere la consapevolezza che la prescrizione da banco deve limitarsi a determinate sintomatologie e condizioni patologiche. Pensiamo ad esempio al grande tema della distinzione tra sintomo acuto e riacutizzazione di un miasma cronico: il paziente che si cura omeopaticamente e il farmacista che gli vende il rimedio o gli dà il consiglio terapeutico deve essere istruito a valutare con attenzione questi aspetti!
I rimedi omeopatici sono senz’altro tra i medicinali più sicuri che esistano, eppure provengono da sostanze anche a volte molto tossiche. Come mai?
La domanda andrebbe capovolta, secondo me. Il principio dell’omeopatia è che una sostanza in grado di provocare un dato sintomo può essere usata per combatterlo. Per questo non mi stupisco che arsenico possa essere un rimedio omeopatico. Trovo personalmente più stupefacente che sia un rimedio omeopatico il sale marino, o la sabbia o il licopodio, che non hanno un’intrinseca tossicità. Ma così è.
Un evidente vuoto di legislazione italiana ed europea è quello di non riconoscere la sperimentazione sul sano come lo strumento cardine del metodo omeopatico. Questo fatto potrebbe avere implicazioni importanti per lo sviluppo e l’immissione in commercio di nuovi rimedi non inclusi in farmacopea, così come per la costituzione di eventuali comitati etici con esperti in medicina omeopatica. Pensate, a questo proposito di proporre qualcosa a livello legislativo?
La sperimentazione sull’uomo sano incontra a molti livelli un’opposizione sul piano etico. Credo si debba fare prima un processo molto approfondito in ambiente omeopatico per dare tutte le necessarie garanzie che possono poi far riconoscere il nostro metodo come strumento di validazione dei nostri medicinali. Credo che muoversi prima di un simile consenso possa essere addirittura controproducente.
Cosa intendete fare? Quali garanzie sono per te necessarie?
A livello europeo, da anni l’ECH sta lavorando su queste problematiche, c’è un’apposita commissione che ha pubblicato anche delle linee guida al riguardo; queste costituiscono un passo molto importante, perché ormai a tutti gli effetti siamo parte dell’Europa e ad essa dobbiamo rifarci anche a livello nazionale. Ma il passo più importante è ottenere il riconoscimento della specificità, della diversità del paradigma omeopatico, cosa assolutamente in controtendenza in un momento come questo che spinge prepotentemente verso l’adozione di regole uguali per tutti: deve avere un peso la tradizione di 200 anni di studio sperimentale attraverso il proving!
Il riconoscimento dell’insegnamento della MO è una delle ultime battaglie della Fiamo. A che punto stiamo? Che rapporto con i registri che sono presenti nei vari ordini dei medici e che evidentemente provengono da un passato di formazioni disomogenee dei professionisti?
Dopo la firma del protocollo di Chianciano a marzo 2012 sostanzialmente il nodo della formazione è risolto per le associazioni. Si tratta adesso di “esportare” a livello di istituzioni questo documento, che riflette standars internazionali! Un importante contributo potrebbe venire anche dal processo di standardizzazione che l’ECH vorrebbe avviare a livello europeo tramite un’apposita agenzia. Una sorta di certificazione che potrebbe aiutarci molto nelle relazioni con organismi regolatori. A livello degli Ordini, data la totale indipendenza di ogni ordine provinciale, non ci resta che puntare sulla riduzione del numero delle provincie!!! A parte la battuta, bisogna cercare di introdurre presso ogni ordine questo documento e far valere soprattutto la necessità di distinguere chiaramente le specifiche competenze, distinguendo, come abbiamo fatto a Milano,omeopatia da omotossicologia e antroposofia. Ci vuole un imegno capillare,la FIAMO,che è rappresentata su tutto il territorio, deve darsi questo compito.
La Fiamo terrà il suo prossimo congresso a Napoli. Ci illustri tematiche ed obiettivi?
Siamo molto contenti di tenere a Napoli un Congresso che si annuncia molto vivo e partecipato. Abbiamo dato il tema dei disturbi del comportamento come tema guida e abbiamo ricevuto moltissimi contributi, tanto che abbiamo dovuto fare una dolorosa selezione tra i lavori. Il tema è interessante anche perché l’omeopatia ha da offrire soluzioni che la medicina convenzionale non ha o ha a prezzi troppo gravosi per l’organismo. E’ annunciata la partecipazione di una delegazione dell’ Associazione omeopatica rumena, con cui vorremmo stabilire una fattiva partnership. Quindi grande spazio alla clinica. Ma ci saranno anche approfondimenti sul piano della ricerca di base con Vittorio Elia. Inoltre Burgio allargherà alla riflessione sull’epigenetica la prospettiva dei disturbi del comportamento.