Oggi è l’anniversario del mio matrimonio con Dédé. Ho molte cose da farmi perdonare, così vorrei approfittare di questa giornata per farmene perdonare qualcuna.
Cara Dédé, oggi ti amo più della vita, ma quando ti ho portato in Europa non ti amavo. Non potevo amare nessuno. Non avevo più emozioni, ero morto a Bugarama. Ho approfittato di te nel modo più egoista. A quell’epoca eri molto giovane, ma avevi già la forza che ci tiene a galla da più di vent’anni. Mi avevi nutrito con la forza all’ospedale di Bujumbura e capivo di avere bisogno della tua forza. Tutto qui.
Mentre io non ti davo niente, tu mi davi tutto.La tua devozione non è mai vacillata. La tua fedeltà all’impegno è stata incrollabile. Quante volte me lo hai detto? Una Rwandese è per la vita. Nel bene e nel male. A quell’epoca non eri la donna sofisticata di oggi ma una ragazza semplice con un’unica idea: riuscire il suo matrimonio. Così ti avevano insegnato, questo era l’esempio che ti aveva dato tua madre. Hai un uomo e devi tenertelo stretto, proteggerlo contro ogni avversità. Sì, proteggerlo. Sai che cosa mi ha colpito? Ogni volta che c’era un pericolo, ti mettevi davanti a me come per dire: “Ci penso io, non avere paura.” Era un gesto istintivo, non meditato. Faceva parte della tua natura.
Come amavo il tuo pagne. Quando andavamo in un nuovo appartamento ti cingevi il pagne intorno ai fianchi, cominciavi a sfaccendare e l’appartamernto diventava una casa. Per me la casa era il tuo pagne. Appena sbarcata dall’Africa, sei riuscita a trasformare il febbraio parigino in primavera e quella gelida mansarda di rue Montmorency in una casa. Il nostro giardino era un vaso di rose.
Poi siamo andati a Nizza ed è nata Minou. A quell’epoca ero affamato di Europa e vedevo la bambina come un ostacolo. Addio mostre, addio musei, addio concerti, addio viaggi, addio tutto. Ero appena tornato in Europa e non me la potevo godere a causa di quel piccolo mostro. Così, quando ho letto sul giornale che all’ambasciata italiana di Monaco c’era un’esposizione di De Chirico, ho voluto metterti alla prova. Volevo farti capire che, figlia o meno, la mia vita non doveva cambiare. Minou aveva 1 mese. Ti ho costretto a mettertela sulla schiena (non volevi saperne del canguro) e ti ho portata a Monaco.
Mentre guardavo i quadri, mi hai detto: “La bambina deve mangiare.” “Che aspetti”, ho replicato. In realtà volevo dimostrarti che non intendevo rinunciare alla mia vita per colpa di una marmocchia. Ma tu hai insistito: “Deve mangiare.” Hai trovato una sala deserta, cosa non difficile perché non c’era nessuno, ti sei seduta su una sedia vicino alle Muse Inquietanti e hai dato il seno a tua figlia.
E allora, mentre ti guardavo allattare Minou vicino alle Muse Inquietanti, qualcosa è scattato dentro di me. Le emozioni sono tornate in massa e mi sono sentito un mostro. Ti avevo strappato dalla tua casa, portato in un continente estraneo e t’impedivo di allattare tua figlia. E’ stato allora che ho cominciato ad amarti. Non ho ancora smesso e non smetterò mai. Lo scrivo nella nostra lingua, così potrai leggerlo anche tu e capirai che l’ho detto al mondo intero: Dédé, mon amour, je t’aime.
Dragor