Il Compleanno Di Nonna Elisa
Era una luminosa giornata di fine settembre 1995 quando andai a trovare nonna Elisa a casa di zio Efisio. Il suo centesimo compleanno cadeva ad ottobre, nel trimestre che avrebbe trascorso, a Dio piacendo, in casa nostra. Andava avanti così, di trimestre in trimestre, da quando i suoi quattro figli, mia madre compresa, avevano deciso che data l’età, la vecchina avrebbe speso il resto dei suoi giorni ruotando con cadenza trimestrale, nelle loro rispettive abitazioni. Volevo perciò discutere con lei gli ultimi dettagli della sua prossima festa di anniversario e, soprattutto, chiederle cosa desiderasse per regalo in quella occasione. La trovai seduta al caminetto, su un basso scranno di legno impagliato, con lo sguardo fisso sul selciato asciutto e lucido di cemento su cui, presto, il primo fuoco di autunno avrebbe scoppiettato. Dopo i convenevoli di rito le posi la domanda che mi aveva spinto a trovarla. Al principio si schermì, come era nel suo carattere ritroso e poco prono alle dimostrazioni esterne di affetto. Poi, considerando che io insistevo, riprese dicendo che un regalo le sarebbe piaciuto, ma non era in mio potere di accordarglielo. Insistetti perché me lo dicesse lo stesso.
“Io chiederò alla Madonnina”– mi specificò di seguito–“che mi permetta di vedere, anche per un giorno solo, il terzo millennio.”
Feci a mente un calcolo veloce: arrivare al terzo millennio, nella migliore delle ipotesi, voleva dire per lei avere compiuto la bagattella di 105 anni.
- “Vuoi battere il record di tua nonna Angela?” le dissi ridendo.
Tra le mie antenate, per parte di madre, si contavano infatti molte centenarie o giù di lì. Tra queste, la mia trisavola Angela era arrivata a 104 anni di età, come ben avevo sentito dire sin da quando ero piccolo da mia madre e dalla stessa nonna Elisa.
- “Non è tanto il record dell’età che mi interessa, quanto piuttosto quello degli anni santi giubilari. Io credo infatti che se vedessi l’alba del 2000, sarei la persona che ha assistito al più grande numero di Giubilei romani.”
Poi si abbandonò ai ricordi, soffermandosi in particolare su quelli del suo primo Anno Santo. I pensieri scaturivano dalla sua bocca come un filo d’acqua che si vede sgorgare esile e lento a valle, ma che ha percorso un lungo e sicuro cammino attraverso i monti sovrastanti.
Mi disse che aveva ancora impresso nella memoria un discorso che tenne il vecchio Papa Leone XIII in una delle quattro basiliche della Penitenza Giubilare. Nonostante fossero già trascorsi quasi 95 anni, riviveva ancora con nitida emozione quel momento quando, sulle spalle del suo babbo, quel vecchio minuto, dalla voce un po’ stridula ma persuasiva, riferiva ai pellegrini presenti di come non potesse esimersi, in quel frangente, dal fare un raffronto tra quel Giubileo di inizio secolo, il primo dopo lo sconvolgimento di Porta Pia, ma non di meno così ricco di aspettative per la comunità cristiana, ed il Giubileo al quale egli aveva assistito per la prima volta, il primo dopo la baraonda della rivoluzione borghese del 1789.
- “Correva l’anno del Signore 1825”– erano state le parole testuali di quel papa distante, che nonna Elisa aveva registrato nella sua memoria come un inchiostro indelebile su una pergamena–“ed io, giovane quindicenne, alunno del Collegio Romano, udivo da Leone XII della Genga le storie terribili di quella accecante bufera che, partita dalla Francia, sembrava dovesse travolgere il mondo intero, Chiesa compresa. E quel mio grande predecessore, come tutti i nobili, in quegli anni di fine ‘700, si era sentito ballare la testa sul collo. E nei pellegrini di allora, forse con la vista distorta dalla paura e dalla malinconia di quel testimone ammalato ma implacabile, si scorgeva la trepidazione, la costernazione, la confusione come di un gregge che sia stato disperso dai lupi e poi si ricomponga, cercando nel gruppo il sicuro e confortante contatto di quel compagno di viaggio che non c’è più, o il bastone nodoso del pastore che leggero, ma imperioso, guidi e conduca nella giusta via. Ed oggi io capisco, figli miei”–così si concludevano i ricordi che Elisa bambina aveva di quel discorso papale di inizio ‘900- che quel papa del quale io sarei stato, senza che allora neanche lontanamente lo pensassi, un successore, mi stava idealmente passando un testimone, affinché io continuassi la sua faticosa opera di ricostruzione della famiglia di Cristo. Ed oggi, questo è un pensiero che dico ad voce alta, provo ad immaginare come sarà la nostra comunità tra cento anni, quando essa si affaccerà ad un nuovo secolo, ad un nuovo millennio. Ebbene, la maggior parte di noi non ci sarà, io di sicuro non ci sarò, ma ho la netta sensazione che qualcun’ altro avrà raccolto il testimone che io lancio qui, proprio oggi. Perché io sono certo che la Chiesa, allora, avrà superato un nuovo culmine di forza e di speranza e sarà lanciata verso la nuova era alla testa del suo popolo, in cammino verso Dio.”
Distolse gli occhi dal focolare e guardò fissa nei miei. Voleva essere sicura che l’avessi seguita. Notai un luccichio acquoso ravvivare il suo sguardo velato dagli anni. Istintivamente le presi le mani tra le mie. Provai la sensazione come se quel sangue che pulsava sotto l’epidermide scarna e ruvida, contenesse nelle molecole del suo plasma le tracce chimiche degli ultimi duecentocinquanta anni della nostra storia e forse anche più. .
- “E così”– concluse nonna Elisa, mentre riposava il suo sguardo mite sul caminetto vuoto- “mi piacerebbe tanto sentire quello che dirà nel prossimo Giubileo, all’alba del 2000, questo nostro grande Papa. Ho l’impressione che il mio spirito spazierebbe più libero, verso nuovi orizzonti, se io facessi in tempo a sentire le parole sante che proietteranno il mondo nel terzo millennio dell’era di Cristo.”
Tornando a casa provavo una malinconia indefinibile al pensiero di come ogni vecchio fosse in realtà un pezzo di storia vivente, la parte terminale di una catena di avvenimenti che, ripercorsi a ritroso, potevano portarci indietro nel tempo. E di come ogni vecchio, andandosene via, si portava con sè ciò che era stato e ciò che sapeva, rendendo il mondo inevitabilmente più ignorante e più povero.
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