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Definizione della settimana: Clausola di salvaguardia

Creato il 05 dicembre 2014 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Le vie dello Stato italiano per intimorire – e poi effettivamente aggredire – il contribuente sono infinite. Chi paga le tasse, nel nostro Paese, deve guardarsi spesso anche dalle formule apparentemente più oscure o più innocue; è il caso delle cosiddette “clausole di salvaguardia”, una delle tante diavolerie contenute nella Legge di Stabilità approvata dal Governo Renzi e che entro la fine dell’anno dovrà essere approvata dal Parlamento.

COS’E’ E QUANDO NASCE LA “CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA”. Innanzitutto va precisato che non è stato il Governo Renzi a inventare la “clausola di salvaguardia”. Essa nasce nel 2002, nell’ambito della riforma della contabilità pubblica, e appare subito come un segnale di scarsa affidabilità dello Stato italiano nella gestione delle risorse pubbliche, cioè dei soldi messi a sua disposizione dai contribuenti. Le leggi di spesa, infatti, si dividono in due tipologie: possono contenere “spese autorizzate” oppure “spese previste”. Il primo è per esempio il caso della costruzione di una ferrovia: per una spesa di questo tipo, il legislatore indica una cifra fissa o un tetto di spesa. Invece il secondo caso, quello delle spese previste, riguarda per esempio un’indennità concessa da una legge a tutti coloro che si trovano in una determinata condizione (diciamo un bonus mensile da 80 euro a tutti coloro che hanno i capelli rossi); poiché il numero delle persone con i capelli rossi può cambiare nel tempo, facendo così variare l’onere della previsione legislativa, ed esistendo oramai in Italia una nota tendenza all’espansione della spesa, ecco che dal 2002 il legislatore deve predisporre una sorta di rete di sicurezza, chiamata appunto “clausola di salvaguardia”. In concreto, l’erogazione del bonus mensile di 80 euro per tutti i cittadini con i capelli rossi potrebbe non bloccarsi mai, a differenza delle spese per costruire una ferrovia, perché nessuno può impedire a milioni di italiani di tingersi i capelli per ricevere il bonus; se la spesa eccede le stime, ecco che c’è una clausola di salvaguardia pronta a scattare, cioè una norma che indica come il Governo riuscirà in maniera rapida ed automatica a trovare ulteriori risorse per le sue casse.

QUANTO CI COSTANO LE INCERTEZZE DELLA MANOVRA DI RENZI. Il Governo Renzi ha pubblicizzato fin da subito, su tutte le televisioni e tutti i giornali, le riduzioni di tasse contenute nella sua manovra finanziaria (Irap, bonus di 80 euro per i redditi medio-bassi, bonus bebè). Con il passare del tempo, però, si cominciano a raccogliere notizie anche di inasprimenti fiscali che scatteranno già nelle prossime settimane, sempre in virtù della stessa Legge di Stabilità, e soprattutto della presenza di minacciose clausole di salvaguardia.
Ai commi 3 e 4 dell’articolo 45 della Legge di Stabilità – che, ricordiamolo, deve ancora essere approvata dal Parlamento – c’è scritto infatti che, in mancanza di nuove e future misure per ridurre la spesa pubblica o aumentare il gettito fiscale, il Governo ha già pronte tasse aggiuntive dal 1° gennaio 2016. Nello specifico, aumenterà innanzitutto l’Iva (Imposta sul valore aggiunto). Dal 2016 l’Iva sui beni essenziali, come carne e uova, passerà dal 10% al 12%, poi al 13% nel 2018; l’aliquota generale, quella applicata a vestiti, elettrodomestici e tutto il resto, passerà dal 22% al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e addirittura al 25,5% nel 2018. Poco importa che alla fine di questo percorso diventeremo il Paese con la più alta aliquota Iva ordinaria, superati soltanto dal 27% dell’Ungheria. Tutti questi aumenti infatti sono già scritti nero su bianco nella Legge di stabilità; per evitarli, in parte o totalmente, il governo dovrà identificare razionalizzazioni della spesa pubblica che finora non ha identificato, o aumentare altre tasse. Lo stesso vale per l’aumento delle accise su benzina e gasolio, per un ammontare di 988 milioni di euro, che ci sarà imposto dal 2015 se l’Unione europea non autorizzerà l’Italia all’introduzione del cosiddetto “split payment”, cioè un metodo specifico di riscossione dell’imposta che grava sulla cessione di beni e prestazioni di servizi effettuata nei confronti di enti pubblici.

PERCHE’ CI SON BEN POCHE RAGIONI PER ESSERE FIDUCIOSI. Qualcuno potrebbe obiettare: perché fasciarsi la testa prima di essersela rotta? In fondo il Governo Renzi potrebbe pur sempre rinsavire e tagliare molti sprechi pubblici così da eliminare la necessità di far scattare le clausole di salvaguardia. E’ quello che l’esecutivo ha fatto rinviando la clausola di salvaguardia da 3 miliardi ereditata per il 2014 dal governo Letta; già l’esecutivo precedente, infatti, aveva previsto un aumento di imposte in caso di mancati risparmi per l’anno in corso. Il problema, innanzitutto, è che Renzi ha rinviato la clausola da 3 miliardi di Letta senza tagliare la spesa pubblica, ma semplicemente spostando il problema all’anno prossimo, grazie a una clausola di salvaguardia ancora più gravosa.
Non a caso, anche se le clausole di salvaguardia, come abbiamo visto, esistono dal 2002, il Governo Renzi per la prima volta ne fa un uso davvero smodato: gli aumenti di tassazione, se andassero tutti a regime dal 2016, vorrebbero dire 12,1 miliardi di tasse in più nel 2016, 18,5 l’anno dopo e 20,5 l’anno dopo ancora.
Inoltre il contribuente italiano si ricorderà che il balletto sulle imposte indirette, a partire dall’Iva che è la più importante, si è sempre concluso a suo sfavore da quando è iniziata la crisi. Nell’agosto 2011, con una manovra dettata dall’emergenza finanziaria (qualcuno ricorda il famoso “spread”?), il governo di centro-destra guidato da Berlusconi alzò l’aliquota generale dal 20% al 21%. Annunciando pure che dall’anno dopo la stessa aliquota sarebbe passata al 22%. Il governo tecnocratico di Monti riuscì ad evitare l’aumento dell’imposta tagliando alcune spese, ma il governo di coalizione guidato da Letta, nell’ottobre 2013, lasciò che l’aliquota aumentasse dal 21% al 22%. Insomma, la tendenza è tutt’altro che rassicurante.

Infine, gli effetti di questo meccanismo sono negativi fin d’ora. Come ha spiegato la Confindustria commentando in Parlamento la Legge di stabilità del Governo, “è vero che le clausole di salvaguardia potranno essere cambiate in base alle condizioni economiche e politiche, italiane ed europee, che esisteranno tra un anno. Ma intanto aumentano l’incertezza sulle prospettive future e frenano così consumi e investimenti”. Come dire che noi contribuenti, aspettandoci il peggio da uno Stato che ci ha dimostrato quanto sa essere rapace con i nostri soldi, stiamo già correndo ai rifugi, deprimendo ancora di più l’economia reale.

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