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Il giochino è semplice. Siccome su Carlo Alberto Dalla Chiesa, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si va tutti sul sicuro, proviamo invece a ricordarci anche di Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Pio LaTorre, Mario Francese?
Soprattutto a ricordare cosa hanno fatto per la lotta contro la mafia, loro che della mafia sono stati vittime?
Basterebbero gli ultimi minuti di "La mafia uccide solo d'estate" a fare una lezione di memoria collettiva a un Paese che di memoria troppo spesso non ne ha.
Il film è solo apparentemente leggero, come in fondo lascia ben intuire il trailer ufficiale. In realtà è un crescendo doloroso, che culmina, a parer mio, in quella scena che probabilmente solo chi c'era può ricordare con altrettanta intensità.
21 luglio 1992, in Cattedrale a Palermo i funerali degli uomini della scorta del giudice Borsellino: la sciagurata idea di vietare i funerali alla folla, per proteggere i politici. Anche quella fu violenza. Polizia contro cittadini. Mani alzate e quel grido: "Fuori lo Stato dalla mafia". Poi la corsa a scavalcare il muro della Cattedrale.
Il film racconta quegli anni e quei protagonisti della lotta alla mafia, dipingendoli nella loro umanità, che sta in una iris alla ricotta, in un sorriso davanti a un cuore disegnato sul marciapiede, in una intervista concessa a un bambino.
E si chiude in una sorta di pellegrinaggio, che trasforma luoghi e lapidi in altrettante caselle di un gioco di memoria.
Il tutto viene ricostruito con il preziosissimo contributo delle Teche Rai, cher hanno fornito a regista e sceneggiatori il materiale d'archivio che costituisce il canovaccio sul quale poi si snodano le vicende dei protagonisti.
E io non lo so se le Teche sono patrimonio di Stato, ma se non lo sono dovrebbero diventarlo.
Del film, oltre alle Teche, promuovo a pieni voti Alex Bisconti e Ginevra Antona, che interpretano Arturo e Flora bambini.
Poi c'è Pif, Pierfrancesco Diliberto. Mai avuto grande passione per lui: buona la prima come regista, sorvolo sul resto. Questione di pelle.
E poi la Capotondi. Verrebbe da fermarsi qui. E poi c'è la Capotondi, punto. (A Milano va di moda l'anche no. Ci siamo capiti. Tanto per più di metà film non c'è.)
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