Piccola passione quella per le penne a sfera, tanto da essere spesso così faccia tosta da chiedere che mi vengano regalate quando firmo, che ne so, la ricevuta del pagamento con carta di credito. A volte sono amabilmente e allegramente accontentata, altre volte la resistenza a cedere/concedere è strenua e fatta con le scuse più assurde – le cassiere del supermercato sono imbattibili quando ti negano la penna M&M’s con le lenticchie colorate a mo’ di decorazione e un inchiostro fluido che in quel momento pensi a quanti schizzi potresti realizzare e invece ti viene negata! dicendo: Signora, è l’unica che ho! poi aprono la cassa e ti accorgi che ne hanno altre dieci, di penne, che aride/avide! Ma la passione delle passioni in assoluto sono le cose fornite di tastiera. Cominciò che ero ragazzina, verso i sedici anni. Olivetti, ancora in odore di cose eccelse, produceva allora la mitica Valentine, su progetto di Ettore Sottsass – l’Ettorino dell’amata Nanda Pivano che avevo appena iniziato a leggere. L’ottenni dopo estenuanti trattative con i miei genitori e con la promessa che l’avrei usata, naturalmente. Rossa fiammante, odorosa di inchiostro, quello del nastro che scorreva da una parte all’altra delle bobine gialle becco d’oca, usata sempre, ci mancava poco non scrivessi anche i compiti che mi venivano assegnati per casa. Ma la mia passione era ricopiare le poesie, i testi delle canzoni, scrivere qualsiasi cosa, anche le lettere – sarebbe stato meglio di no, per quest’ultime, ma dovevo pur usarla, no? Mi piaceva infilare il foglio nel rullo, stabilire a mano lo spazio di tabulazione, battere le dita sui tasti, ” sentire ” la struttura dello scrivere, arrivare in fondo al rigo e tornare indietro con il carrello. Una scrittura carnale e possente quella della macchina da scrivere, una bella scrittura. Certo non era semplice replicare il testo; si usava la carta carbone che spesso lasciava aloni sul doppio foglio e se era stata già usata molte volte non ” ricopiava ” un bel nulla. L’errore di battitura era una disperazione perché avevi ben poche possibilità di risoluzione; all’inizio avevo solo la gomma per inchiostro che lasciava briciole nel carrello e tra le asticelle di metallo che reggevano i caratteri tipografici in metallo – di un solo tipo, naturalmente, e riconducibili a quella macchina e non ad altre, molto spesso, per un carattere che tracciava segni differenti o una lettera non perfettamente allineata che faceva riconoscere la tua macchina rispetto ad altre…ne sapevano qualcosa i terroristi, quando beccavano nei covi le Olivetti con le quali avevano stilato un qualsiasi comunicato, le Brigate Rosse paradossalmente denunciati da una lettera non allineata! Poi venne l’avvento della scolorina liquida con pennello, che aveva tempi di asciugatura biblici, sicché ti auguravi di non sbagliare mai, perché altrimenti ti toccava anche soffiare per fare in fretta e lo spessore del correttore, quando cominciava a solidificarsi, formava a volte delle forme compatte in cui il tasto affondava colorandosi di bianco, e nella ripetizione di quel carattere provvedeva a sporcarti tutto il nastro inchiostrato di pappella bianchiccia… le gioie della correzione! Battevo a due dita e lo faccio ancora adesso, non sono mai riuscita ad imparare diversamente. Poi, lavorando in uno studio tecnico, ho avuto modo di sperimentare l’evoluzione dell’Olivetti meccanica con quella pseudo elettronica e poi i primi computer e poi tutto il resto. La Valentine è ancora lì in un armadio, al sicuro nel suo involucro rigido, perfettamente conservata con il suo odore di Valentine. ( Grazie a Marco Un po’ di mondo che mi ” provocato ” pensieri così piacevoli )
Magazine Diario personale
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