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Dei cristiani davvero perseguitati a causa della loro fede

Creato il 02 gennaio 2011 da Malvino
Discutendo sui cattolici perseguitati in Cina, abbiamo messo in evidenza il fatto che “non sono fatti oggetto di persecuzione in quanto credenti, né in quanto cristiani, né in quanto seguaci della dottrina cattolica”, ma “perché riconoscono come loro vescovi solo quelli nominati da Roma, disconoscendo quelli nominati da Pechino” e abbiamo sollevato obiezione a Benedetto XVI che ha definito tutto ciò una “limitazione della libertà di religione e [addirittura] di coscienza”. Ci è d’obbligo, ora, parlare dei cristiani davvero perseguitati a causa della loro fede. Non già di cattolici ai quali lo Stato scippa la libertà di avere vescovi d.o.c., imponendo loro il solo ma insopportabile giogo dell’obbedienza a una gerarchia diversa da quella vaticana, non apostolica ma di partito: parliamo di cristiani (anche non cattolici) perseguitati e uccisi per il solo fatto di essere cristiani, per lo più da musulmani.È il caso dell’orribile strage di copti ortodossi in Egitto, ieri, e delle deprecabili violenze ai danni dei metodisti dell’Associazione cristiana in Nigeria e dei cristiani della Chiesa Caldea in Iraq, a Natale. [En passant, è da segnalare il fatto che non si tratta di cattolici apostolici romani, ma che il Papa ne lamenta la persecuzione come fosse ai danni di membri della comunità sulla quale vanta “potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale” (Codice di Diritto Canonico, can. 331), includendovi dunque anche i cristiani che non riconoscono tale autorità nell’ambito della “Chiesa universale” come promanazione di Cristo. Si tratta di una forzatura ecumenica che si traduce in una ulteriore ma assai più sottile violenza ai danni dei cristiani non cattolici – o ai cattolici di rito non romano – perseguitati dai musulmani: annessi come martiri di una fede che per tanti aspetti (ecclesiologici, ma anche cristologici) non è da essi pienamente condivisa.]
Superfluo dire che l’uso della forza è una costante di tutti i conflitti interconfessionali ed è da condannare sempre: non potremmo soffermarci, come qui facciamo spesso, su quella che Karlheinz Deschner ha giustamente definito Kriminalgeschichte des Christentums senza essere sensibili in egual misura ai crimini commessi in nome dell’islam. Superfluo dirlo, ma diciamolo lo stesso, a scanso di ogni equivoco: bruciare un uomo – un cataro del XIII secolo, un templare del XIV secolo, un ebreo del XV secolo, un nolano del XVI secolo, una strega nel XVII secolo, ecc. – è cosa brutta e non si fa.Le ragioni principali sono due. La prima, di natura religiosa, vieta all’uomo di compiere violenza sul suo simile, in quanto creatura di Dio; c’è tuttavia da segnalare che sul concetto di simile c’è (o c’è stata) sempre controversia in ogni confessione religiosa, con la tendenza a restringerlo all’ambito dei simili per fede. La seconda, di natura umanistica, allega alla vita umana un valore sacro (non necessariamente trascendente: il sacro può non essere riflesso del divino, ma del primato umano sul mondo) e che perciò può essere negato al simile che sia identificato come nemico dell’umanità; anche qui non è raro constatare controversia, però sul concetto di umanità.Ci sarebbe una terza ragione, capace di sanare ogni controversia: per quanto possa essere diverso da me, per quanto diversa dalla mia possa essere la sua idea di umanità, nessun uomo può essere bruciato: né in nome di Dio, né in nome dell’umanità. Trattandosi di assoluti, Dio e umanità tendono infatti a eliminare i relativi e quasi sempre finiscono col non farsi scrupoli nel ricondurre il molteplice all’unità. Questa terza ragione rigetta il fondamento totalitario che è nelle altre due e trae argomento dal diritto intenso come convenzione tra diversi che si danno uguale regola, in libera e responsabile autodeterminazione. In virtù di tale ragione nessun Dio e nessuna idea di umanità possono porre una ipoteca sulla convenzione, che così non può essere data come universale né eterna, e perciò non può sacrificare l’individuo a un assoluto.
Anche qui dobbiamo sollevare obiezione a Benedetto XVI, che su questi ultimi episodi di violenze a danno di cristiani si è così espresso: “Assistiamo oggi a due tendenze opposte, due estremi entrambi negativi: da una parte il laicismo, che, in modo spesso subdolo, emargina la religione per confinarla nella sfera privata; dall’altra il fondamentalismo, che invece vorrebbe imporla a tutti con la forza” (Angelus, 1.1.2011).L’obiezione è data dal fatto che solo nella sfera privata gli assoluti possono avere piena dignità: in quella pubblica hanno tendenza a generare conflitti che sono sempre violenti, anche quando non cruenti. A farne le spese sono sempre i più deboli e così è stato per un lungo tratto della storia del mondo cosiddetto cristiano. Non si è ancora spenta l’eco dei papi che condannarono chiunque rifiutasse la piena obbedienza alla loro autorità morale e sociale: sul piano storico è assai prematuro chiedere all’islam ciò che al cristianesimo è riuscito solo tardivamente e con grande difficoltà. Parrebbe, insomma, che a lamentare i morti di queste ultime settimane abbiano più titolo i cosiddetti laicisti che il Papa.Si tratta di vittime cristiane, ma non solo: sembra che anche stavolta sia stato difficile mettere in pratica il dettato evangelico di porgere l’altra guancia e di pregare per i propri persecutori e che sia in Egitto che in Nigeria a violenza sia stata opposta violenza, anche se di minore entità per la considererevole sproporzione di forze in campo.

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