La pioggerella che mi aveva accolta all'uscita dall'aeroporto ha continuato a cadere anche la mattina successiva, e dopo aver atteso inutilmente fino a mezzogiorno che smettesse, o almeno calasse di intensità, sono uscita a procurarmi lo stretto indispensabile per sopravvivere. Ho passato mezz'ora al konbini cercando di capire quale era il detergente giusto per il bagno e dopo una serie di altri dubbi amletici ho pagato, sono uscita e tra acqua e vento mi sono trascinata a casa con tre sporte pesanti e l'ombrello in mano, imbacuccata in un k-way blu elettrico proveniente direttamente dagli anni '90. Immaginatevi la scena. Nel frattempo, le ragazze giapponesi svolazzavano serenamente in shorts e sandali, completamente asciutte, come fossero idrorepellenti.
Qui i barbieri - alcuni almeno - hanno ancora la classica insegna
a spirale blu e rossa. A me piace tantissimo.
Per fortuna non ho rimandato la spesa al pomeriggio: il tifone numero 17 è passato a darmi il benvenuto, costringendomi in casa a fare le pulizie e facendo pericolosamente oscillare i fili elettrici davanti al mio balcone. Dopo una giornata intera di gran vento, l'aria era tersa e le montagne all'orizzonte, contornate da basse nuvole, facevano sfoggio del loro verde brillante.
Oggi ho continuato l'esplorazione, scovato un paio di templi a pochi metri da casa, incastrati tra palazzoni grigi e viuzze residenziali.
Girando per le strade, soprattutto qui che non è zona turistica, mi sento addosso tanti sguardi: sono inequivocabilmente gaijin, straniera, e questo mi rende automaticamente una curiosità da osservare. Tra i banconi dei supermercati, lenta a scegliere e poco pratica di sapori locali, mi passano tutti intorno al trotto, decisi e fulminei. Mi sento ingombrante e goffa, spero di riuscire presto anche io a percorrere le vie di questa città con leggerezza.