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Del cantare, dello sparar cazzate e dello sputar sentenze

Creato il 06 marzo 2012 da Frankezze

Del cantare, dello sparar cazzate e dello sputar sentenze
Non dire un cazzo o dire una cazzata? Sono sicuro che questo dilemma avrà attraversato anche la provatissima calotta cranica di Adriano Celentano, lì sul palco di Sanremo. Lì, sul palco di tutti i monologhi della sua vita. In quel lungo momento prima di parlare, tutto sta ancora andando benissimo. Lui, che conosce il valore teatrale della pausa, ha il pieno controllo della situazione e il pubblico in pugno, a bocca aperta… “Chissà che cazzo dirà, ora”.

Tutti si sono dimenticati del fatto che sanno che sta per dire una cazzata. È sempre andata così dal 1950 ad oggi. E lui è un grande perché ogni volta riesce a rinnovare un repertorio che è già vastissimo. Non parliamo delle canzoni, ovviamente, ma delle cazzate. Lui è un grande perché gli riesce di dire cazzate che smentiscono le cazzate precedenti, in un tango di cazzate che tiene incollato il pubblico cazzone alla manifestazione più popolare dell’Italia cazzara.

Gli dovremmo volere bene perché porta in prima serata le nostre passioni italiote: cantare e sparare cazzate. Noi padri della sposa ubriachi, scaldasedia sabotatori della crescita, statali in eterna pausa sigaretta, homo homini lupus in fila rabbiosa al supermercato, quante volte abbiamo stoppato la corsa del Pil per prendere la parola e vomitare processi sommari, rivoluzioni alla “armiamoci e partite”, attacchi personali ingiustificati seguiti da retromarce complete e senza imbarazzi… Parlando anche di Sanremo e delle cazzate Celentane collezione inverno 2012.

Invece dobbiamo volere bene ad Adrianone, come dobbiamo levare il cappello di fronte ai lumpen clippini di Vasco. Non dobbiamo aspettare che raggiungano Lucio Dalla, altro anarco cazzaro che ci ha lasciato canzoni memorabili e arringhe dadaiste al sapor di “nuddu ‘mmiscatu cu nenti“.

Dobbiamo volere un po’ meno bene a quelli che, criticando i monologhi Celentani a Sanremo, si sono esibiti al bar in monologhi ancora più sconclusionati e Sanremesi nello sprezzo della curva di attenzione degli astanti. Dobbiamo volere un po’ meno bene a chi, prendendo alla lettera i deliri dei lumpen clippini, delira più di Vasco Rossi, senza averne l’indiscutibile carisma in acetato. Dobbiamo volere un po’ meno bene a tutti quelli che, con molta eleganza, a Dalla morto si sono fatti tutti froci col culo di Dalla.


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