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Del perché la morte dell'orsa Daniza è un fatto grave
Creato il 12 settembre 2014 da Loredana De Michelis @loridemiCi ho pensato, se scrivere o no questo post: mi sembrava rindondante e ovvio. Ma poi, vedendo i commenti assurdi su internet, gli stupidi articoli di svariate testate giornalistiche, le ottuse esternazioni di gente che fa tendenza, ci ho ripensato. Non so a cosa possa servire: sembra che il buon senso sia diventata una malattia tediosa da tenere a distanza, ma il senso d'impotenza che tutta questa storia mi ha scaraventato addosso, tenterò di superarlo così.
E' morto un orso. Di per sé, per quanto io ami gli animali, non è un fatto che posso considerare particolarmente drammatico. Ma questo orso faceva parte di un progetto, un progetto per il quale sono stati spesi dei soldi, guadagnati da chi paga le tasse. Il Trentino ha ricevuto quel denaro, sapendo bene che la sua comunità, in cambio di quei soldi, avrebbe dovuto accettare il fatto di avere degli animali potenzialmente pericolosi nei suoi boschi.
La faccenda di Daniza quindi mette in luce un triste aspetto della civiltà, che non riguarda solo un posto o un animale, ma tutto il mondo: vogliamo la natura, ne abbiamo bisogno per sopravvivere, ci lucriamo, ma la vogliamo addomesticata. Temiamo gli animali grossi e feroci e la loro potenziale capacità di ucciderci e muoriamo per il 99,9% dei casi uccisi dai nostri simili, per omicidio, incidente, conseguenze di scelte politiche ed economiche sbagliate. Nell'altro 01% dei casi, siamo uccisi soprattutto dalle api (che non possiamo sterminare pena la scomparsa planetaria della frutta), dalle zanzare, dai ragni e da altri piccoli animali senza denti. Eppure uno squalo, un cane inferocito, una tigre, ci accendono la fantasia atavica della vittima perseguitata. Un incidente con un orso mette a rischio la libertà dei bimbi di andare per boschi dove soggiornano da sempre (e sempre soggiorneranno) comunissime vipere, che assieme alla caduta di massi e alberi e assieme alle fucilate dei cacciatori causano incidenti quotidiani, che alla comunità costano molte vite e, nessuno lo dice mai, molto denaro in interventi medici e di salvataggio.
Ma il popolo non sa contare, né fare un rapporto tra comuni incidenti annuali sulla neve o al mare e attacchi di orsi e di squali. Mentre molta più gente morirà facendosi un selfie, il popolo si preoccupa della potenziale temibile pericolosità di un orso e passa SUBITO all'azione, con l'orso. Col selfie, boh. Con i problemi legati all'abuso di alcool della zona e i suoi costi complessivi, lascia perdere, son cose complesse.
Un'altra verità che la storia di mamma Orsa porta dolorosamente alla luce è l'incapacità di chi governa di fare un progetto ben fatto, sensato, democratico, anche su una situazione semplice, e la totale mancanza in Italia di un sistema d'informazione che sia di qualche utilità. Nel comune di Vattelapesca un sindaco emette un'ordinanza per la cattura di un animale selvatico: tutti i mezzi d'informazione lo dicono. Sul web si scatenano i cretini che urlano “non uccidete Daniza”. Il sindaco ribadisce “Nessuno la vuole uccidere, soltanto catturare”. Nessuno però pensa di chiedere al sindaco in questione: “Catturarla per fare cosa?” Farle una ramanzina? Sottoporla ad un programma di rieducazione? Le analisi del sangue? Cosa? E' un animale già radiocontrollato, schedato, a cui sono già state fatte analisi di ogni genere. Nessuno chiede, tutti distratti dalla bagarre.
Cosa voleva fare il sindaco di Vattelapesca con un'orsa con appresso dei cuccioli che, anche se l'orsa fosse stata semplicemente catturata, sarebbero stati in immediato pericolo? Non si sa. In Italia, chi spende denaro pubblico non deve giustificare come e perché lo spende, non pubblicamente, comunque.
Daniza ci dimostra anche che il grande mito di Facebook, l'ultima speranza di un popolo frustrato e impotente, era una chimera: una petizione di 65.000 firme, consegnata al sindaco di Vattelapesca nel giro di 15 giorni e che chiedeva la sospensione della caccia a Daniza è stata ufficialmente accolta con un grazie e ha avuto il peso politico di una scoreggia. Forse qualcuno per un po' non comprerà le mele del Trentino, ma di sicuro 65.000 persone non si daranno mai più la pena di firmare una petizione, che sia per un animale o per un operaio licenziato: sperare e venire gabbati fa male, meglio l'inedia, meglio i giochi online con le bubblebubble, almeno lo scelgo io di essere scemo, non mi ci fai tu.
Non è morto un orso: è morta la speranza di contare qualcosa, per un sacco di persone. E se non si può fare niente per una cosa che dovrebbe essere così semplice, come un animale, figurasi se si può fare qualcosa quando ci sono di mezzo interessi più grossi e persone più influenti.
La miopia di un'amministrazione di montanari testoni ha dato un'altra mazzata al senso di utilità degli italiani. Sarebbe stato più astuto salvare Daniza e lasciare a tutti l'illusione di contare qualcosa, ma no, neppure la furbizia abita più qui.
Le associazioni animaliste, sovvenzionate dal 5 per mille, come l'Enpa, i cui interventi si basano sull'opera gratuita di volontari, ma i cui amministratori vivono a Roma, in ville del '700, potevano fare uno sforzino. Ma sono talmente imbolsite anche loro, talmente abituate a vivere di parole al vento, che non hanno capito e ancora non capiscono il rischio: se i cuccioli di Daniza, abbandonati nel silenzio mediatico, muoiono, come moriranno, e se qualcuno lo farà sapere, e qualcuno ci sarà, questo è il mondo dello scandalo redditizio, ci sarà un motivo plateale in più per dire che non servono a nulla. Possono solo sperare nel popolo anestesizzato, che continuerà a disegnare epitaffi per Daniza per altre 24 ore per poi passare ad altro.
Infine, l'incapacità, anche esecutiva, le scuse arraffazzonate, i sospetti, di cui questa vicenda si sta arricchendo e che la fanno diventare un emblema, politicamente trasversale, di quello che siamo diventati.
Credo che questo sia un momento storico in cui l'Italia non ha assolutamente bisogno di sentirsi perdente una volta di più, pena un senso di scoramento grave e generalizzato, le cui conseguenze rischiano di essere imprevedibili e di certo non utili alla tanto invocata ripresa. Si poteva evitare con poco, proprio poco.
A cosa è servito far piangere a scopo didattico generazioni di bambini sulla storia di Bambi?
Non è soltanto la “stupida morte di un orso” o il dramma di una madre. E' la stupidità globale, per l'ennesima, ennesima, ennesima volta, la protagonista di tutta la storia.
L'immagine di questo post è opera originale di Ale Giorgini, che ne ha fatto omaggio alla comunità, a patto che non sia utilizzata a scopi di lucro.
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