Vizio, abitudine, semplice curiosità… chiamatela come volete, soliti lettori: fin da quand’ero piccina, ho l’abitudine di dare molta importanza ai testi dei brani che ascolto.
Immaginatevi la Scribacchina bimbetta, a inizio anni Ottanta, otto anni.
Da poco tempo ha imparato a leggere correntemente in italiano; l’inglese è uno scostante sconosciuto, a scuola mica l’insegnano.
Eppure quella canzone, Victims dei Culture Club, è tanto bella che il desiderio di capire le parole cantate da Boy George rende possibile l’inconcepibile. La vedete pure voi, quella bimbetta: il vocabolario d’inglese aperto, tutta intenta a cercar di capire l’arcano, tra un ignoto inglese parlato e un ostico inglese scritto. Con un po’ d’ingegno e tanta fantasia, riuscirà ad intuire – forse – che “plis” si scrive “please”.
N’è passato di tempo, da allora.
Eppure, quel viziaccio di prestare attenzione ai testi dei brani è rimasto.
Sempre con atteggiamento di ricerca.
E col sentore che, sì, dietro quelle parole straniere si cela qualcosa da imparare.
O qualcosa da condividere.
O uno specchio in cui riflettersi.