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Delitto e non castigo

Creato il 13 gennaio 2013 da Davideciaccia @FailCaffe

Cosa porta due uomini come Dostoevskij e Allen, distanti solo poco più di un secolo, a muovere le pedine delle loro storie con esiti così diversi?

di missannanever

Due ragazzi solitari, due assassini : Rodja (diminutivo di Raskol’ nikov), giovane studente russo e protagonista del romanzo Delitto e Castigo uccide una vecchia usuraia simulando una rapina; la sua non è sete di arricchimento, desidera solo compiere giustizia eliminando un’anziana donna crudele. Un secolo e mezzo dopo Chris, protagonista del film Match Point, giovane insegnante di tennis irlandese trasferitosi a Londra uccide l’amante incinta che rischiava di compromettere il suo plurimiliardario matrimonio, anch’ egli celando l’intento omicida in una rapina andata male. Tra il libro e il film sono tanti i punti in comune e Woody Allen rende espliciti i richiami al libro in diverse scene in cui Chris o legge o cita il  romanzo di Dostoevskij che gli è stato, in parte, d’ispirazione. Eppure il percorso di Rodja è destinato ad essere molto più oscuro e fitto di ombre.

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Subito dopo aver commesso l’omicidio viene assalito da feroci sensi di colpa che somatizza in giorni di febbri e deliri; l’angoscia, il rimorso per quanto compiuto lo tormentano senza dargli tregua e il suo segreto lo ha reso un uomo completamente solo, impossibilitato a chiedere aiuto. Soffocato dalla paranoia di essere scoperto e dalla paura per quanto commesso troverà pace solo costituendosi e accettando la pena assegnatagli.  Chris, invece, trama, medita, uccide e con estrema lucidità continua a fingere, come se nulla fosse mai successo. Certo, ha anche lui i suoi fantasmi, ma sono sotto controllo, non si fa dominare dalla paura. Non teme ripercussioni divine, non cerca espiazioni, tutto procede come progettato e va bene che sia così.

Cosa porta due uomini come Dostoevskij e Allen, distanti solo poco più di un secolo, a muovere le pedine delle loro storie con esiti così diversi? Perché lo scrittore russo è fermamente convinto che a ciascun delitto corrisponde un castigo che non è assolutamente quello inflitto dallo Stato, ma è quello interiore, fatto di tormenti e sensi di colpa? E perché non vediamo traccia della stessa angoscia dopo l’atrocità commessa dal giovane irlandese?

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C’è un punto di svolta tra il regista e lo scrittore : il Novecento. Non un secolo come gli altri, ma il secolo dell’abisso , del senso di vuoto e smarrimento, perché “Dio è morto”. Quando Nietzsche annunciò la morte di Dio urlava al mondo il più funesto dei presagi: tu, uomo, sei assolutamente solo; è morto Dio,  è morta qualsiasi cosa in cui tu possa credere, qualsiasi certezza. Non esiste un Padre che ti osserva, un principio regolatore, una storia scritta, una giustizia divina. Non devi lottare per un aldilà che non esiste, non devi essere buono per un giudizio finale. Non è morto Dio in senso teleologico, ma è morta qualsiasi verità in cui credere, l’uomo è in balia del nulla e Allen, come noi, è figlio di questa terribile scoperta.

Chi è nato dopo il funerale di Dio è consapevole che la propria coscienza non è altro che un burattino di cui la nostra razionalità manovra i fili. Sensi di colpa, azioni giuste, azioni sbagliate… per chi?  Rispetto a cosa? È il caso a governare le nostre esistenze, come la pallina da tennis che tocca il nastro, per caso può cadere nella nostra metà di campo e sempre per caso può cadere nell’altra. Tutto è relativo in un mondo senza re e senza legge e la Fede non ha ragione d’essere, perché non c’è alcuna entità a cui rivolgerla. 

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 Chris uccide una donna e il figlio che porta in grembo ma non ha alcun cospetto di Dio a cui presentarsi, è sufficiente che una convergenza di casualità gli permetta di non essere scoperto per proseguire nella sua scalata sociale con freddezza e lucidità come se nulla fosse.

Anche noi siamo figli del Novecento, anche noi siamo abbandonati a noi stessi, orfani di qualsiasi dio, distanti o meno da un uomo come Chris a seconda del grado in cui riusciamo a domare le nostre coscienze.

Ma anche la coscienza è un fatto sociale ed a questo punto il dettato evangelico “non fare a gli altri quello che non vuoi sia fatto a te” o ancora e meglio “ama il prossimo tuo come te stesso”, assume un significato diverso:  non più il Comandamento di Dio ma una norma di vivere civile,  un’esigenza della società e del singolo che è a conoscenza di poter rivestire il doppio ruolo di carnefice e vittima, di poter essere Chris (l’assassino)  o la sua amante assassinata.  La fede ed il rispetto della norma che ne discende diventa dunque una necessità, l’alternativa alla barbarie o, se preferite, all’angoscia di una vita indeterminabile.


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