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L'inizio del campionato e le disavventure calcistiche dell'A.S.Roma ci danno l'opportunità di parlare di team building, dei limiti del marketing e di cosa succede quando c'è una forte dissonanza fra il reparto dedicato al social media marketing e il "prodotto" lanciato sul mercato. La questione è molto semplice: l'A.S.Roma è stata rilevata da una cordata americana. Marchio e città italiana sono considerati prodotti adatti a un business internazionale. Il marchingegno del marketing, della comunicazione e delle partnership di alto livello si muovono a ritmo serrato. Parte il tour promozionale negli USA, la progettazione del nuovo stadio, l'apertura di scuole calcio in America e tutta una serie di eventi creati ad hoc per aumentare il pubblico pagante sugli spalti e negli store. Una cosa da urlo, insomma. Peccato che, come l'anno scorso (e quelli prima ancora), la squadra non stia producendo i risultati sperati e - probabilmente - programmati nel Gantt. Peccato rischi la retrocessione in B. Cosa succede in questi casi, perché accade, come superare la crisi e le ingenti perdite in borsa?I tifosi sono sconcertati, dispiaciuti, arrabbiati, rassegnati. Oscillano fra i vari linciaggi verbali e seminano ovunque su Facebook richieste di dimissioni della dirigenza italiana, del tecnico e della cordata americana. In questo anno e mezzo, il marketing ha sventolato davanti al naso impaziente degli oltre cinquantamila spettatori romani il mito dell'invincibile. Puntuale come un orologio svizzero, il risultato pessimo non si è fatto attendere. Prima c'era il "progetto", poi c'è stata "la conquista del mondo", poi ancora "il riscatto". Ora, guardando quei striminziti punti in classifica, non è rimasto che un pugno di mosche. Disillusione. Il grande limite del marketing è tutto qui: creare un'aspettativa elevatissima senza riuscire a realizzare quanto proposto. E' legittima l'emozione di inganno presente in moltissimi discorsi nei bar della capitale. Molti sostengono che ci vuole tempo per creare una squadra vincente partendo da una società in bancarotta. Un anno e mezzo non basta. Hanno ragione, secondo me. Ma aggiungerei un'altro elemento. Non è solo questione di tempo, pazienza, perseveranza e fede incrollabile nei colori di una maglia. Come in molti casi, entra in gioco il rispetto e la chiarezza. Gli obiettivi annuali della società non sono mai stati resi noti. E' logico aspettarsi che in un oblio di potenzialità, ogni persona della capitale sia giustificata nell'attendersi quello che ritiene opportuno. I clienti, ovvero i tifosi, non sanno che cosa sperare. La loro squadra dovrà semplicemente sopravvivere, galleggiare, nuotare oppure alzerà la coppa? Quello che accade è che, attualmente, sono lo zimbello degli sfottò di ogni nemico in campo, poco importano le sanzioni pesanti adottate nei confronti della Juventus per i cori violenti contro Zeman.
Paliamo di Zeman e della Juventus, quindi. Ho una mia opinione sul tipico tifoso juventino perché ne ho conosciuti tanti. Rispetto alla squadra e alla dirigenza non posso che trovare indegno il comportamento mantenuto sino ad oggi nei confronti del calcio. Zeman e la Juventus sono legati. L'uno ha denunciato lo schifo che l'altra felicemente portava avanti in tutta serenità giudiziaria: ecco quindi calciopoli, calcioscommesse e compagnia cantando. Il tecnico giallorosso ha pagato in prima persona l'aver portato a galla delle evidenze e coincidenze scomode. Tuttavia, i sassolini nelle scarpe non se li è tolti tutti e questo significa che, una volta tornato sulla panchina della sua squadra del cuore, le polemiche sono iniziate. Polemiche personali, il più delle volte. Allo stesso tempo, la squadra continua a zoppicare. Tanti infortuni, tante assenze, tanti giocatori acquistati ancora non in grado di giocare. Tutto questo per aprire un piccolo paragrafo sulla questione della costruzione di una squadra (team building) intesa come insieme di persone che lavorano per un obiettivo comune. Esiste un obiettivo comune nell'A.S.Roma? A me pare di no. Quello che viene trasmesso all'esterno di Trigoria è che ognuno ha i suoi obiettivi personali, a partire dai dirigenti americani. Per loro c'è il business in dollaro tonante, quelli italiani idem, il tecnico vuole il riscatto e la rivincita sulla Juventus, ogni singolo giocatore ha qualche obiettivo di quartiere. Non sono uniti. Non ne danno l'impressione, almeno. Non ci può essere un risultato omogeneo con una situazione così dispari.
Mi sono sempre chiesta quanto la squadra che scende in campo condivida le idee e i propositi dei boss americani. Non si impegnano, quindi mi sento di dire che non sono molto interessati all'ipotesi di diventare i nuovi leader calcistici nel mondo, addirittura oltre il Barcellona o il Real Madrid (altra cosa paventata all'inizio). Non sono nemmeno emozionati o animati da una verve agonistica tipica dei giovani. Galleggiano, pur impegnandosi negli allenamenti. Sul campo è come se mettessero ina tto uno sciopero a domenica. Non segnano, non giocano, non difendono, non vincono. Contro chi stanno protestando? Per ricevere che cosa?
Un'altra fantasia che mi ronza spesso in mente è la seguente: quanto si sentono usati i giocatori? Sono seguiti dai fotografi in ogni allenamento, sono protagonisti costanti sui social network, i loro volti sono icone e, non di rado, l'idolo giovane e bello pubblicato su Facebook scatena ormoni femminili e ammirazione maschile. Se fosse troppo? Troppi riflettori, troppo sfruttamento dell'immagine, troppo sentirsi "oggetto" per fare soldi, qualcosa di molto lontano dal concetto di giocatore di calcio attualmente vigente in italia? Questa nuova cultura americana potrebbe aver utilizzato un passo troppo "pesante" entrando in un territorio distante mille miglia culturali da quello di provenienza? Roma non è New York e l'A.S. Roma non è Boston Celitc.
Tutto questo è veramente interessante ed è un problema comune in moltissime aziende italiane. Quanti dipendenti condividono gli obiettivi degli imprenditori? Quali politiche di team building vengono realizzate nelle grandi multinazionali italiane e nelle piccole imprese di famiglia? Quanta attenzione c'è per la condivisione di guadagni? Quante volte succede che tutti i lavoratori sono considerati parte importante del business di un'azienda piuttosto che grosse mammelle da strizzare per agguantare fino all'ultima goccia di latte produttivo? Quanta comunicazione aziendale proficua viene portata avanti? In quasi tutte le realtà che ho conosciuto, la comunicazione all'interno in azienda così come l'attenzione per le risorse umane era rasente lo zero. Mi chiedo come sono gestite le politiche comunicative nelle reali stanze di Trigoria e mi chiedo se esistono sanzioni per gli interni per i danni causati all'immagine della Roma attraverso comportamenti inadatti, superficiali o del tutti apatici.
Non so dirvi perché, con una squadra quasi nuova di zecca, si siano ripresentati i soliti problemi noti (lentezza nel gioco, sufficienza, poco agonismo). Mi chiedo quale sia il reale mito di questa squadra. Avrebbe tutto. I maligni potrebbero pensare all'infiltrazione del calcio scommesse. Io credo che si tratti di un problema caratteriale e culturale che si tramanda identico da anni, nonostante i calciatori siano cambiati e ruotati.
Se diamo un occhiata ai profili social della società, ci accorgiamo che alcune proporzioni, in alcuni momenti, si sono capovolte. I "Mi piace!" sono diminuiti e i commenti si sono impennati davanti all'arrembaggio della Juventus. I contenuti sono tornati accesi, violenti, pieni di insulti reciproci. I post pubblicati non sono luoghi sereni di confronto e l'assenza di moderazione fa sì che siano rese pubbliche opinioni passabili per diffamazione. Personalmente mi infastidisce molto leggere tutta la sequela di improperi pubblicati dagli utenti. Come mi infastidisce non capire dietro a quanti profili pubblici c'è la società giallo rossa. Vorrei sapere se sono in un profilo di un tifoso o se sono all'interno della tela del ragno social. Sono molti i profili dedicati alla Magica: chi c'è dietro, realmente? Chiarezza fa rima con business, secondo me. Non ho tenuto il conto delle oscillazioni di follower sui profili, ma immagino che ci siano state delle perdite. Personalmente credo che disdirò il pacchetto Calcio su Sky perché mi voglio evitare il patema d'animo perenne che la Roma sa darmi ogni volta che scende in campo. Questo non significa non essere "una vera tifosa".
Chi non vive a Roma forse può solo immaginare cosa vuol dire essere un attuale cittadino romano. Facciamo finta di non vedere il putrido esempio dei politici della Regione Lazio. Facciamo finta di non considerare le questioni della disoccupazione della crisi, delle tasse e della "fantastica" Equitalia. Rimaniamo solo sulla vita terra a terra. Qui si lotta ogni giorno; da quando tenti di prendere l'autobus per andare al lavoro, nei rari momenti in cui l'ATAC non fa sciopero generale o sciopero bianco, fino alla conclusione in cui tenti di dormire creandoti bolle di silenzio nelle orecchie, mentre l'ATAC scandisce l'insonnia con il passaggio degli autobus cadenzati. Vedere la Roma è, per molti, l'unica cosa bella della settimana. Ardore vivo, passione pura. Poi scende in campo e quasi fa spallucce. Goal subito dopo partita persa o pareggiata.
C'è da aspettarsi un nuovo calo di presenze allo stadio. Mi chiedo quali teste salteranno una volta che la dirigenza americana avrà ben inteso quel che accade in Italia con il loro denaro.