Dunque, alternando scompensi cardi0-circolatori con eccitanti vertigini di mammità sono giunta alla somma massima di quattro mesi di vita dei miei due gemelli.
Roba di pappe, pannolini, latte, latte e biscotto, ninne e urli vari ed eventuali, roba di notti (spesso non mie, ma del mio stimatissimo coinquilino amato) e “baba caca titi”. Roba soprattutto di sorrisi, strazianti, pietosi e orchestrati per suscitare in ogni istante gioia e pena.
Roba di voglio dormire, magari andare al cinema, vorrei farmi una giornata alle terme, roba di prendo il primo treno per la Siberia e torno.
Ma anche roba di coscette e piedini, piedini e coscette. Talmente in abbondanza da rischiare l’idiosincrasia.
E poi anche roba di confronti con la prima figlia.
Di come era la mia vita, di a che punto ero, di come avevo appena iniziato la mia vita di libraia.
Vorrei sempre essere chiara su questo punto: essere una libraia per bambini non è una bella vita stese al sole.
No.
Ma almeno ora mentre guardo le coscette degli gnomi che mi sorridono dai loro ovetti, ho la netta sensazione che di sorrisi me ne perderò sicuramente alcuni ma non moltissimi. Che potrò tornare a un lavoro che mi piace con una collega che mi piace, in un posto che mi piace a fare esattamente quello che mi piace.
Ecco. Penso a questo quando parlo con le mie corsiste sulla bellezza di costruirsi un mestiere a propria misura.
Quanto oggi sia impossibile poter vedere più di passetto al giorno del proprio figlio e contemporanemente lavorare.
Questa enorme difficoltà tutta italiana che relega le donne in condizione di” lavoratrici un po’ ma non troppo”, “madri un po’ ma non troppo”, insomma è tutto “un po’ ma non troppo”! Questo rende la vita per noi faticosa, colma di malcelati sensi di colpa e di grandissime difficoltà o economiche e di realizzazione personale, se si rinuncia al lavoro, o pratiche se si decide di continuare a lavorare.
A volte dispero che una politica seria sulla flessibilità lavorativa femminile, con seri incentivi che favoriscano un’organizzazione del lavoro che consenta a noi madri lavoratrici di poter avere una vera conciliazione dei vari ambiti in cui mettiamo le nostre energie non arriverà mai.
Credo che a questo punto non ci resti nientaltro che: coraggio, forza di volontà, avventatezza e capacità di sacrificio tutta femminile.
Credo che sia fondamentale capire se la propria idea funzioni, se il sogno abbia in qualche modo delle radici nella realtà e che sia fondamentale farsi aiutare e chiedere consiglio, prepararsi e sapere quello che si sta facendo.
Ma sono convinta che non ci resti altro, se non i nostri piccoli sogni seri. Quelli che ci salvano dalle incongruenze di questo tempo, che ci vuole tanto buone, belle intelligenti, attive, brave mamme e buone moglie, ottime lavoratrici, senza cedimenti.
Non voglio dire che basti una libreria per essere felici e aver io trovato la soluzione all’enigma. Sarebbe davvero idiota e scontato ipotizzarlo e offensivo dirlo, per le molte che ci provano e non riescono.
Ma voglio ancora una volta raccontarmi: io che anche senza una lira ho comunque provato, che ci sono ancora molti sacrifici, ripensamenti, audaci cazzate e mille mille e mille giorni a pensare se ho fatto bene o male, ma che la vita è per forza di cose complessa, non obbligatoriamente brutta, che scegliersi degli ottimi compagni di viaggio consapevoli e ottimisti fa bene a me e alla mia vita e sopra ogni cosa che quando sembra mettersi male c’è sempre qualcuno che ti passa un ombrello.
E scusate la dedica scema ma questo è per Aurora, Giacomo, Marina, Aneta e Manu (oltre ai miei gnappi) ufficialmente i passatori di ombrello.
*) un settimanale femminile in uscita il mese prossimo mi ha intervistata e mi ha chiesta una foto un po’ impostata; quello che vedete è un estratto del catastrofico backstage domenicale