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Della classicità

Da Distesa
Settimana importante. Giornate di potature intense, spesso sotto un sole invernale quasi accecante.
E alcuni vini che mi fanno riflettere. In compagnia di due grandi del terroir jesino, Natalino Crognaletti ed Alessandro Fenino, uno straordinario Verdicchio Castelli di Jesi Villa Bucci 1992, quasi una pietra filosofale del nostro vitigno bandiera. Poi il grandissimo Mersault JM Roulot 2009, cristallino e puro, durante la bella serata alla cineteca di Bologna, inaugurazione della bella rassegna di Jonathan Nossiter. E infine, alla memoria, un commovente Amarone della Valpolicella Quintarelli 1993, in quel bellissimo winebar che è il twinside.
Così, discutendone avidamente anche con Jonathan e con Fabio Giavedoni, quello che è emerso da questo percorso casualissimo attraverso la storia di questi vini è una idea piuttosto condivisa di "classicità". Vini dove a farla da padrone è la tradizione, la fedeltà ad un canone, la riconducibilità ad un paradigma. E ciò che stupisce è l'assoluta mancanza di noia innanzi a tutto ciò. La meraviglia, anzi, di fronte a ciò che sembra assomigliare ad un ideale platonico. Che è poi tutto il contrario della sperimentazione, degli estremismi, della ricerca di effetti speciali di cui soffrono sia i più feroci difensori della Tecnica, sia i più accaniti rappresentanti della Nouvelle Vague naturalista.
E la riflessione che si può essere grandi classici senza essere per forza mainstream e conformisti e che la tradizione, quando è magica, può essere più rivoluzionaria di un progresso privo di senso.


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