E’ un fatto davvero sorprendente e nello stesso tempo comune, tanto che c’è più da dolersene che da meravigliarsene, vedere milioni e milioni di uomini asserviti come miserabili, messi a testa bassa sotto ad un giogo vergognoso non per costrizione di forza maggiore ma perché sembra siano affascinati e quasi stregati dal solo nome di uno di fronte al quale non dovrebbero né temerne la forza, dato che si tratta appunto di una persona sola, né amarne le qualità poiché si comporta verso di loro in modo del tutto inumano e selvaggio.
[Discours de la servitude volontaire o Contr'un - 1576]
La riflessione è di carattere universale, senza tempo e luogo. Riguarda l’indole umana. Del resto, il “Discorso sulla servitù volontaria”, per quanto sia stato scritto e pubblicato clandestinamente da Étienne de La Boétie, in Francia, tra il 1549 e il 1576 (il titolo originario era Contr’un), e nonostante le naturali differenze culturali e di stile dell’epoca, risulta quanto mai attuale. Soprattutto lo trovo calzante a pennello con tante realtà, comprese quelle locali, laddove laservitù volontariatrova ottimi adepti e sacerdoti.
A distanza di mezzo millennio, è stupefacente per come poco sia cambiato, a mala pena la forma, per lasciar intatti il metodo e l’essenza. Per quanto la democrazia si vada affermando ai quattro angoli della terra, il più delle volte esportata, imposta, con la forza, la servitù volontaria resiste, a denti stretti, e si afferma e resiste, talvolta anche al desiderio di libertà e di autodeterminazione. E’ una questione di educazione e volontà, che fanno difetto, e vengono a mancare. E infatti, anche nella nostra cara moderna democrazia, liberale e socialdemocratica, in cui si afferma il mercato liberista, quale risolutore e panacea delle sorti umane e progressive, esistono servi ossequienti e devoti dei padroni di turno, padroni di tutto, beni comuni compresi, che così tanto comuni non sono più.
Tra le manifestazioni attuali della servitù volontaria c’è dunque l’ossequio al potere, politico ed economico, in tutta la gerarchia (di servitù volontaria) che l’attraversa, dalcaporale al generale (servi di altri servi): consiglieri, assessori, sindaci, presidenti di provincia e regione, onorevoli e senatori, imprenditori, capitani d’industria e padroni, di ogni sorta di ordine e grado. A capo signori e padroni, intenti a far incetta d’ogni sorta di bene pubblico (legittimato da correa volontà politica con la menzogna del progresso e dello sviluppo) e privato (beni sottratti a quanti sono presi dalla necessità) indisturbatamente e con il beneplacito della gerarchia dei “servitori volontari” a partire dalla base.
Servitori, illusi, nell’attesa che ossequio e devozione, più che dignità e libertà, consentano di raccogliere come briciole (a mala pena), i resti dall’avido e lussurioso ingozzo dilorsignori. Un nuovo mendicare, magari uno straccio di lavoro, precario, esodato, spesso mal pagato e condito da ogni sorta di ricatto sorretto dalla necessità. E’ la moderna (non poi così tanto evoluta), schiavitù: misere buste paga gonfiate ad arte (per far comodo ai bilanci, falsi), turni estenuanti, condizioni e orari di lavoro ben oltre la legalità e il terrore di perdere anche quel poco che il munifico padrone ha concesso. E allora vale il “signor si, signor padrone, comandi”.
Fatta salva l’introduzione (15 pagine), il testo (15 pagine) è intenso e scorrevole, leggibile come pochi e tradotto in maniera magistrale. Una lettura consigliata, non solo a chi arde di libertà e dignità.