Dovremmo provare a guardarla da un altro punto di vista. Questa crisi generalizzata che è più di una paralisi che prima ancora dell’economia è della società e prima ancora è una immobilità dei cervelli può essere osservata con altrettanta preoccupazione anche dall’alto verso il basso. Noi che pensiamo di aver preso il potere per il collo per non dire che siamo straconvinti di tenerlo per le palle solo perché nell’Internet non c’è una corsia riservata, una sorta di Telepass dove uno paga e non viene lambito dal traffico popolare che è ancora lì fermo a ravanare nei cassettini del cruscotto in cerca dei venti centesimi. Non esiste una business class su Facebook e su Twitter, se una celebrità decide di gettarsi nella mischia telematica son fatti suoi, aumentano i follower e crescono i commenti a cui poi uno sceglie se rispondere o meno. Non esiste un privé dove sorseggiare vinelli frizzanti a bottiglie numerate con quelli del proprio rango senza essere notati, che è un po’ come i cafonazzi che ormeggiano a Porto Cervo e i poveracci che stanno a spiare da terra dove gettano i gusci durante cene a base di coquillage con le dita tutte inzaccherate di unto. Cioè se a noi del vulgo sembra che il web sia la vera patria del socialismo reale dove il far finta di celarsi dietro a nomignoli trasparenti si fa presto a travolgerlo con questo o quell’altro stratagemma cyberpiratesco, sopra, dalle finestre da cui si lanciano brioches anziché tramezzini, ci sono ambienti abitati da vip facilmente accessibili e fintamente esclusivi che però fanno comodo ai personaggi pubblici. In un mondo già uso alla promiscuità sociale, dove il professionista che porta i bimbi a scuola con il fuoristrada in centro parcheggia in doppia fila a fianco del venditore cingalese di fiori che accompagna i suoi con l’ape, o dove anche le ragazze nomadi hanno tutto il diritto di indossare biancheria modernamente provocante sotto le loro gonnellone di dubbia fattura a vita bassa e, chinandosi, ne mostrano orgogliosamente gli abbellimenti, chi dalla vetta della propria fama ha deciso di condividere sé stesso in impulsi di marketing personale volto a mostrare il lato mortale di quell’estro o di quella saggezza che gli ha fruttato qualche ricchezza in più di noi, rimane per forza di cose schiacciato in questa pressa mediatica e neutralizzante. Anche quando finge di dialogare solo con i pari lasciando tracce dei propri contenuti colare sotto, in pasto al nostro voyeurismo digitale pronto a infiltrarsi in qualunque interstizio della rete come uno scovolino da anfratti gengivali. In questo scenario le mezze calzette, le Flavia Vento o gli Adinolfi per dire i primi che mi capita di leggere nelle mie annoiate rassegne stampa di cinguettii favoriti da terzi, sono nulla rispetto a chi pensa di possedere la materia dei socialcosi solo perché si è fatto strada nella vita superiore a colpi di verità nel proprio contesto di appartenenza che può essere qualunque. Uno sport, il rock, la politica internazionale, l’umorismo. Questo per dire che la scelta di affacciarsi sul cortile virtuale non dovrebbe essere sentita come un obbligo, che noi, di problemi a cui pensare, ne abbiamo già a iosa.
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