Il Telegraph è venuto in possesso di documenti rinvenuti in una memory stick dalle forze armate irachene durante un raid – avvenuto tempo fa – nell’abitazione di Abu Abdul Rahman al-Bilawi, ex comandante militare dell’ISIS in Iraq ucciso nel raid. Dai documenti si è riusciti a ricostruire la struttura di potere all’interno dello Stato Islamico – per la prima volta e con un buon dettaglio.
Si scopre così che la leadership del Califfo non è poi così centralizzata – almeno non come quella conosciuta di Osama, e nemmeno come quella del predecessore di Baghdadi, al-Zarqawi. Esiste un vero e proprio gabinetto di ministri, incaricati di gestire tutte le faccende dello Stato: dai rifornimenti militari, alla sempre più floride casse, agli attentati.
Hisham al-Hashimi, esperto ricercatore iracheno sulla militanza islamica spesso chiamato in causa ultimamente per analisi sul califfato, ha descritto al Telegraph questa struttura in senso figurato: «Immaginate che Baghdadi sia un pastore, e che i suoi deputy siano cani», ha detto. E ha aggiunto: «La forza del pastore viene dai suoi cani». Chiaro, no?
Tra gli uomini chiave, ce ne sono due su tutti che mantengono in piedi il potere del Califfo. Il primo è Abu Muslim al-Turkmani, ex tenente colonnello dell’esercito iracheno (prima ufficiale nelle forze speciali); l’altro – citato nel commento scritto da Ruth Sherlock e non inserito in quest’organigramma – è Abu Ali al-Anbari, uomo incaricato di gestire le operazioni in Siria dello Stato, ex colonnello di primo piano sotto Saddam.
Sotto ai due, ci sono i «governatori» delle province locali. Gli altri membri del “governo” dello Stato Islamico, hanno ognuno dei compiti specifici: Abu Salah per esempio, dovrebbe (sempre secondo il Telegraph) essere l’incaricato della gestione economica del territorio iracheno – alcune stime sono arrivate a valutare il patrimonio dell’IS intorno al miliardo di dollari, ottenuti per lo più grazie alla vendita di petrolio di contrabbando, controllo delle centrali elettriche siriane, tasse, soldi presi dalle casse delle banche di Mosul.
Altri si occupano dell’assistenza alla famiglie dei martiri, dell’organizzazione degli attacchi suicidi, della gestione dei detenuti. Secondo quanto detto da Hashimi al quotidiano britannico, ci sarebbero 25000 uomini in Iraq ad aver giurato fedeltà allo Stato Islamico . parecchi potrebbero appartenere, però, ai gruppi sunniti locali. Di loro, circa un migliaio sarebbero comandanti di alto livello, ognuno con un compito specifico in una determinata area e tutti con esperienza nei settori delle forze di sicurezza – capacità che viene poi trasmessa nell’addestramento ai nuovi arrivati, organizzato in campi sicuri, distanti dai satelliti.
Le casse dello Stato sono piene di soldi, s’è detto. Tanto da garantire degli stipendi mensili, che spesso sono superiori a quelli dei militari che i combattenti affrontano – si parte da un minimo di 300 dollari per compiti di minima responsabilità, fino ai 2000 mensili per incarichi più elevati.
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