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Dentro Piccole Donne c’è tutto

Da Gynepraio @valeria_fiore

Come ho confessato su Instagram qualche giorno fa, erano mesi che cercavo -con scarsissimi risultati- di spiegare in un post quale infinita, smisurata e impagabile fonte di ispirazione sia stato per me Piccole Donne.

Tale post sarebbe rimasto incompiuto se io non fossi una di quelle persone sceme che crede al destino. Ho iniziato ad agosto con L'amica geniale di Elena Ferrante, le cui protagoniste scugnizze s'appassionano alla lettura proprio con le sorelle March. Poche settimane dopo, ho letto Papà Gambalunga, dove la trovatella Judy Abbott, giunta al college, cerca di recuperare 18 anni di ignoranza letteraria leggendo voracemente Piccole Donne. A voi pare un caso? Non lo crediamo affatto. In assenza di ordini io do retta ai segni: questo post andava finito.

La mia storia d'amore con Louisa May Alcott cominciò per pura noia nell'alta Val Camonica, dove trascorrevo alcune settimane in compagnia di mia nonna e del suo televisore arancione Brionvega che trasmetteva solo telenovelas e "Giochi senza frontiere": come immaginerete, mi divertivo follemente. Tra i numeri sgualciti di Intimità e Confidenze appartenenti a mia nonna, trovai una copia di Piccole Donne, comprata da mia zia tramite l'Euroclub e dimenticata nella casa in montagna. Ed improvvisamente è successo che non mi sono più annoiata: perché dentro Piccole Donne c'è tutto.

I valori. Piccole Donne parla di cose che io, bambina italiana e viziata nata negli anni '80, a 9 anni non conoscevo: il patriottismo, la povertà, l'orgoglio e la capacità di essere allegri nonostante tutto. Eppure non ha niente dello stracciamutandismo da orfanelli pulciosi di Dickens, Lovely Sara e compagnia piangente cantante: le sorelle March possiedono quel che possiedono, ma se lo fanno bastare, fanno accadere cose belle con la loro forza di volontà, trovano soluzioni, non s'annoiano, fanno sacrifici, ma sono tutto sommato contente. Piccole Donne è la faccia bella dell'etica protestante.

I personaggi. Le sorelle sono 4: 2 hanno caratteri forti, 2 hanno caratteri blandi. Ogni sorella forte è la confidente di una sorella blanda: Jo (temeraria e ribelle) + Beth (fragile e mansueta) versus Amy (superficiale e infantile) + Meg (materna e matura). Se scomponiamo le coppie, mentre Beth e Meg funzionano (chi è che non funziona con Beth, del resto?), Jo e Amy non ci riescono proprio. Jo-maschile vuole fare la scrittrice e stando in piedi davanti ai camini brucia il culo dei vestiti; Amy-femminile dipinge nature morte e dorme con una molletta sul naso per raddrizzarlo. E' un caso che questi 2 personaggi, così antitetici, siano gli unici ad avere una vita davvero felice una volta divenute adulte? E' un caso che Jo affidi a Amy il suo migliore amico Laurie? E' un caso che Amy deleghi a Jo l'educazione della sua unica e preziosissima figlia? In questo processo di tesi-antitesi-sintesi, fatto di screzi e riavvicinamenti, a vincere sono sempre la famiglia e gli affetti. Senza mai, ripeto mai, una forzatura buonista da parte dell'autrice. So che senza la mia imparzialissima opinione stanotte difficilmente prenderete sonno, per cui eccola qui: in questo scontro di personalità, mi spiace, è Amy quella più cattiva, perché brucia la raccolta di racconti scritta da Jo. Non dovevi, Amy, non dovevi.

I ruoli. A proposito dei personaggi, spesso mi sono chiesta che funzione avesse quella piantina d'appartamento di Beth nell'economia della vicenda: bene, mi sono convinta che è un catalizzatore di cambiamenti. La morte di Beth (che secondo me era annunciata tipo dalla 2 riga del romanzo, quindi non lo considero uno spoiler) spingerà Jo ad andarsene a lavorare a New York dove conoscerà suo marito e spingerà Laurie ad avvicinarsi a Amy che diverrà sua moglie. Beth è come quei pesci rossi che, inspiegabilmente, quando crepano ti mancano, e ti danno finalmente l'ispirazione per andare al canile a prendere un cucciolo. Spero di aver reso l'idea.

Piangere. In Piccole Donne, per la prima volta, mi sono commossa con un libro: e no, non quando è morta Beth. La scena in cui ho sofferto come un cane è quella in cui Jo apprende che non andrà in Europa con la zia March, ma ci andrà Amy perchè lei sì, che è una leccaculo brava e meritevole. Quel mix irripetibile di pentimento, dolore, invidia, senso d'ingiustizia, desiderio di rivalsa e giramento di coglioni io non l'ho mai più ritrovato in nessun romanzo. In compenso l'ho provato molte volte.

Louisa e il suo complesso edipico. Jo quindi non va in Europa, ma scrive dei racconti, si trasferisce a New York dove si innamora di un professore straniero, con l'accento bizzarro, più vecchio, fissato con l'educazione dei ragazzini, sempre stropicciato: come se non bastasse, riceve e accetta una proposta di matrimonio sotto la pioggia, al riparo di un ombrellino sgualcito. E' un esempio di amore anticonvenzionale, grosso modo 150 anni prima che andassero di moda le coppie atipiche e imperfette. Brava Jo! Brava Louisa! Del resto era figlia di un filosofo trascendentalista, fondatore di una comune (Sì! Nel 1841!), anch'egli insegnante e autore di un suo metodo educativo, culo&camicia con Thoreau, padre del minimalismo, sostenitore della vita nei boschi e della disobbedienza civile. Su, tutti insieme, indoviniamo a chi è ispirato il personaggio del professor Bauer...

Cinema. Piccole Donne è secondo me uno dei romanzi più spudoratamente cinematografici della letteratura mondiale: eppure, e con questo mi attirerò le antipatie di molte, nessuna delle versioni per il grande schermo mi ha davvero soddisfatto. No, neanche quella con Winona Ryder. E non tiriamo in ballo l'incapacità dei film di eguagliare la bellezza dei romanzi: tutto dipende dalla regia, amici. Per questo ho deciso di rendermi utile come posso: la macchina da presa non so neppure accenderla, ma i fantacasting mi vengono benissimo.

Meg. Louisa dice che era castana, ma io mi prendo un licenza: la voglio dolce, burrosa, bionda senza averne l'aria. Deve soprattutto essere credibile nel ruolo di madre di due gemelli.

Beth. Il biondo non è tassativo, ma il pallore sì. Siccome muore ragazzina, serve un volto bambinesco. Ma soprattutto, vogliamo una bellezza malata che al primo soffio di vento mi cade a terra. Rory l'ho messa per farle fare un provino, che ormai poverina s'è bruciata e non la chiama più nessuno manco per le televendite.

Amy. Serve assolutamente una bellezza leziosa, con gli occhioni sgranati e cascate di capelli biondi.

Jo. Difficilissimo, difficilissimo: se sbagli Jo, sbagli tutto, visto che è il personaggio in cui tutte ci identifichiamo. Sappiamo solo che è castana, intelligente e non necessariamente bellissima: candido una francese, una canadese e una inglese. Io voto per Adele Exarchopoulos, che si presta anche alla vita adulta di Jo. Ellen Paige la vorrei solo per la fase adolescenziale e dell'amicizia con Laurie. Felicity la convochiamo per la simpatia.

Ci tengo comunque a menzionare le escluse. Charlotte, l'abbiamo scartata perché un po' troppo contemporanea. Zoey Deschanel ancora si porta addosso questa allure hipster e a noi serve un blockbuster: non ci basta il Sundance, noi puntiamo all'Academy. Leandra Medine aveva la voce e la fisicità perfette ma non abbiamo tempo di insegnarle a recitare.

E gli altri? Sono un tipo non lascia niente al caso, quindi ho pronti anche gli altri nomi. Una Judy Dench cattiva-ma-non-troppo nel ruolo della zia March, Charlotte Rampling come mamma March, uno spettinatissimo Cumberbatch nel ruolo del Professor Bauer e un Eddie Redmayne ripulito nei panni di Laurie.

Attendo vostre opinioni. Buona settimana a tutti.


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