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Depressione clinica o patologica

Da Psicoterapeutico

Nella depressione clinica o patologica il lavoro del lutto è assente, c’è invece il rifiuto di accettare la perdita, perdita che riempie di sé la vita del soggetto e diventa la sua unica realtà.
Nella depressione clinica siamo di fronte a una strenua resistenza inconscia a separarsi dall’oggetto perduto e a quanto di noi, andandosene, si è portato via.
La conseguenza è che la perdita con le assenze e i vuoti che comporta è
sempre presente, anzi è l’unico “presente”, nulla cambia, non la
disperazione e la sofferenza che non danno tregua , non i pensieri o le
parole che infaticabili ruotano  intorno alla perdita e al dolore che
infierisce.
Il tempo si ferma e la vita  si fissa al momento della perdita, niente deve
cambiare.  Ciò è particolarmente evidente quando  la perdita è quella di una
persona cara: si conservano i vestiti nell’armadio, il libro sul comodino,
niente viene tolto o spostato, ogni cosa deve continuare ad evocare la sua
presenza/ assenza.
Il lavoro del lutto che è la dolorosa e faticosa ricostruzione di sé e della
propria vita, l’accettazione della propria vulnerabilità e mancanza,  ed ha
lo scopo di restituirci   la nostra capacità di desiderare e quindi di
rimetterci in gioco, anche dopo che la perdita subita ci ha  rivelato
quanto sia fragile e precaria la soddisfazione del nostro desiderio e quanto
facilmente si  possa  incontrare l’avvilimento e la mortificazione di sè,
tale lavoro  nella depressione patologica non viene fatto.  Non si può fare,
perchè è impedito dall’ossessiva fissazione del depresso all’istante della
perdita di ciò che amava,   che scomparendo, si porta via   anche  il suo
desiderio, in altre parole il depresso  non può desiderare altro che ciò che
ha perso.
La perdita non è necessariamente quella di un amore o di una persona cara,
ma può essere la perdita di un lavoro, di uno status, di una casa, di una
qualunque cosa da noi investita di un particolare e importante significato.

Le cause della depressione patologica

Non esiste una causa specifica della depressione, si sa che  è innescata da
un evento di perdita, ma è anche chiaro che non tutti quelli che subiscono
una perdita svilupperanno una depressione patologica, non esiste cioè nessun
legame necessario tra  perdita e  depressione clinica.
C’è un’evidente causalità invece tra perdita e dolore,  ogni perdita è
dolorosa e comporta un’iniziale fase di depressione,  che per molti
attraverso il lavoro del lutto si risolve, mentre per alcuni  sfocia in una
depressione clinica.
Il problema allora è che cosa fa sì che l’esperienza della perdita per
questi “alcuni” esiti in una depressione clinica, o meglio che cosa hanno di
diverso questi “alcuni” dagli altri?
Di diverso c’è il significato, il valore, l’importanza, che la perdita ha
per loro.
È infatti l’interpretazione che diamo alle cose e il significato e il valore
che attribuiamo loro che determinano i nostri pensieri e le nostre reazioni
ad esse.
Nell’uomo la realtà è sempre mediata dall’interpretazione che ne da,
interpretazione che  è squisitamente soggettiva ed individuale, condizionata
dalla sua storia.
Ora, per tornare al nostro problema: se dopo l’iniziale fase depressiva
comune a tutte le persone che subiscono una perdita, alcuni sviluppano   una
vera e propria depressione, vuol dire che per loro l’esperienza della
perdita ha un significato e  un valore speciale, in particolare  ha il
potere di evocare un  qualcosa di dimenticato e rimosso, un “qualcosa” che è
rimasto sepolto ed irrisolto.
La perdita attuale  cioè ha il potere di risvegliare e riattivare una
perdita passata, non elaborata e rimasta insoluta.
L’esperienza clinica, infatti,  mostra  come  nei racconti di pazienti
depressi siano spesso presenti avvenimenti di perdita accaduti nell’infanzia
o nell’adolescenza, quando non era stato loro possibile  elaborarli e
“digerire” attraverso il lavoro del lutto. Il bambino o l’adolescente si
trova infatti davanti a un evento più grande di lui,  che lo travolge, una
perdita, una mancanza a cui non riesce a far fronte, è solo, non c’è nessuno
accanto  a lui che ne riduca l’impatto e lo conforti attraverso la parola
che spiega e permette di assimilare. Queste  perdite non elaborate sono
vissute in solitudine e vengono sepolte e congelate   nella mente e nel
cuore dei bambini che le subiscono.
Cosa   fa allora, un bambino  per colmare il buco che la perdita ha creato?
Cerca delle soluzioni e attua delle strategie atte a  neutralizzare il
trauma subito e ricostruire  il suo essere e sentirsi importante e
desiderabile per l’altro.
Può, per esempio, diventare il più bravo, oppure la più bella, oppure
manifestare dei sintomi che hanno la funzione di richiamare l’attenzione su
di sè. Tuttavia tali stratagemmi sono illusori, privi di fondamento e il
fragile equilibrio che hanno creato  andrà in pezzi, quando il bambino
diventato adulto, dovrà fronteggiare una nuova perdita, che inevitabilmente
riporterà a galla gli antichi  sentimenti di abbandono e sgomento e
dissolverà le sue deboli difese.
In conclusione, possiamo dire che in alcune persone a causa della loro
storia  esiste un’ipersensibilità di fondo nei confronti della perdita e
quando nella loro vita si  devono confrontare con una nuova perdita, tale
esperienza li precipita nell’abisso di un tempo, in altre parole nella
depressione patologica.


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