Depressione post partum: come e perché

Creato il 13 giugno 2015 da Lasfinge
12/06/2015
Secondo le diverse statistiche ed in base alle modalità utilizzate per la rilevazione del disturbo, la depressione post parto colpisce da stime minime di una donna in gravidanza su dieci  fino quasi a due donne su dieci: dal 10 fino al 18% di alcuni studi o dall'8% al 12% secondo le informative del Ministero della Salute.
Si tratta quindi di un problema molto frequente che interessa le neo mamme e che spesso purtroppo rimane sottovalutato, ma che  può costituire il substrato di difficoltà di vario tipo ed anche di distorsioni della cosiddetta relazione primaria con l'infante.
Nella concezione comune la gravidanza e la nascita sono eventi felici all'interno dei quali è racchiuso il misterioso prodigio della vita: difficilmente si pensa alla gravidanza ed al puerperio come a periodi della vita particolarmente impegnativi, faticosi e potenzialmente stressanti come di fatto possono risultare nella realtà.
La gravidanza e la maternità che ne segue  infatti, comportano cambiamenti improvvisi e rapidi che coinvolgono l'immagine corporea, la ridefinizione della propria identità personale e con essa del proprio quotidiano ed inoltre rilevanti modificazioni fisiche ed endocrine.
Una tempesta ormonale, un passaggio cardine in una diversa fase del ciclo vitale,  dunque una crisi tumultuosa che rischia di far precipitare gli eventuali equilibri precari preesistenti ed esporre la fragilità umana dell'individuo madre, soprattutto laddove la persona non può contare su di una valida rete sociale di supporto.
Tra gli elementi di rischio significativi possono annoverarsi gli assetti di personalità ancora immaturi o comunque non abbastanza solidi, se non già francamente disturbati, il rifiuto più o meno consapevole per una gravidanza non desiderata, l'isolamento e/o l'emarginazione sociale, lo scarso supporto del partner, il misconoscimento della delicatezza di questa particolare fase della crescita personale.
Tipicamente il disturbo insorge appunto dopo il parto, nei primi mesi di vita del bambino/a, vale a dire nel momento in cui la donna si confronta con l'impegno della fase cosiddetta simbiotica della relazione col piccolo.
Per riuscire a comprendere quale sia realmente l'intensità  dello stress correlato alla gravidanza ed alla maternità, ci basterà paragonare questo evento con quello della crescita adolescenziale: anche in questo caso assistiamo ad importanti cambiamenti del corpo, della emotività e del pensiero, anche qui si realizza un passaggio fondamentale, dall'età infantile a quella adulta, anche qui imperversa la tempesta ormonale e la crisi identitaria con la necessità di ridefinizione e/o riscoperta di sé, ma il tutto accade nel giro di diversi anni. In gravidanza invece tutto deve compiersi nel giro dei nove mesi di gestazione e la madre dovrà essere pronta per svolgere in maniera ottimale le proprie funzioni al momento della nascita del bambino o della bambina.
Gli elementi chiave di questa tumultuosa crisi di crescita sono il cambiamento dell'aspetto fisico e la ridefinizione della identità con parallelo ridimensionamento delle proprie prospettive di vita futura.
Il cambiamento del corpo può essere vissuto con apprensione o addirittura angoscia in rapporto sia ad una inaccettazione del concepimento, quando, ad esempio, il figlio non sia stato desiderato e quindi la gravidanza sia stata subita piuttosto che cercata, sia in rapporto al ruolo giocato dall'immagine fisica nella costruzione della propria femminilità e seduttività, in particolar modo nella nostra cultura che propone (o impone) stereotipi di bellezza femminile ove non è previsto lo spazio, né il volume di un ventre fertile.
D'altro canto dal punto di vista fisiologico il lavoro di costruire e quindi nutrire la nuova creatura affatica oggettivamente il corpo della donna e nel migliore dei casi, quando cioè non si scatenano reazioni propriamente patologiche che non staremo qui ad elencare, comporta comunque con frequenza elevata una serie di piccoli disturbi, che possono risultare estenuanti da viversi nel quotidiano.
La ridefinizione della identità è probabilmente dal punto di vista psichico ed emozionale, l'aspetto più critico e rilevante: è importante al riguardo considerare in quale momento della crescita personale si inserisce l'evento di una gravidanza.
Delicatissimo è il discorso delle gravidanze precoci che avvengono in età ancora adolescenziale, vale a dire prima che la persona abbia maturato lo svincolo dalla propria famiglia di origine, prima che sia riuscita a crearsi una propria autonomia ed a ritagliarsi un proprio spazio nel mondo e pertanto molto prima di avere maturato la capacità di un concepimento mentale, ovvero l'idea di poter dedicare un desiderio ed uno spazio di pensiero ad una nuova creatura da mettere al mondo.
Anche in situazioni ottimali tuttavia, vale a dire quando il figlio è stato desiderato e cercato, la persona deve transitare dalla identità di figlia a quella di madre, in caso di un primo figlio oppure accogliere la nuova creatura e ricominciare daccapo con le fasi di completa dipendenza del piccolo ridisegnando al contempo la costellazione dei rapporti familiari: il vissuto del ruolo materno, l'aderenza o il conflitto sperimentato nella posizione filiale rispetto alla figura materna sono cruciali.
In ogni caso si passa da una situazione di indipendenza e libertà individuale ad una di dipendenza simbiotica alla quale poi faranno seguito tutte le limitazioni che di solito la responsabilità genitoriale comporta. Il supporto sociale in generale e quello del partner in particolare giocano un ruolo centrale: la diade madre-bambino è una unità ancora fragile che ha bisogno di protezione e sostegno.
L'assenza e/o la mancanza di partecipazione del partner ed il conseguente sovraccarico della madre è un elemento addizionale di stress e sovente rappresenta una delle chiavi di lettura degli episodi depressivi.
Le madri che invece di provare gioia, come vogliono i luoghi comuni, cadono in depressione, si sentono solitamente inadeguate ed incapaci di far fronte alle aspettative sociali ed alle necessità del piccolo: la colpevolizzazione che ne deriva è naturalmente il primo ostacolo da superare per costruire accettabilmente la nuova relazione col bambino.

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