Dalla mia prima deriva sono passati quattro mesi e sempre più numerosi sono i post che si lanciano in ardite disamine sul social media più famoso al mondo ma che poi si limitano a una critica qua –senza far nomi per carità- e un po’ di livore là. Sempre più numerose le feroci e generiche sentenze in seconda persona plurale, e il “ciò che odio di più” sempre uguale a se stesso.
Il mio punto di vista sulle miserie e sulle consolazioni fugaci, su questa vita galera che ci costringe a non pensare per quanto ci tiene impegnati a sopravvivere, non è un punto di vista privilegiato. Sto in basso, almeno adesso, visto che la vita mi ha dato più volte la possibilità di ascendere e precipitare quasi si divertisse a darmi e togliermi tutto dalle mani e sul più bello. Il mondo che vedo è in bianco e nero, ma è mio, e chi preferisce sentirsi dire che va tutto bene mi detesterà dal primo rigo e non è obbligato né a seguirmi e tantomeno a leggermi. Non m’interessa parlare di ciò è positivo, quello lo conosciamo, lo sappiamo già, e per me è noioso è stucchevole quanto un telefilm RAI in prima serata, e per tornare all’esempio della festa, mi ha sempre incuriosito di più il ragazzino taciturno dal naso importante piuttosto che il belloccio amato da tutte. E Twitter, pieno di personaggi speciali, spie e veleni, non è che un lucido specchio della realtà fatta di belle persone e di un’umanità meschina, che è quella che a buon diritto rientra nelle mie “derive”.
Lo sguardo sulle cose e il mio vissuto, giuro assai disgraziato, amaro e fottutamente pericoloso, mi dice che l’ipocrisia del “mi piace” è qui. Perché lo dico? Perché ho un blog e un contatore. Perché esistono strumenti gratuiti che mi consentono di sapere –a grandi linee- chi visita il blog, legge un determinato post e persino quanto ci mette a farlo. Ecco spiegato il perché della mia ostilità verso uno strumento che nasce come “segnalibro” e “post it” ma che viene usato dai feisbucchiani neotuitteri solo come falsa interazione. Una leccatina rapida che dice “sono qui non mi defolloware”. Per i neofiti parlo della “menzione” o “stellina”.
C’è animosità, c’è astio e sempre meno generosità nel rituit. Uno “gne gne” che sa tanto di delirio d’onnipotenza e d’infantile invidia per i giocattoli altrui. Qualche battutina è fisiologica. Ma se i DM potessero paralare resteremmo di sasso per quanto il pettegolezzo corre veloce, e giuro che l’andazzo è quello di una classe di prima elementare. Per non parlare di chi spande veleno e bile su chi riceve rituit e menzioni e ha un contatore che va veloce. Merito dei follower ma forse anche di chi scrive, no? Del successo degli altri, se meritato, ho imparato a essere felice e a pensare con entusiasmo alla riuscita di qualcuno. Se la felicità altrui vi fa tanto male, dovreste sforzarvi almeno di ignorarla.
I primi tempi in cui guardavo con occhi stupiti tuitteri famosi difendersi dalle aggressioni dei common –per la maggior parte blogger e pubblicatori- mi sentivo chiaramente dalla parte degli ultimi: Perché sì, Perché basta, Perché siete vanesi, Perché rituittare una menzione è cafone, Perché è come dire “vedi quanto sono figo?”, Perché avete scassato visto che già state in televisione, Perché levati di mezzo che mi fai ombra. Ma qualcuno soccombe. Perché a rileggere certe discussioni, e per dirla tutta andando anche a spiare il pulpito dal quale la predica arrivava, la ragione, è infine andata alla tuitstar di turno. La bile, fa male solo a chi la produce.
La menzione è vista solo dal ricevente. A tal proposito vi ricordo la figuraccia della tizia del sole 24h che s’infuriò con un utente incolpandolo di usarla come “wall” di visibilità. La menzione è un “post it”, un “segnalibro” che quasi mai andiamo a rivedere, ma somiglia anche a una recensione breve e io, che nasco da due attività importanti del PIL italiano, e lo ripeto, sono qui per “vendermi”, anziché rituittare il mio post vi rituitto una menzione garbata e sincera. Allora? Cosa c’è di male? Inoltre, agli indigesti e furibondi difensori della modestia –e riguardate cosa scrivete di voi stessi prima di infilarmi il dito nell’occhio-, suggerisco di dare un’occhiata seria al mercato. Sono talmente tante le novità letterarie che oggi già non leggo più di un libro uscito appena una settimana fa. Quindi calmini, perché a tuittare la vostra continua disapprovazione, e senza fare nomi, rischiate solo di essere a buon diritto inseriti nella schiera invidiosi. L’etica e la morale mettiamo altrove, per esempio nell’ammettere che qualcuno scrive meglio di noi.
L’autopromozione mi fa orrore ma è necessaria. Trovo ipocrita far finta di stare su twitter per questioni di socializzazione, quando poi vi offendete se nessuno vi legge. Preferisco la sincerità –e grazie al cielo non manca- di chi pubblicamente dichiara i propri intenti. Ed è anche chiaro -e mi pare folle doverlo scrivere ma qui se ometti qualcosa subito rimbrottano- che il rapporto umano si instaura anche grazie ai post che scrivo. Tutta questa ipocrisia è della stessa pasta di quelle che darebbero un braccio per darla a quello giusto e che poi sputano veleno su chi LA mette su piazza in modo esplicito. Credo quindi che con cautela e testa non ci sia niente di male a rituittare menzioni, che lo faccia la tuitstar e a maggior ragione il “nessuno” di turno come me. La rete è abbastanza grande per contenere sincerità e fini mentitori. Per cui, se non vi garba, aria. Esiste un Social media nato apposta per l’ipocrisia e si chiama FB.