Magazine Diario personale
Intanto benvenuti nel magico mondo del “chi ce l’ha più grosso”, l’ego, chiaramente.
Siamo così alla #deriva che ormai non ci resta che ridere.
I tuit sono sempre uguali e più profili s’iscrivono -e ogni giorno ne arrivano di nuovi e agguerritissimi- più mi pare di essere intrappolata in un magma fastidioso di caratteri e di tuittatori che di originale hanno, forse, solo il nickname. Per il resto i “tipi/tuitter” si possono riassumere in “citazionista”, “provocatore”, “buonista”, “esperto”, “disinibito”, “sensuale”, “intelligente”, “superiore”, “equilibrato”, “ compulsivo”, “chiosatore”, “romantico”, “ironico”.
Non ci spostiamo da lì.
Ma l’ironia si esprime con il tempo, così come la simpatia. Inutile scriverla sulla bio, è come dire a un uomo: prendimi sarò la tua donna ideale.
Di derive ne ho scritte tante e chi ne avesse voglia può anche clikkare autonomamente sull’etichetta #deriva e leggere cosa io, personalmente, penso di questo mezzo e di come, dopo aver “guardato” a lungo e “letto” molto sull’argomento, credo ci si debba comportare.
La regola numero uno sarebbe di evitare errori di ortografia e accenti sbagliati. Per farlo si può consultare, se non il vocabolario, almeno il web. Così, giusto per andare dietro alla tanto amata “maggioranza vincente”.
Se, invece, ci tenete a restare in compagnia di quindici follouer e della vostra arroganza, fate pure.
Insisto sul fatto che questo non è FB e che se pensate basti l’anonimato a fare di voi delle tuitstar vi sbagliate di grosso. E non fate quella faccia!, non negate!
Non nascondiamoci dietro il monitor: avere una marea di follouer è ciò che TUTTI vogliamo, e se lo facciamo per vendere un Romanzo o per pubblicizzare le nostre tette, lo scopo è sempre quello.
Ovvio che appena iscritti si soffra di un senso di diminuzione, è perciò che all’inizio capita d’insultare chiunque e solo perché possiede uno stuolo di fan, ma non è certo attraverso la volgarità che otterremo il follow back, per cui, diamoci una calmata e osserviamo in silenzio proprio quelli che più ci stanno antipatici: una ragione ci sarà pure se hanno un seguito, a meno che non crediamo di essere gli unici esseri geniali del pianeta.
Iniziamo dalle basi: par capire come funziona tuitter è controproducente fare domande dirette, piuttosto, gugoliamo il nostro dubbio. Intanto perché a digitare domande del tipo: cos’è il Friday Forward?, ci facciamo una figura da sbarbatelli poi, perché spiegare in centoquaranta caratteri è sempre una seccatura e infine perché il web è così ricco d’informazioni che sprecare tuit mi pare una follia.
Ci sono blog che di tuitter raccontano ogni segreto, per cui, e sempre per tornare alla metafora della festa nell’attico di via dei Condotti, andare a interrompere la conversazione della griffatissima padrona di casa per domandarle se nei panini mignon c’è la maionese o dov’è il bagno, beh... mi pare da autentici cafoni. Andiamo dal cameriere che, lautamente retribuito, si trova lì davanti a noi, attaccato al muro e in livrea e solo per darci una mano. Se vogliamo risposte, cerchiamo di formulare le domande alle persone giuste.
Capisco che l’interazione crea visibilità, ma non si deve mai esagerare: qui non c’è lo spazio “commenti”.
Se qualcuno ci piace, seguiamolo di buon grado e proviamo a dimenticare l’avarizia feisbukkiana, non dobbiamo essere avari in rituit: la vanità è la prima debolezza della tuitstar e poi, se scrive tuit arguti che male c’è a darle visibilità?
Prima di aggredire qualcuno e di dargli dell’imbecille andiamo a dare un’occhiata alla sua bio, gugoliamo il suo nome. Dall’alto della nostra intelligenza non sarà così complicato farci vincere per una volta sola dalla curiosità intellettuale.
Magari il tizio in questione è il più grande oncologo italiano e noi l’abbiamo appena insultato dicendogli che la chemio è una gran presa in giro e che noi abbiamo una grande esperienza in materia. Suvvia, possiamo anche pensarlo, ma abbassiamo le penne che ci oscurano la visuale e prima verifichiamo non tanto ciò che dice, ma chi è.
Se poi l’aggressione la lanciamo nascosti da un profilo anonimo, allora siamo dei perdenti. O almeno dovremmo spiegarci il motivo –e darci anche una valida ragione- per cui il tizio in possesso di nome e un cognome (e non importa se conosciuto o meno), dovrebbe confrontarsi e battibeccare pesantemente con me di cui non sa assolutamente nulla.
Sempre alla festa su nell’attico in centro, si usa presentarsi a chiunque ci si avvicini prima di cominciare a parlare del fantastico buffet o di che tempo fa.
Anche l’anonimato va gestito con raziocinio.
Di anonimi ne ho tanti tra i miei follouing, ma sono personcine a modo, tutte, e nessuna mi ha mai insultata.
È necessario scorrere le TL altrui, guardare i rituit che gli odiati profili di tuitstar ricevono e soprattutto, VI PREGO, fare attenzione a chi è che li rituitta.
Non mettiamoci lì a immaginare trame da regno d’Inghileterra ai tempi di Elisabetta prima. Se uno ha dei follouing di rilievo una ragione ci sarà. Sempre che non siate della famosa razza arrogante del “so già tutto” potrete desumere che magari conviene evitare di sputare sulla sua PIC.
Le opinioni si possono anche discutere, ma se ci mettiamo anche un’emoticon simpatica possiamo sperare, forse, in una risposta gentile: spesso, come mi ha scritto ieri un gran cafone, i giudizi su tuitter–i suoi per primi- sono un po’ tranchant.
Perciò, a meno che non abbiamo da aggiungere qualcosa che possa far rivedere quell’idea sulla quale dissentiamo, non è detto che ciò che pensiamo interessi a qualcuno.
Diamoci tempo, cerchiamo di essere autentici –che non significa digitare la prima fesseria che ci viene per le dita- e soprattutto non facciamo nostri tuit altrui: ricopiandoli, riscrivendoli, adattandoli.
Cerchiamo di alternare sarcasmo a simpatia, romanticismo a cinismo, sensualità a pragmatismo.
Come scrive Saramago “Gioia e dolore sono come l’acqua e l’olio, coesistono”.
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