La ricerca formale di Elisabetta Sgarbi ha di fondo un'idea interessante e ardita nel tentativo di rendere filmico ciò che filmico solitamente non è come la fotografia, ma ciò che non convince appieno di questo suo lavoro è il risultato finale, il tentativo di decostruire le immagini ghirriane, attribuendo loro un senso, una visione personali, che trasformano e quasi trasfigurano fotografie che da sole potrebbero bastare per restituire allo spettatore le sensazioni e le emozioni che il fotografo con i suoi scatti era in grado di trasmetterci e restituirci.L'uso della voce fuori campo di Toni Servillo, uno dei migliori attori di cinema e teatro del nostro tempo e la partitura musicale di Franco Battiato non riescono ad emozionare come vorrebbero e dovrebbero. Il risultato che si percepisce è di una costruzione di senso eccessivamente impostata ed artefatta, al punto tale da non rendere le emozioni che le foto stesse da sole sarebbero in grado di comunicarci.Sicuramente questo film invita e può invitare lo spettatore a recuperare le opere del maestro emiliano, che con la regista condivide quelle origini, come il regista Antonioni, richiamato indirettamente dal titolo e attraverso un'operazione di blow up e close up impiegata dalla regista ferrarese nel ripercorrere i paesaggi e le atmosfere impresse sulla stampa fotografica.Non bastano quindi i testi del regista Sokurov, di Vittorio Sgarbi e Antonio Scurati a trasmetterci quel senso di desolazione che le fotografie dovrebbero darci, anzi, divengono un pleonasmo retorico che svilisce il messaggio insito nella semplicità icastica degli scatti del maestro Ghirri, trasformandole in qualcosa d'altro che depista eccessivamente lo sguardo e lo retoricizza irrimediabilmente.
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La ricerca formale di Elisabetta Sgarbi ha di fondo un'idea interessante e ardita nel tentativo di rendere filmico ciò che filmico solitamente non è come la fotografia, ma ciò che non convince appieno di questo suo lavoro è il risultato finale, il tentativo di decostruire le immagini ghirriane, attribuendo loro un senso, una visione personali, che trasformano e quasi trasfigurano fotografie che da sole potrebbero bastare per restituire allo spettatore le sensazioni e le emozioni che il fotografo con i suoi scatti era in grado di trasmetterci e restituirci.L'uso della voce fuori campo di Toni Servillo, uno dei migliori attori di cinema e teatro del nostro tempo e la partitura musicale di Franco Battiato non riescono ad emozionare come vorrebbero e dovrebbero. Il risultato che si percepisce è di una costruzione di senso eccessivamente impostata ed artefatta, al punto tale da non rendere le emozioni che le foto stesse da sole sarebbero in grado di comunicarci.Sicuramente questo film invita e può invitare lo spettatore a recuperare le opere del maestro emiliano, che con la regista condivide quelle origini, come il regista Antonioni, richiamato indirettamente dal titolo e attraverso un'operazione di blow up e close up impiegata dalla regista ferrarese nel ripercorrere i paesaggi e le atmosfere impresse sulla stampa fotografica.Non bastano quindi i testi del regista Sokurov, di Vittorio Sgarbi e Antonio Scurati a trasmetterci quel senso di desolazione che le fotografie dovrebbero darci, anzi, divengono un pleonasmo retorico che svilisce il messaggio insito nella semplicità icastica degli scatti del maestro Ghirri, trasformandole in qualcosa d'altro che depista eccessivamente lo sguardo e lo retoricizza irrimediabilmente.
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