Quella che vi voglio raccontare è una storia comune ai giovani designer emergenti, quelli che si trovano a dover far tutto da soli, dall’ideazione al prodotto, dal commerciale all’ufficio comunicazione, fino alla riscossione crediti. L’Italia della moda sicuramente cerca di parlare giovane, e lo fa con mille concorsi, con altrettante occasioni di visibilità, con segnalazioni, recensioni e sponsorizzazioni. L’Italia, questa nostra Italia, della moda però non vede quello che accade ai giovani una volta raccontati, segnalati, proclamati. Non conosce, questo sistema, come le dinamiche commerciali del made in Italy siano il vero ostacolo dei giovani talenti della moda italiana, di come queste strutture commerciali siano il muro più alto e difficoltoso da superare per affermare il proprio punto di vista creativo. Di come soprattutto non venga riconosciuto il valore del lavoro dei giovani, che – se non tutelati – rischiano di vedere anzitempo precluso il proprio futuro. Ritardi nei pagamenti, condizioni economiche estremamente svantaggiose, furbe prese di posizione, diabolici silenzi e mancati pagamenti sono la quotidianità nei progetti di sviluppo si un giovane brand, e il rischio di truffe è sempre dietro l’angolo. C’è poi però chi reagisce, anche attraverso la solidarietà del web, e vuole raccontarci la sua esperienza, sperando che sia d’esempio a tanti giovani designer nelle stesse condizioni.
Quando nasce il tuo brand?
La prima apparizione al pubblico è stata nel 2011 presentando la collezione PE 2012
Cosa significa essere un designer emergente oggi?
Significa avere una grande passione e dare tutto se stesso per realizzare il proprio sogno, ma far emergere il proprio marchio significa scontrarsi con ostacoli molto grandi. Essere una piccola realtà imprenditoriale pone, infatti, delle difficoltà enormi sia dal punto di vista della produzione, sia della distribuzione e sia finanziario. I produttori non solo ti mettono in coda al loro lavoro, ma spesso rischi di “saltare” da un momento all’altro per un imprevisto qualunque. Esigono il pagamento del loro lavoro a rapido giro, quando non in contrassegno o addirittura anticipatamente. E tu, designer emergente, pur di assicurarti una stabilità produttiva sei disposto anche ad accettare e subire i costi di materiale non corrispondente all’ordine, né per qualità né per quantità, stringendo i denti sui ritardi delle consegne, e così via. Non avere potere contrattuale si paga a caro prezzo insomma. Nella distribuzione il problema principale è invece quello di orientarsi tra i vari showroom senza rischiare di essere “messi nell’angolo” subito dopo aver pagato una fee di ingresso, spesso molto alta. Accedere alle fiere più accreditate è molto difficile, sono inoltre costosissime e non garantiscono un rientro veloce dell’investimento. I buyer infatti non sono disposti a dare fiducia alle realtà emergenti, ma le osservano per almeno due o tre stagioni. Da un punto di vista finanziario è molto difficile sostenere tutto questo. I rischi sono molto alti e gli aiuti sono pochi, quei pochi non vengono nemmeno elargiti da chi detiene i capitali che potrebbero davvero far muovere l’economia. Le banche valutano unicamente la solvibilità personale dell’imprenditore o la solidità dell’azienda e non c’è nessuna valutazione del progetto. Si capisce bene che le start up non hanno nessuna possibilità.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontra un emergente nel mercato?
I costi di piccole produzioni sono sempre più alti e questo, considerati tutti i passaggi intermedi, costituisce una importante barriera per l’accesso nel mercato, soprattutto per chi investe nella qualità dei propri prodotti. Generalmente all’inizio si tengono per sé dei margini estremamente bassi, in modo da consentire a tutti gli intermediari di mettere il loro ricarico senza arrivare al consumatore ad un prezzo che sarebbe a volte addirittura superiore a quello dei grandi marchi, anzi, cercando di stare ben al di sotto di questo per rendere il prodotto più “appetibile”.
Quando cerchi di evitare tutto ciò e ti rivolgi direttamente al retailer, la proposta che ricevi il più delle volte è di consegnare la merce in conto vendita. E lì spesso sono guai, non a caso per molti parlare di “conto vendita” equivale a parlare di “conto perdita”. Il negoziante è tenuto a corrisponderti il costo solo della merce che vende e a restituirti l’invenduto ma, in caso di ritardato o mancato pagamento, è molto difficile farsi valere. La legge italiana ha tempi talmente lunghi e costi talmente onerosi che non c’è nessuna convenienza nel ricorrere ad essa. I buyer lo sanno e l’insolvenza , purtroppo, sembra essere una prassi, almeno in Italia. Quello del conto vendita verrebbe ad essere un ulteriore costo, mai però esplicitamente dichiarato, che tu designer emergente devi sostenere per avere la tua agognata vetrina.
In quanti store è distribuito il tuo brand?
Allo stadio iniziale della mia distribuzione ho voluto prediligere la vendita diretta al consumatore, affidando le mie collezioni solo a due store in Italia.
In questo momento, stai vivendo una situazione tipica tra i giovani designer. Ci racconti cosa sta accadendo in questo momento al tuo brand?
Purtroppo mi trovo nella situazione di cui sopra.
Ho affidato della merce in conto vendita ad uno store molto esclusivo con la promessa verbale che qualunque riassortimento sarebbe avvenuto a fronte del saldo del venduto. La maggior parte dei modelli consegnati è stata venduta in poco tempo, quindi è stata fatta richiesta di riassortimento, ma dopo l’emissione a giugno della fattura per il materiale venduto, più nessuna notizia. Lo store non ha saldato, ha evitato di riassortire e per tutta la stagione è rimasto con due soli modelli. Da giugno ad oggi, tutti i tentativi di portare l’attenzione sul pagamento della fattura sono rimasti inevasi e le persone alle quali mi sono rivolta non hanno mai risposto a nessuna delle mail che ho mandato loro, Hanno persino ignorato la richiesta di invio dell’indirizzo di posta certificata, atto alle comunicazioni ufficiali.
Come hai reagito a questa situazione? La rete in questo senso può essere uno strumento di supporto?
Questa situazione è molto frustrante, avverti la prepotenza di chi si approfitta della tua posizione e lo fa con la benedizione del sistema giuridico. In più lo fa nel modo più arrogante possibile: ignorandoti. Finché le cose rimangono nell’ombra tutti si permettono tutto, ma Internet ha ridato potere a chi lo ha sempre avuto senza esserne consapevole. Il mondo è fatto da noi, siamo noi che muoviamo veramente le cose, con le nostre opinioni che orientano le nostre scelte e i nostri comportamenti.
Nel commercio questa dinamica è particolarmente esplicita. L’universo commerciale non è forse regolato dal creare Immagini associate ad Oggetti che orientino il comportamento di noi consumatori? È proprio per questa legge che il marchio emergente è penalizzato: può creare un prodotto straordinariamente valido, ma non ha nessuna immagine associata ad esso che lo faccia preferire ad altri, aprendogli le porte del mercato. Sempre per questa legge però, per uno store rovinare la propria immagine potrebbe essere ben più deleterio che saldare una piccola fattura.
Le persone che in amicizia hanno saputo delle mie difficoltà si sono offerte in prima istanza di amplificare la mia voce. Dare più consistenza alle mie richieste. Una mail con una richiesta di pagamento può essere ignorata facilmente. Venti mail, meno. Duecento ancora meno! Inoltre, anche se non è quello l’obiettivo, c’è il rischio che diventino un problema pratico di gestione.
Cosa ha provocato l’onda digitale di mail della rete?
Dopo solo tre giorni di “solidarietà telematica” è accaduto ciò che aspettavo da mesi: finalmente una risposta, delle scuse per il ritardo e persino il bonifico! Non trovate che abbia dei risvolti inquietanti il fatto che in questa situazione ti conducano sedicenti negozi di “lifestyle” ? e non trovate che sia forse ancora più inquietante che tali “templi del lusso”, che ospitano i marchi più prestigiosi, gestiscano in questo modo fatture di brand emergenti il cui importo talvolta non arriva nemmeno a mille euro? D’altra parte se questa pratica è abituale, ospitando in conto vendita una moltitudine di brand per due stagioni all’anno, è facile immaginare che i guadagni potrebbero farsi abbastanza interessanti.
Cosa Suggerisci a chi si trova nella tua stessa situazione?
Io sono convinta che l’unione fa la forza e la rete, lo dice la parola stessa, unisce. Noi piccole realtà dovremmo organizzarci per condividere informazioni ed esperienze e sostenerci nelle nostre difficoltà. Potremmo trovare, sostenuti da una forza comune, strategie efficaci e legalmente percorribili per superare ogni ostacolo.
- Nomi e protagonisti della storia sono volutamente celati per tutelare il creativo e il suo brand -
Romina Toscano