Desperia - Il Maestro
di Nicola Pasa
racconti narrativa
L’incarico di riscuotere i crediti di sir Nottamburg talvolta gravava sulle fragili depresse spalle di Lukas, il pallido giovane, i cui occhi si aggiravano frenetici come smarriti dentro profonde orbite ornate di grigia polvere. Lukas era solito trascorrere le sue giornate nella sua stanza all’ultimo piano del palazzo di sir Nottamburg, una fredda e buia mansarda, dalla cui finestra ad abbaino contemplava il cielo grigio di Desperia con le sue torri inghiottite dalle nubi. L’ordine giungeva con la posta pneumatica, di solito il testo era essenziale: luogo, nominativo, peso del debito e scadenza, a volte in fondo al messaggio scritto da una macchina da scrivere con tasti difettosi, per cui i caratteri erano spesso mangiati, come corrotti, compariva un sollecito a eseguire subito la missione.
Lukas doveva avvolgersi nel suo cappotto, tirare il cappuccio fino a coprire i suoi capelli diafani e immergersi nella putredine di Rue Cazière, il fango sollevato dalle carrozze che imbratta le mura degli oscuri negozi, sgomitare tra ceffi di ogni risma, signori dalla visiera ben calzata, ottuse signore dai modi scortesi nascoste dietro le maschere di protezione, uomini neri sotto le bombette metalliche ad ogni angolo della angusta via.
La strada brulicava di umanità malsana, Lukas camminava inquieto stretto nel suo cappotto liso, nascosto sotto il cappuccio, la casa del maestro era poco distante ma sul tragitto egli non avrebbe potuto fare a meno di passare davanti alla bettola di messere Frankfurter, un vecchio arrugginito debitore del padre a cui di solito non sfuggiva l’occasione di prendere per il bavero del cappotto lui, il legittimo figlio di Sir Nottamburg e strattonarlo un poco facendogli intendere un po’ del suo alito malato e del suo disprezzo verso la sua familia, parole appena sussurrate, profumate e inzaccherate di odio ‘morte, lo voglio vedere morto, impiccato a quel trave’, dicendogli così lo faceva voltare a forza e sempre spingendogli giù nel gargarozzo il puzzo infame del suo tumore maligno gli indicava il trave che sosteneva la malconcia per nulla promettente insegna del suo pub.
Messere era un omone imponente, alto due metri, privo di collo, occhi tondi e bocca carnosa dal taglio crudele, le sue braccia larghe e possenti lo sollevavano con facilità. Messere Frankfurter era un uomo temuto, le donne si avvicinavano di rado alla sua locanda, si sentivano violentate dal suo sguardo bestiale. Correvano tante voci su di lui, tutte molto brutte, e molte di queste voci non passavano distante dal palazzo di Sir Nottamburg, per questo Lukas preferiva evitarlo.
Si calcò ancora di più il cappuccio sulla testa lasciando appena uno spiraglio per gli occhi e chinò la testa al fango della strada ignorando gomitate e imprecazioni che si levavano dalle genti. La pioggia ferrosa screziava l’aria polverosa, lucidava stivali perché fossero ben imbrattati dal fango acido. Passò indenne la locanda di messere Frankfurter, gli sembrò deserta, nessuna luce appesa alla bisogna al di là dei vetri spessi e unti.
All’altezza della casa del maestro una vecchia mendicante senza un occhio lo fermò proprio di fronte alla porta, gli si fece vicino con l’occhio buono mentre con l’occhio morto sembrava guardarlo dentro, dalla sua bocca sdentata si levava, come un caprimulgo al sorgere della luna, un odore di putrefazione, la vecchia disse qualcosa in un idioma a lui oscuro ma dal suo occhio buono ricavò un senso di disgusto per la vita tale che l’occhio era forse morto per non vedere più il mondo e della donna rimaneva un putrido inservibile maleodorante involucro a cui la questua servisse un comodo alibi per deambulare invano. Si liberò con un maldestro strattone, la mendicante cadde nel fango per poi rialzarsi come un pupazzo a molla e continuare come nulla fosse il suo calvario. Lukas si scrollò dal bavero la polvere maleodorante di quella vecchia beghina ed entrò nell’androne della casa del maestro. La vecchia proseguì malconcia la sua strada imprecando sottovoce.
Le scale della casa del maestro erano immerse nel buio, al pian terreno solo una porta sconnessa uscita dai cardini e appoggiata come a coprire un anfratto, la tana di Bulgakov, il poeta sordo, la vecchia palandrana della mancata rivoluzione del 17 Luglio di circa vent’anni fa, e ancora il vecchio grasso poeta si gloriava della luce passata, di quell’attimo di splendore quando tutta la corrotta nazione ascoltò in servile attesa e silenzio i suoi ormai dimenticati versi.
In alto nel buio nero si scorgeva nel profondo un timidissimo punto di luce, una riga appena percettibile dallo sguardo acuto e penetrante di Lukas, la cui vista prodigiosa era l’unica dote che sir Nottamburg gli riconosceva tra le molte mancanze. Lukas si arrampicò sulle scale saltando i gradini mancanti, volteggiando nell’aere come di consuetudine e come le regole della danza imponevano. Un volteggio a sinistra e uno a destra come si suole raccomandare nelle migliori scuole di portamento civile di Desperia, dalla Blackhouse School alla Santa Caterina High School, e nelle migliori scuole dell’Europa maggiore e dell’emisfero est dell’Europa minore.
L’ingresso del grande appartamento del maestro, la fioca luce a trafiggere il buio dell’andito, un odore come di stufato di cavoli e carne di capra, dolce e puzzolente. Bussò timidamente alla porta rugginosa e scrostata. Toc toc e poi tic toc e poi ancora toc toc tic.
Il maestro in persona venne ad aprire e lo fece entrare nell’appartamento illuminato a giorno. Il maestro era un uomo imponente, il suo metro e novanta lo ponevano tra i ragguardevoli esemplari di uomini che quella donnetta secca e fragile di sua signora madre ammirava e blandiva come potenziali immaginari amanti nelle notti solitarie e fredde che trascorrevano lontane dalle occupazioni cupe di sir Nottamburg. Il maestro camminava curvo schiacciato dal basso soffitto che pendeva giù molle gonfiato dalla pioggia incessante. Lukas registrava rapido i segni della decrepitezza del maestro che si riverberavano sulla casa. Il volto appariva bianco smorto, come cosparso di polvere di gesso, le labbra secche bruciacchiate, il naso curvo e piccolo nella larga faccia bianca. Gli occhi del maestro erano fessure poco dischiuse. Le pareti della casa in deliberato abbandono sporche di vernice come le mani del maestro, grandi mani bianche asciutte, piene di rughe secche. Il mobilio della casa ammassato tutto da una parte, sedie, vecchie sedie antiquate tutte diverse fra loro, mobili uno sull’altro, da una parte molte tele, alcune bianche alcune dipinte, alcune sfasciate. Mucchi di libri ancora, e riviste, bagnati, la muffa era diffusa ovunque, copriva gli angoli della stanza con precisione. Se il maestro si addormenta l’indomani si ritrova sotto la muffa, l’orlo dei pantaloni era corroso dalle muffe putride e dai funghi, le scarpe erano già un cumulo inservibile di stracci ingialliti.
Il maestro fumava e bofonchiava. Coff coff.
Devi sapere caro ragazzo che non attendevo da molto tempo la tua visita, segno che in te albergano la precisione odiosa e beghina del tuo mentore.
Il senso del tempo sfugge all’insigne maestro. Il naso di Lukas è attratto da un nuovo puzzo mentre il maestro parla. L’insigne maestro pittorico lucra la sua fetida parte di bottino di questa parte monca di mondo dal suo orribile laboratorio di tassidermia.
Ero intento in una mia nuova opera, non che non mi attendessi una visita diretta di sir Nottamburg, perché tu sei suo figlio legittimo, nevvero?
Nessun cenno, nessuna parola da parte sua, il signore suo padre è stato chiaro, ‘manifesta solo l’essenziale, cifra e scadenza’.
Una grande tela campeggiava la stanza, una tela bianca, il cui bianco immacolato rendeva oltremodo difficoltoso concentrare lo sguardo su di essa.
Ti piace, vero, si intitola Clean, è quasi finita, devo solo decidere in quale punto del quadro inserire il contrappunto. Vedi, la lettura di un’opera d’arte è rivolta all’interno di se stessa e all’esterno di se stessa, mi capisci.
Il vecchio maestro alitò il suo fiato corrotto sul viso di Lukas che si tenne lontano e guardingo, le spalle curve sotto il peso del grigiore quotidiano.
Il senso della sua opera, intendo, deve proiettarsi da e verso se stessa, comprendi, nevvero.
Novantamila corone, fece Lukas mentre i suoi occhi venivano inghiottiti dal biancore irreale.
Il maestro tese le sue orecchie pelose.
Non dirai sul serio, vero garcon ?
Novanta, ripeté Lukas distogliendo lo sguardo dal nitore abbagliante.
Il maestro diede oscene boccate di fumo dal suo sigaro. Fece una superficiale lettura dei suoi averi deposti in quella casa e trasse un sospiro grave.
Lukas conosceva quel sospiro, avendolo già percepito innumerevoli volte nelle medesime circostanze in cui si trovava in quel momento.
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