Sono in attesa, nella bella sala d’aspetto di un bravo cavadenti torinese, di una violentissima detartrasi. Bel parquet, pareti immacolate, poster sottovetro di mostre d’arte moderna anni ’80, comode poltroncine in tessuto gengivale.
Sul tavolino coi bordi decorati con denti da latte di bimbo, le riviste. Quattroruote di lusso, barche da commodori, gossip, minchiatelle, guida tivvù, attualità settimanale.
Scelgo per il mio sfogliare nervoso l’attualità settimanale edita dal potentato editoriale Arnoldo Goliath Mondadori.
Un giornalista britannico, Mister John Arlidge, freelance che presta la sua penna per testate internazionali di prim’ordine, scrive:
HO VOLATO DA NABABBO.
È un articolo tradotto dal Sunday Times. È interessante. Racconta di un’esperienza che noi percentuale del 99% della specie umana non faremo mai. Uno sui cento che leggeranno questo pezzo invece la farà o l’ha già fatta, e sghignazzerà di noi poveri.
Lettore nababbo: fai bene a shignazzare, è tuo diritto, come quelle pantofole in pelo di panda che indossi ora.
In parole povere, John si fa il giro del mondo in quattro giorni a bordo di cinque aerei di altrettante compagnie aeree. Eithad, Quantas, British, Singapore Airlines, Emirates.
I biglietti di tutte le cinque tratte sono per la first class, il meglio del meglio (anzi, "il top", come piace dire a molti scimmiottando il guru dei nuovi ricchi Briatore Flavio, yuppie agée, imprenditore e uomo-brand).
L’inglese spende una barca di soldi, decine di migliaia di euro. A bordo dei mastodontici Airbus A380 a due piani, balene volanti che trasportano 525 passeggeri su lunghe tratte transoceaniche, la prima classe è culla di piaceri ad alta quota.
E dunque non posti a sedere da pezzenti ma cabine separate, luci velluto per gli occhi, docce rigeneranti tra le nuvole, soffici e freschi letti con lenzuola Givenchy, pantofole Missoni, profumo di pesche nell’aria, toilette privata, succhi di frutta al lime, zenzero e menta, tè raro, saponi e olii per l’immortalità della cute, sorrisi chic di hostess perfette, maggiordomi trotterellanti rapiti ai grand hotel terrestri, due chiacchiere con il comandante.
E ancora e sopratutto: champagne Bollinger La grande année rosé 2005, Dom Pérignon, Krug Grande Cuvée, oh là là addirittura Pol Roger Cuvée Sir Winston Churchill, caviale iraniano, piatti preparati da avieri-chef, posate di design, argenti & cristalli, filetti dei cieli, mousse dell’aria, pasticceria volante.
E non basta, perché a terra, a Londra prima di salire per Doha, a Doha prima d’imbarcarsi per Singapore, a Singapore prima di volare per Melbourne, a Melbourne prima di viaggiare a Los Angeles, a Los Angeles prima di tornare a Londra, il nababbo del nuovo jet-set può ristorarsi e viziarsi nelle vip lounge coi loro grandi spazi studiati per poche persone.
Fanno anche il buffet di crostacei, se può interessare.
Ah! Bando all’ipocrisia, se avessi cassaforti ben colme viaggerei lassù pure io e godrei come un pazzo.
Sogno ad occhi aperti nella sala d’aspetto del dentista. L’assistente del dentista infrange il sogno.
“Signor Mosso, dopo la signora il prossimo è lei.”
Il sogno è estratto con le pinze come un dente del giudizio cresciuto invadente. Nei pochi minuti rimasti leggo il punto focale dell’articolo, che è scritto semplice ma tutt’altro che ingenuo e frivolo.
Lo riporto:
La metafora della divisione per classi sull’Airbus titanico, seppur semplicistica e minimale, calza per spiegare lo scenario globale e la distribuzione del reddito - e quindi del peso dei gruppi sociali nella società dei consumi odierna.
Tre classi, ben separate l’una dall’altra: la first, la business, la turistica.
In prima, ecco i ricchi, coloro i quali erano già milionari prima del crollo Lehman Brothers del 2008 e della grande recessione strettamente correlata al pattume dei mutui subprime, doping dei mercati che li ha pompati ma con la controindicazione di essere cancerogeni per il sistema economico planetario.
I milionari, già forti di cospicui patrimoni prima della crisi, si ritrovano ancora più cresi durante la bufera (scrivo durante perché non è ancora finita).
Il patrimonio è cresciuto, i soci dell’exclusive club sono aumentati. Non è grazie di certo alla cieca fortuna in improvvisati giochi borsistici.
La fortuna, amabile puttana, non è cieca, ci vede benissimo. Il sole bacia i belli, la fortuna limona coi ricchi.
È grazie all’asimmetria informativa.
Ma non l’asimmetria informativa tout court intesa nella classica definizione di:
Ma asimmetria informativa, in questo specifico caso, intesa nell’improvvisata definizione di:
“L’asimmetria informativa è quella condizione per cui un uomo ricco possiede molte più informazioni rispetto ad un uomo non ricco.” [Fonte: il sottoscritto, in sala d’attesa dal cavandenti]
Ovvero, come la definizione di Wikipedia, ma più terra terra, e più coerente con lo stile scanzonato e poco professorale di questa masturbazione mentale di carattere filo-economico prima della battaglia del tartaro.
Senza affrontare specifici casi, possiamo dire che il cliente di una private bank che si presenta con 10-20 milioni di euro da investire avrà di certo un trattamento diverso rispetto al piccolo risparmiatore che rompe il porcellino allo sportello dei servizi finanziari della Cassa di Risparmio di Cuorgnè.
E non sto solo parlando di salamelecchi di direttori elegantemente brizzolati, flûte di bollicine prima della firma del contratto di servizi, meeting in uffici con quadri d’autore alle pareti. Sto parlando di quello che è davvero importante: dell’informazione.
Chi siede in first class ha maggiori e migliori informazioni di chi ha meno quattrini.
Informazioni di qualità, informazioni in quantità. Su come/quando/quanto/per quanto a lungo investire.
Il suo patrimonio è custodito e fatto crescere da una truppa di private banker di livello, laureati di prestigio, scaltri analisti di razza, abili nasi da tartufo. Gli stumenti d’analisi sono più imponenti e sicuri, i canali di conoscenza a disposizione sono privilegiati e settoriali, le comunicazioni avvengono vicino alle stanze di bottoni, i meccanismi di protezione del capitale sono solidi.
L’albero del patrimonio familiare cresce, il tronco si rafforza, i frutti sono bellissimi, succosi e maturi.
La piantina con vaso di palstica da balcone del piccolo risparmiatore, d’altro canto, crescerà in proporzione ben più lenta, darà qualche bacca non sempre commestibile, e sopratutto sarà molto più vulnerabile a gelate improvvise e parassiti.
Maggiori soldi nel piatto equivale a un maggior guadagno e a un minor rischio.
Loro, i privilegiati, l’1% della Terra, sono gli ospiti delle cabine-eden della first class, il piano alto della casta al vertice della piramide. La neo-aristocrazia del denaro, vola blindata ermeticamente dagli altri dissimili esseri umani.
In business class, casta di raccordo, limbo tra il potere e il non potere, siedono in avvolgenti poltrone hi-tech i guardiani dell’Olimpo della first. Coloro che stanno lottando per arrivare nei giardini dalle fontane di ambrosia, che stanno arrampicandosi.
Benestanti ma non nababbi, costruttori della propria fortuna, professionisti di livello, viaggiatori per lavoro, medici primari, uomini d’affari, alfieri di grandi imprese, manager.
I veri manager, non l’esercito di finti manager chiamati così in una presa in giro simile a un buffetto sarcastico dove si ritrova manager il responsabile di un ristorante McDonald's di periferia, il capetto di un ufficio postale, il mini-boss di un oscuro antro di multinazionale di consulenza che comanda sì e no tre stagisti con lo zainetto Seven.
Trattamento coi guanti per loro, senza dubbio, ma senza esagerare.
Moet&Chandon ma non Dom Perignon.
Salmone d’Alaska ma non caviale.
Panno in lino caldo e profumato per la faccia stanca ma non la SPA a 10.000 metri di altezza.
L’argento ma non l’oro.
Infine, la terza clas ... pardon ... la classe turistica.
Se questo fosse un documentario a bassissimo costo allora si proietterebbe la scena di un corridoio affollato di transatlantico volante.
La scena: bebè che frigna disperato e che rigurgita a intermittenza, odore di curry, molte persone - direi troppe -, coda al cesso, ginocchia in bocca, piedi gonfi, calzini tossici, film della Disney, tortino di ananas e disagio, cappelliere moleste, persone che si alzano per far alzare altre persone che fanno alzare altre persone coi crampi, steward uomini in camicia a manica corta al posto delle hostess bom-bom della business e della first.
Classe turistica cioè la classe media, povera lei. Pensiamo alla classe media europea, e in particolare italiana, così bistrattata anzi così sodomizzata da anni di una crisi incancrenita e cha ha irrimediabilmente sconvolto e ridimensionato il potere d’acquisto nonché la società nazionale nel suo complesso.
Per capire la differenza tra quello che potevamo prima e quello che possiamo oggi, basta essere stati forti viaggiatori negli ultimi 15 anni.
Si andava in paesi che consideravamo terzo mondo, con due lire si aveva accesso a una serie di servizi turistici (dai bungalow ai ristoranti, e via dicendo).
Ora quelle due lire si sono trasformate, in arco di tempo limitato, in quattro.
Certo, è sempre poco, possiamo ancora permettercelo anche con i nostri stipendi, ma il cambiamento, veloce, talvolta velocissimo, è in atto, temo inarrestabile.
Le quattro lire di oggi, diverranno otto e poi sedici.
Consolazione: beh, nonostante tutto e i salari rimasti al palo, le tasse che crescono e MAI che decrescono, il mutuo, le rate per consumare, la paura di perdere un lavoro che odiamo, gli ausiliari del traffico, il conto del dentista, e questa birra calda servita al posto 93 fila F dove non mi circola più il sangue agli arti inferiori, dicevo, nonostante tutto, si viaggia ancora e anche lontano.
Ed è lusso sublime per quanto mi riguarda.
“Signor Mosso, venga, tocca a lei”.
L’assistente mi tira giù dalle nuvole, l’odontoiatria è nemica del flusso di pensieri, oltre che del tartaro.
Concludo, dunque. L’articolo del giornalista inglese, dove si fa la metafora dell’aereo per descrivere la società di classi, in realtà manca nel menzionarne altre due, una involontariamente esclusa dall’Airbus-mondo, la seconda auto-esclusa, volontariamente.
Esiste la quarta classe, la poor class, tutti coloro che su un Airbus A380 non ci saliranno mai, ma neppure su un volo Ryanair perché troppo poveri per permettersi di viaggiare via aerea, e sono tanti, non solo distribuiti nell’Africa Nera ma anche in Occidente.
Coloro i quali non solo subiranno le decisioni del vertice, della first e della business, come fanno le genti della turistica, ma che sono e saranno tagliati fuori dalla spartizione in fette della ricchezza globale, a parte qualche briciola marginale, caduta dal piatto.
Infine, c’è la zero class, cioè l’1% dell'1% della first class. I faraoni del capitale, i miliardari. Chi possiede 30 milioni di euro è ricco ma chi ne possiede 3 miliardi è straricco.
Coloro che non volano con le compagnie aeree commerciali, che non si abbassano a salire su veivoli con altre centinaia di comuni mortali.
Coloro che possiedono e volano con jet privati.
Coloro che con i loro spostamenti di moneta influenzano l’andamento economico di intere nazioni e popoli.
Al di sopra di tutto e tutti. Il potere finanziario, quello serio, quello pesante.
“Apra bene la bocca. Uh, lei fuma molto, vero?” , mi chiede minaccioso il medico del cavo orale.
Prima del martirio delle gengive, mi viene in mente un’ideona. Vorrei superare l’indagine del giornalista John Arlidge sulle prime classi degli A380, scrivendo un pezzo sul meglio del meglio.
Pertanto, chiedo gentilmente alla disponibile redazione di Tagli: datemi dei danari, vorrei fare un giro del mondo affittando un jet privato con hostess playmate, magnum di Cristal Rosè e svariati etti di caviale Beluga, se possibile.
Ne verrà un’inchiesta coi fiocchi, fidatevi.
Grazie mille.
Federico Mosso
@twitTagli