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Di “bellezze orientali” e insettini golosi

Da Lasere


Tra gli oolong che ho avuto la fortuna di sorseggiare fino ad ora, scegliere un preferito sarebbe impresa persa in partenza; ma se per gioco azzardassi una “top five”, di una cosa sarei assolutamente certa: l’Oriental Beauty ne farebbe parte.

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Ha tanti nomi, come spesso accade, questa Bellezza Orientale originaria di Taiwan: la si può sentir chiamare Dong Fang Mei Ren, o Bai Hao (’germogli bianchi’), o Pong Fong… talvolta la si chiama solo “tè dai cinque colori” (Wu Se Cha) per la sua calda tavolozza autunnale spruzzata dai fiocchetti biancoargento dei germogli.

Leggenda vuole che il più noto appellativo di Oriental Beauty (”bellezza orientale”) gli provenga niente meno che dalla regina Elisabetta II, che lo coniò nei primi anni del Novecento quando un mercante inglese, di rientro da Taiwan, gliene fece graditissimo omaggio. 

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Io lo considero un oolong principesco, ché a berlo lo si diventa, principi e principesse, in un batter d’occhio: uno di quei tè che sanno infondere nobilità ed eleganza all’animo di chi abbia la fortuna di avvicinarli nei suoi gradi più alti, che avvolgono i pensieri in stoffe pregiate e balsami profumati e una tiepidezza morbida di velluto bordeaux a cui ci si abbandona con un piacere che in questi giorni d’autunno tocca l’apice della voluttà.

In tazza io ci sento mele cotte e pesche, mosto e miele primaverile, cenni di qualche frutto tropicale di quelli succosi e nettarini che profumano le dita, e un pensiero di vino dolce; sotto al coperchio del gaiwan si concentra poi un aroma più profondo, come di zucchero di canna caramellato, che richiama alla mente la leggera tostatura cui questo tè va incontro al termine della lavorazione.
Ha un gusto succoso, caldo, vibrante di esuberanze estive pur nel suo aspetto così novembrino: l’immagine che svetta su tutte, anch’essa autunnale, è quella di un grande tino colmo d’uva pigiata, risultato di una vendemmia tardiva e dunque ancor più zuccherina.

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Le foglie hanno un colore quasi interamente marrone/rosso, a indicarci come si tratti di un oolong altamente ossidato: di norma l’Oriental Beauty va incontro ad una ossidazione che si aggira intorno al 70%, cosa che lo rende per certi aspetti avvicinabile ad alcuni tè neri – per esempio a certi darjeeling second flush dall’aroma dolce e fruttato -, pur con un ventaglio di sfumature ancor più affascinante e complesso.

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Eppure, ironia (fantasia!) (saggezza!) della sorte, buona parte di questa sua sontuosità è merito di un piccolo insettino verde che risponde al nome e cognome di Jacobiasca Formosana, ghiottissimo delle sue piccole e tenere foglioline: la pianta reagisce a queste sue lievi punture liberando sostanze protettive che, mettendo in atto una particolare reazione enzimatica che dà vita ad una sorta di anticipata ossidazione naturale, contribuiscono in misura fondamentale allo svilupparsi del caratteristico gusto maturo, rotondo e dolce di questo oolong.

Il curioso nome Pong Fong cha (tè “dello spaccone”), usato perlopiù soltanto a Taiwan dai produttori parlanti in dialetto hakka, si lega ad un simpatico racconto circa il primo coltivatore che provò a commercializzare un tè così apparentemente danneggiato dall’appetito degli insetti: contro ogni previsione la sua intraprendenza fu premiata, tanto che riuscì a venderlo al doppio del prezzo corrisposto per i migliori oolong. Al suo ritorno, gli altri coltivatori, increduli e fors’anche un po’ invidiosi nell’udire il racconto di un tale ed inatteso guadagno, liquidarono questo primo Bao Hao come, appunto, il tè dello spaccone, di chi millanti imprese esagerate e poco credibili :-)

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La Jacobiasca in un’immagine tratta dall’album flickr di Bettaman (licenza Creative Commons); cliccateci sopra per vederla ingrandita.

Il tempo del raccolto cade in giugno/luglio – anziché aprile o maggio come accade per la maggior parte degli altri tè – proprio per dar tempo alla Jacobiasca di svegliarsi e stiracchiarsi ben bene onde dedicarsi con agio al provvidenziale banchetto: inutile dire quanto imprescindibile sia, nel caso dell’Oriental Beauty, una coltivazione a regime biologico che non preveda l’uso di pesticidi, e quanto conti la purezza dell’aria nel preservare un habitat accogliente per le svolazzanti creaturine di cui sopra. Il fatto poi che anche il clima, di anno in anno più o meno favorevole all’apparire degli insetti, influisca sulla produzione, contribuisce a farne un tè inevitabilmente raro e costoso, nonché vittima di frequenti contraffazioni da cui guardarsi.

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Vederlo distendersi infusione dopo infusione… be’, se fossi un uomo direi che è bello quanto veder la propria donna spogliarsi poco a poco: le foglie arrese, minute e perfette (quanta selezione e accuratezza richiede il raccolto di un tè del genere!), sono di un’eleganza senza pari: si torcono in volute morbide, si compongono sinuose in onde a forma di bacio e di carezza.

Giudicate voi stessi: è o non è un tè sensualissimo?…

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… è o non è un lembo d’autunno in tazza? :-)

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L’Oriental Beauty protagonista di questo post proviene da Taiwan, dalla contea di Hsin Chu, frutto del raccolto di giugno 2010; è l’ennesima perla della Selezione del blog Tea Masters (ve l’ho presentata qui), e invito chi comprende l’inglese alla lettura di questo bel post informativo ad esso dedicato (uh anche questo!… e questo ;-))

Per gustarlo al meglio, il consiglio è di aumentare considerevolmente i tempi di infusione rispetto alla norma, con acqua a 90° circa: osate fino a 5/7 minuti in caso di infusione all’occidentale, fino a 1 o 2 minuti fin dalla prima infusione – anziché i trenta secondi di prammatica – qualora si utilizzi il metodo gongfu cha in piccole teiere d’argilla o gaiwan; in ogni caso saprà ricompensarvi con un nettare degno di un re.

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