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Di che cosa hai bisogno per scrivere

Da Marcofre

Per scrivere, hai bisogno di perderti. Molta gente è terrorizzata dalla sorpresa, dall’elemento imprevedibile che piomba tra capo e collo, e perciò pianifica qualunque cosa.

Probabilmente sul lavoro (almeno, con certi tipi di lavoro), è necessario un’ottima programmazione. La gestione di un magazzino per esempio, non può essere delegata all’improvvisazione, ma deve tenere conto dei flussi stagionali, del tempo (se si gestisce un magazzino di prodotti alimentari, un’occhiata alle previsioni del tempo per il fine settimana salva non la vita, ma dalle trippe del capo).

Eccetera eccetera.

Quando si affronta la sfida di una storia, si cerca di fare qualcosa di analogo. Ci si organizza, si pianifica. Tutto deve essere tenuto sotto controllo, perché si ha l’idea che solo in questo modo si arriverà al capolinea.
Ciascuno è libero di agire come meglio crede.

Però questo modo di lavorare, molto ottimizzato non mi persuade molto. Affrontare la pagina come se fosse un percorso già deciso: ma da chi?
L’unico aspetto che occorre pianificare, o meglio organizzare attorno a sé, è il silenzio. Quello è il vero motore che trascina da qualche parte (ammesso che si abbia del talento). Non credo affatto che il Web sia dannoso: basta togliere l’audio al computer, e attivare la modalità a pieno schermo del programma di videoscrittura. E via.

Non resta che pestare le dita sulla tastiera.

L’altro aspetto da curare è il tempo: se si desidera scrivere per due ore, tre o otto, fate pure. Non è questo il punto.
Quando parlo del tempo, intendo quello che è necessario per estrarre una storia dalle immagini che ci visitano. Secondo me, il problema non è avere l’ispirazione: basta guardarsi attorno. Il problema è: l’immagine, l’idea, ci conduce da qualche parte? Permette di spingerci un poco oltre il già detto e visto?

Non dico che sia indispensabile forzare i limiti: quelli ci sono e ci saranno per sempre. Possono essere resi meno rigidi, perciò possiamo scavalcarli. Ma ci sono e respirano con noi. Non possiamo farne a meno o ignorarli.
Anzi, la loro esistenza ci è di grande aiuto perché permette (può sembrare un’assurdità), di rendere i nostri punti di forza più nitidi.

Lasciarsi andare, perdersi: è l’essenza della buona scrittura. Però non siamo affatto abituati ad agire così. Questo accade perché siamo schiavi del periodo scolastico quando l’insegnante, dietro la scrivania, ci dettava il tema. Noi dovevano solo seguire la corrente. Evitare errori, “restare in tema”, mi raccomando!
Ed era fatta.

A me non è mai riuscito nulla del genere, ma questo è un altro discorso.

Quando si decide di scrivere in un certo modo (cioè: per dimostrare che il mistero dell’essere umano è sempre intatto, e portentoso), il primo passo che si compie è sedersi alla scrivania e dire: devo avere un tema. O un’idea. Enormi, ma questo mi pare superfluo scriverlo.
Non è necessario. A mio parere, è una condotta persino pericolosa; per la propria scrittura s’intende.

Chiudersi in una gabbia (“Devo avere un’idea! Un’idea, un’idea! Il mio regno per un’idea!“) può essere un originale modo per seguire l’andazzo di certa narrativa. Si guarda cosa fa la concorrenza, e si va a rimorchio. Spesso con enormi profitti, o comunque notevole successo. Però manca l’efficacia, manca la sorpresa. Di solito gli autori di racconti come Carver o Flannery O’Connor procedevano in maniera ben diversa. Non sapevano dove sarebbero arrivati, ma questo non era un problema per loro.

Può diventarlo solo per chi non ha talento. Oppure ce l’ha, ma della narrativa ha una tale idea assurda, che rischia di naufragare. Perché immagina (a torto, secondo me) che se non si hanno tutti gli elementi ben chiari, ci si perde e non arriva da nessuna parte.
Bisogna avere fede e fiducia nella forza della parola, e andare.

L’ideuzza del programmare tutto, nasce dal sogno (puerile) di una vita che può essere catalogata, domata e compresa. L’unico atteggiamento che si deve avere nei confronti della vita è quello della pietà, ma non nell’accezione scema che siamo soliti dare a essa. Bensì nel senso di partecipazione: immagino sia il sistema migliore per evitare fanatismi e idiozie varie. Però mi rendo conto che in tanti scrivono per proclamare: è un problema, ma solo per loro. Immaginano di combinare qualcosa di grandioso, mentre si limitano a replicare i meccanismi della pubblicità.

Contenti loro…


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