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Di “coglioni”, “dementi” e certi commenti (che fa anche rima)

Creato il 10 gennaio 2012 da Alphaville

Di Renato Pallavidini avevo già parlato qui. Ora il professore torinese è di nuovo sotto i riflettori per certe sue discutibilissime esternazioni su facebook: per quanto mi riguarda, non faccio nessuna fatica ad ammettere che è veramente difficile riconoscere nell’autore di quei post il raffinato conoscitore di Hegel e il profondo intellettuale che ho frequentato tempo addietro — da quello studioso non prenderò mai le distanze.
Ma, più che del prof. Pallavidini, oggi vorrei parlare dei complicati meccanismi mentali che stanno dietro a commenti come questi:

il professor pallavidini non è affatto un mostro!
E’ MOLTO PIU’ SEMPLICEMENTE UN COGLIONE!
pier

Io spero vivamente che voi non siate degli insegnanti come questo Pallavidini che mi sembra semplicemente un demente, come le argomentazioni della vostra retorica populista a buon mercato.
Semplicemente siete l’emblema di un sistema, il nuovo sistema Italia, dove ogni porcheria fatta e detta è giustificabile da una pretestuosa libertà di parola garantita da quella Costituzione che tu citi (non ti meriti il lei) senza comprenderne minimamente il significato al di la delle mere parole scritte. Senza vederne lo spirito. La nuova religione civile e planetaria è invece questa: l’ignoranza, il volere dimenticare, il mettere in dubbio ogni cosa. Siete voi e vi ci trovate bene a quanto vedo.
Ricollegandomi alle recenti affermazioni naziste postate su facebook dal vostro cosiddetto professore propongo di sbattere il mostro (e anche tutti voi) invece che in prima pagina a Dachau per un mesetto. Sò che per voi non sarà divertente come un tempo quando si bruciavano donne e bambini (ma magari è tutta propaganda sionista e altro non era che un enorme festa della birra) ma sono convinto vi possa fare bene il fresco anche solo per ossigenare il cervello.
filippo

Sono apparsi entrambi su questo blog, proprio in relazione al mio post del 3 novembre 2007, in cui appunto riconoscevo a Renato Pallavidini il diritto di esprimere riserve sul senso attribuito alla Giornata della Memoria e al movimento Hezbollah. E ancora non ne comprendo il perché: un po’ perché sono passati quattro anni da quell’episodio, e un po’ perché quei fatti non c’entrano assolutamente nulla con quelli che hanno riportato alla ribalta il prof. Pallavidini nei primissimi giorni di questo gennaio. Ma ogni testa è un piccolo mondo, e andiamo avanti.

All’apodittico “pier”, che evidentemente lo ignora, vorrei far presente che il coglione ha scritto un pregevole saggio intitolato Hegel critico dell’autoritarismo, pubblicato da Arnaud nel 1993 con prefazione del grande filosofo Remo Bodei, già titolare di cattedra alla Normale di Pisa e oggi docente all’UCLA in California e considerato probabilmente il massimo esperto italiano dell’idealismo classico tedesco. Non so quanti altri coglioni arriverebbero a tanto.

A “filippo”, invece, rivolgo dapprima un sincero ringraziamento: nel suo concitato saltabeccare dal “voi” al “tu” e viceversa mi ha fatto sentire per un momento una e trina — e in ogni caso il plurale majestatis, soprattutto se non si portano né una corona né un triregno, fa sempre piacere.

Dunque “filippo” inanella una serie di giudizi sulla misteriosa entità noi/io/noi basandosi non si capisce bene su che cosa, ma compiendo interessanti salti logici. E inizia qualificando come dementi sia il prof. Pallavidini sia la nostra/mia/nostra “retorica populista a buon mercato”. Curioso: perché, escludendo qui l’impiego del termine nella sua corretta accezione, nota perlopiù ai soli addetti ai lavori, comunemente “populista” sta per “demagogico” — “ciò che, attraverso retorica e false promesse, mira ad accaparrarsi il favore delle masse”. Ora, accusate noi/me/noi di quello che volete ma non di demagogia: perché altrimenti non staremmo/starei/staremmo mica qui a sparare cazzate (cit. Guccini) gratis su un blog, ma saremmo/sarei/saremmo invece un’affermata opinionista mediaticamente corteggiata: cioè spareremmo/sparerei/spareremmo analoghe cazzate però a pagamento, e nei salotti televisivi o dalle colonne di qualche illustre quotidiano.

Proseguiamo. Il “filippo”ci/mi/ci attribuisce nientemeno che il ruolo impegnativo di “emblema” del “nuovo sistema Italia”. E anche questo è bizzarro, perché noi/io/noi col sistema/Sistema ci litighiamo/litigo/litighiamo da una vita; e non votando da parecchio esprimiamo/esprimo/esprimiamo la mia assoluta estraneità alle dinamiche rappresentative che reggono questo paese.

Dopodiché, “filippo” ci/mi/ci accusa di citare la Costituzione senza comprenderne minimamente il significato “al di la (sic!) delle mere parole scritte”. È una sua opinione, a conforto della quale non produce alcuna prova. Del pari, noi/io/noi possiamo/posso/possiamo affermare con altrettanta serenità che “filippo” non ha compreso neanche una parola della Batracomiomachia e anzi la cita a sproposito. Tié.

C’è invece un punto sul quale io (non so gli altri membri della trimurti) mi sento di concordare con “filippo”, e cioè che “La nuova religione civile e planetaria è invece questa: l’ignoranza, il volere dimenticare”. È proprio così. Ci si fa un vanto di non sapere — come stanno le cose. Ci si fa un obbligo di volere dimenticare — come sono andate le cose.
Sul “mettere in dubbio ogni cosa”, invece, non sono d’accordo (sempre io): per “filippo” questo è un tratto negativo. Per me, invece, è positivissimo. Perché è solo nutrendo il dubbio e cercando di andare al di là dei “sentito dire” e delle verità di comodo che si può fare storia. Come diceva Renzo De Felice, ogni storico è per sua natura revisionista: e guai se così non fosse — altro che 1984…

Da ultimo, come si conviene in questi casi, “filippo” avanza una proposta costruttiva: mandarci/mi/ci “a Dachau per un mesetto”. Bontà sua, “filippo” riconosce che senza donne e bambini bruciati la cosa non sarebbe granché divertente. Ma la trimurti che sono diventata non mangia carne, e trova l’odore di carne bruciata sgradevolissimo.
Aggiungeremmo, tutti quanti, che a Dachau la prassi non era di bruciare donne e bambini, bensì di cremare nell’apposito forno i detenuti morti. Bruciare vivi donne e bambini è una pratica tipicamente angloamericanoisraeliana, come dimostrano — giusto per fare qualche esempio — il bombardamento di Dresda, la guerra in Vietnam e l’operazione “Piombo Fuso”.

In conclusione, sollecito del nostro/mio/nostro benessere, “filippo” si dice “convinto vi possa fare bene il fresco anche solo per ossigenare il cervello”. Ringraziando della premura, tutti noi in coro facciamo notare a “filippo” che il modo migliore per ossigenarsi è respirare aria pura. Pura, pulita — e non viziata da tanti pregiudizi e tanti luoghi comuni.

Pensare prima di parlare non è (ancora) reato.


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