Fino a che non finisce la Paris Fashion Week trovo che sia un po' inutile fare bilanci, tirare le somme e pensare che siano finiti i giochi.
I giochi partono in sordina con le centordicimila proposte di New York, proseguono quatti quatti a Londra, marciano a passo spedito a Milano e chiudono con il botto a Parigi. E che botto quest'anno. La sfilata di Marc Jacobs per Louis Vuitton è stata da brivido, ho rasentato le lacrime per l'intera durata dello show e ho atteso pazientemente come tutti l'annuncio ufficiale del suo addio, per quanto fosse già chiaro, palese e cristallino, che quella in corso fosse la sua ultima passerella francese. Vedere insieme tutte le più grandiose opere delle ultime stagioni (la fontana dell'AI 10, gli ascensori dell'AI 11, il carosello della PE 12, l'orologio della stazione dell'AI 12, le scale mobili della PE 13, il corridoio dell'hotel dell'AI 13) dipinte di un funereo nero simboleggiava chiaramente un ultimo show fatto per ricordare a tutti i meravigliosi spettacoli del passato. Il contratto di Marc sarebbe stato in scadenza tra qualche mese e da tempo si ventilava l'ipotesi che non sarebbe stato rinnovato: non per mancati meriti professionali (e vorrei vedere), ma per dedicarsi più intensamente alla quotazione in borsa del brand che porta il suo stesso nome e del quale il suo attuale “boss”, Bernard Arnault (LVMH), detiene un terzo delle quote. E' un peccato, un grandissimo peccato, perché Marc Jacobs che fa Marc Jacobs non è interessante quanto Marc Jacobs che fa Louis Vuitton. Ma gli americani lui c'hanno: l'unica stella a splendere nel panorama dell'offerta creativa nazionale è solo Mister Marc e farlo quotare significherebbe creare un vero e proprio impero. Sarò limitata nel mio provincialismo ma qua in Italia (che non siamo proprio gli ultimi stronzi quanto a passerelle) di Marc Jacobs non ce ne facciamo molto, non ha lo stesso appeal che ha su New York dove impazziscono per qualsiasi pennina a rossetto con scritto sopra “Marc”. Ha omaggiato le sue muse e le showgirl di Parigi (con quei copricapo piumati) il tutto in una collezione che poco o nulla sembra una primavera estate. Il resto della Parigi da ricordare è certamente Valentino, Vionnet, (Chanel no, 90 uscite e molta noia), Saint Laurent, Celine, Christian Dior, Rochas, Valli. Andando molto velocemente possiamo dire che: _CELINE Può permettersi un po' tutto ormai, essendo la golden girl del momento. Dopo le Birkenstock con il pelo si vede che l'asticella dell'ugly chic a tutti i costi è stata spostata ancora un po' più in là. L'unico lato positivo del successo del brand per chi come me non si può permettere una sua borsa è che Zara sta copiando molto bene questo stile finalmente minimale e scevro di borchie. La PE 14 però non mi ha fatto strappare i capelli e non vorrei che si continuasse su questa strada.
_CHRISTIAN DIOR Il meglio di questa sfilata sono stati gli accostamenti cromatici (arancio+lilla, verde+rosa pallido, azzurro+verde+bianco)), i tagli asimmetrici e il tripudio di gonne silver del trenino finale. Una goduria per gli occhi. _GIAMBATTISTA VALLI Valli notoriamente usa pochi colori, finora ha sempre prediletto il rosso abbinato ad altri colori-non-colori (bianco e nero). Questa volta dal cilindro ha tirato fuori dei volumi spettacolari e degli abiti tridimensionali decorati da violette del pensiero. Volere tutto, come filosofia di vita. _LANVIN Burberry PE 13. Non credo ci sia altro da aggiungere. _ROCHAS “Marco se n'è andato e non ritorna più...” Salutiamolo così Marco Zanini che lascia Rochas per andare dalla Schiaparelli di Della Valle (DIEGO TI PREGO non facciamo cavolate eh). Ci lascia con una collezione tutta da ricordare e, soprattutto, con una massima di saggezza che dovremmo tutti tatuarci sempre “Nobody comes to Paris to see another white cotton t-shirt”. [Incredibile come marchi più o meno inaspettati riescano a sparare fuori cose che sono nei miei sogni da anni e dovevano solo essere messe in passerella]. _VIONNET Alzi la mano chi sapeva che fosse la Goga a disegnare Vionnet. Perché che l'avesse comprato lo sapevo, ma che si mettesse lì con la matita a disegnare giuro che non ne avevo veramente idea. Il risultato è qualcosa di ovviamente molto “facile”, molto commerciale e perfettamente vendibile. Si vede che non ha un background di alta sartoria e forse non sa manco attaccarsi un bottone da sola. Eppure non è un male vedere qualcosa di semplice e sofisticato allo stesso tempo. Forse, di applicazioni ne è pieno il mondo. Forse, creare qualcosa di elegante senza essere dark, volgare, grunge, funky e innovativi a tutti i costi è ancora possibile. L'importante è non sostare a lungo nella mediocrità. _SAINT LAURENT Non troverete in me una fan del re-grunge ora in atto. C'ho provato, come sono caduta in molte mode sono caduta anche in questa. Ho provato la camicia di flanella a quadrettoni ma non ce l'ho fatta. Non sono uscita nemmeno dal camerino. Con questa collezione sprofondiamo nel baratro del disgusto. Tubini monospalla di pailettes come se ne vedono a manciate in Paolo Sarpi. Giacchine di pelle. Ma dai. Tailleur maschili e nude look. L'eredità di un colosso della moda sempre più defraudata, come in pochi altri brand s'è visto fare. _VALENTINO Non c'è nulla che quei due non possano fare. Nulla. Perfino una collezione come questa, tutta in coccodrillo e calzari di pelle. Bizantina senza risultare eccessiva. Un deciso cambiamento dopo stagioni di solid colors (certi blu e certi rossi che CIAO) e pizzo. Cosa farei poi, per avere quel cerchietto. Sulle ovvie passerelle di Milano tutti hanno un opinione quindi vi risparmio la mia, vediamo qualche outsider: _FENDI Lagerfeld da alla millefoglie tutto un altro appeal. Da Fendi riescono a tenere incredibilmente a bada l'estro tamarro di Karl Lagerfeld che porta in passerella qualcosa di finalmente mirabile tra tagli e accostamenti di colori. Per la donna ladylike c'è di che rifarsi gli occhi e il guardaroba, per me c'è solo da prendere appunti (gonna midi+top boxy SUBITO). _FAUSTO PUGLISI L'uomo dietro le recenti e discutibili passerelle di Ungaro, l'uomo dietro ai completini da cheerleader di Madonna, il golden boy della fashion week milanese mostra uno dei pregi della moda italiana: se a Parigi non si va per vedere solo un'altra t-shirt, a Milano vieni per comprartela la t-shirt. Perché noi italiani badiamo alla sostanza, facciamo cose belle e che si riesce a vendere. Non montiamo il Circo Togni per vendere quattro rossetti (Galliano, scusa). La parte azzurra di collezione mi ricorda quella dello Dello Russo per H&M e, nonostante questo, non mi ferma dal volerla. _TOD'S The big comeback of Alessandra Facchinetti! Dopo l'infelice esordio da Valentino (volendo togliere gli anni da Gucci) e una fase di transizione da Uniqueness, marchio purtroppo semisconosciuto di Pinko, eccola alla sua prima missione importante: cercare di scollare i gommini da Tod's e Tod's dai gommini. Dopotutto se Gucci è riuscito a scollarsi dal mondo dell'ippica e Louis Vuitton da quello della valigeria non può essere questa una missione impossibile. Il risultato è una collezione che sembra ancora un side project del brand e non un tuffo nel business del RTW come speravo. La pelle trattata come tessuto e il tessuto come bla bla bla. Si vede che le idee ci sono ma sono come tenute ancora a freno. Diego dai carta bianca alla signorina, vedrai che ripulita al marchio che ci diamo. _SPORTMAX Altro che Celine, io vorrei vestirmi tutti i giorni solo da Sportmax. Pezzi facili, femminili, non banali e che strizzano l'occhio alle tendenze senza esserne schiavi. Un brand che vive troppo di rendita della galassia Marzotto e che andrebbe spinto come ben pochi altri del panorama italiano. Matteo, IL MONDO DEVE SAPERE. In wishlist: un rosa che non ci faccia apparire sciupate bambine cresciute dentro gli abiti della comunione e stampa mega-dots per quando vogliamo fare le funky-yeah. Procedendo a ritroso nel tempo c'è la super sintetica fashion week di Londra che vede come principale esponente: _BURBERRY Pizzo e cachemire, cachemire e pizzo. NON. DESIDERO. INDOSSARE. ALTRO. Pezzi facili, colori polverosi. E' primavera, sembra che Christopher Bailey sia uno dei pochi che ancora se lo sia tenuto a mente mentre preparava la collezione. Di certo con questa collezione non si sono fatti passi avanti nell'eleganza mondiale, ma anche scoprire l'acqua calda di tanto in tanto male non fa. Infine la fashion week di New York cominciata quando ancora faceva caldo, oltre un mese fa. _J. CREW J.Crew è quello che tutte noi vorremmo indossare se fossimo tutte alte, magre e americane. Solitamente mi faccio portare dagli Stati Uniti i cataloghi di J.Crew perché sono meglio di un abbonamento annuale a Glamour: editoriali fantastici, capelli sempre-e-dico-sempre da copiare, abbinamenti superlativi. E' una catena di abbigliamento “ripulita” (gli anni 90 di J.Crew sono una specie di Ralph Lauren cheap) che grazie alla direzione creativa di Jenna Lyons è diventata un vero e proprio luogo di culto per chi vuole essere alla moda senza spendere sempre una sassata. Certo, per essere una catena il prezzo non è come Zara, ma nemmeno Zara è più ZARA (non so se mi capite). L'elemento base dello stile J.Crew è un sapiente mix&match: elementi che presi singolarmente sembrano accozzaglie ma che poi visti insieme creano look che sembrano venuti fuori dalle riviste. Colori accesi! Stampe lamè! Gioielli vistosi! Stampe animalier! Messe così sembro pazza, ma poi giuro che no. _OSCAR DE LA RENTA La Cara Vecchia Moda per il Sud degli Stati Uniti. Non so nemmeno se sia così, ma la sensazione è che le signore dei Tea Party, le signore texane, le signorine tutte casa-chiesa si strapperebbero le vesti per questi completini bon ton. Il genere di stile che la signora Obama potrebbe indossare ad un ricevimento. Ciò non significa che anche noi non ci meritiamo un paio di quegli abiti. _DELPOZO Chi è questo Delpozo dio mio e dov'è stato fino adesso??? E' un brand spagnolo back on the market solo da un anno sotto la direzione creativa di Joseph Font. Mai sentito, né uno né l'altro. La stampa americana non mi sembra ancora entusiasta come me, ma da quelle parti se non metti almeno dei jeans in passerella non ti considerano uno di loro. Delpozo, amico mio, lascia stare New York e porta la baracca a Parigi. _VICTORIA, VICTORIA BECKHAM Uscire dal tunnel degli abiti superaderenti non è facile per Victoria ma ce la sta facendo e noi siamo qua a dirle BRAVA VIC! Alcuni, addirittura, ricordano Bottega Veneta mentre la microstampa kaleidoscopio strizza l'occhio al J.Crew di cui sopra ma va bhè, mica si può essere del tutto originali. Poi un giorno ce la faremo a trovare un filo logico tra le uscite, magari lo stesso giorno che riusciremo a trovarlo anche nelle 90 uscite di Chanel.
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