L’autista che ci ha raccolto alla stazione di Modena e ci sta portando verso le colline del lambrusco è da un po’ che si sta chiedendo cosa ci facciamo 7 donne sul suo pulmino quando, rivolgendosi alla sottoscritta sedutagli accanto, ed azzardando la domanda ‘siete giornaliste?’ si sente rispondere in coro ‘no, food blogger!’. ‘Food cosa?’ …senza forse intuire fino in fondo che il nostro è destinato ad essere un weekend di piacere (tanto) e non di lavoro, nei venti minuti di strada che ci separano dalla meta ci parla della cultura del cibo che da queste parti è sacra, ci racconta del maiale venerato al punto da erigergli un monumento che ci fa ammirare zigzagando nella prima periferia cittadina, della gara di aceto balsamico tra le famiglie che custodiscono gelosamente nelle proprie soffitte le batterie di botti, della spuma che il lambrusco deve fare nel bicchiere.
Siamo dirette a Castelvetro dove ci aspetta Simone, giovane erede di una famiglia che da secoli produce aceto (quello buono…) e che con entusiasmo ha organizzato questo blogtour in collaborazione con l’AIFB (Associazione Italiana Food Bloggers).
Salendo dalla pianura modenese verso la collina ammiriamo il verde che ci circonda e l’indiscusso predominio della vite sulle altre coltivazioni. Simone evidentemente conosce bene l’effetto inebriante e socializzante di un bicchiere di vino tanto da accoglierci presso la Fattoria Moretto, azienda vitivinicola biologica gestita dai fratelli Fausto e Fabio Altariva che produce Lambrusco Grasparossa, vitigno autoctono così chiamato per il colore che il graspo assume alla maturazione. Si tratta di una delle quattro varietà di lambrusco (insieme a quello di Modena, di Sorbara e al Salamino di S. Croce), vino conosciuto per la sua spuma vivace ed evanescente e il suo profumo intenso esaltato da una buona acidità.
‘Il vino è il condensato del territorio, di una cultura, di uno stile di vita’ (E. Hemingway)
Alla Fattoria Moretto le uve vengono raccolte a mano e trasportate subito in cantina, qui vengono deraspate (per togliere l’eventuale tannino verde) quindi pressate con rulli di gomma per estrarne tutti i succhi, poi lasciati a bagno nelle bucce per 6-8 giorni a temperatura controllata. La spuma si ottiene con una doppia fermentazione (che trasforma gli zuccheri in alcool e anidride carbonica) in autoclavi di acciaio e costituisce il tratto distintivo di questo vino semplice, tonico, fresco, d’annata, perfetto abbinamento per i succulenti piatti della cucina modenese.
Passeggiamo tra i filari ascoltando i racconti di Fausto, rubiamo qualche chicco d’uva già matura dalle viti…entriamo nella fresca cantina per poi accomodarci intorno ad un grande tavolo a degustare lambrusco…5 calici di vino in un crescendo di aromi, persistenze e colori, partendo dal sentore di frutta esotica del Rosè per arrivare alla mineralità e alle note di rosa e peonia del Monovitigno fino all’eccellenza del Canova, vino dalla veste purpurea e con note di frutti rossi.
Usciamo un po’ allegrotte e ci dirigiamo verso il pulmino pronte per la tappa successiva, l’acetaia. In pochi minuti siamo catapultate nel cuore di Castelvetro, e la sua minuscola piazzetta nella quale questo fine settimana si svolge la suggestiva dama vivente, e da lì direttamente all’interno de La Vecchia Dispensa il negozio-bottega dove Simone ci incanta con i suoi racconti sull’aceto balsamico tradizionale di Modena.
Lui che, incoraggiato dal nonno, inizia ad assaggiare l’aceto di famiglia alla tenera età di 5 anni, lui che dopo una laurea in Architettura comprende che la sua vita è nella sua acetaia, tra le sue batterie di botti, che da oltre un secolo, gelosamente custodiscono puro mosto d’uva lambrusco lasciato invecchiare tra le silenziose e cupe mura di un’antica prigione.
Lui che parla del suo aceto come se fosse un membro di famiglia (neanche poi a torto, visto che ogni batteria di botti ha il nome di una progenitrice della propria casata…la bisnonna Zoraide, la zia Cunegonda emigrata in Germania…), lui che risponde con compiutezza a qualsiasi nostra domanda e parola dopo parola ci convince di essere arrivate in un posto meraviglioso!
‘Nessun manuale può aiutarti a fare l’aceto, perché l’aceto balsamico si ottiene, non si fa’
Tra queste colline l’aceto balsamico è tradizione di famiglia…nelle soffitte asciutte delle abitazioni il mosto d’uva cotto ancora oggi viene lasciato invecchiare senza fretta per poi essere consumato a tavola tutti i giorni o regalato a parenti ed amici; i figli e le figlie che si sposano ricevono tuttora oggi in dote parte dell’acetaia di famiglia affinché questa straordinaria tradizione e questo patrimonio di saperi e sapori non abbia mai fine.
Simone ci racconta molti aneddoti e verità (spesso, volutamente, nascoste a chi non è del settore…). L’istinto di noi consumatori di inclinare la bottiglia per verificarne dal vetro la densità, caratteristica che da sola non giustifica la qualità di un aceto balsamico; la mancata indicazione in etichetta, perché così vuole il disciplinare, degli anni di invecchiamento con il rischio di standardizzare un prodotto a volte molto diverso perché 10 anni in botte sono diversi da 20, così come sono diversi il lavoro, l’investimento e il rischio imprenditoriale dell’acetaio; l’utilizzo di un solo formato di bottiglia da 100ml (disegnata da Giugiaro) pena la classificazione del suo contenuto da aceto balsamico a mero ‘condimento’ balsamico.
Poiché il mosto cotto deve evaporare (al fine di concentrarsi e dunque di addensarsi) le acetaie devono trovarsi in luoghi asciutti con rilevanti escursioni termiche (ecco perché il solaio è preferibile ad una cantina sotterranea). Dovendo l’aceto ossidare è fondamentale l’apporto dato dal legno con il quale sono costruite le botti (castagno, rovere, faggio, ciliegio…) e nel quale esso deve riposare per decenni (la scelta di un legno particolare o l’alternanza di diverse essenze nel passaggio da una botte all’altra è in grado di regalare all’aceto balsamico un carattere distintivo e riconoscibile al naso dei più esperti). Di regola le botti sono organizzate per batterie, ciascuna costituita da 5 elementi di dimensione decrescente.
Volendo avviare una nuova batteria, è necessario che al mosto cotto fermentato venga unita la madre (ossia una colonia di aceto batteri e lieviti che funge da starter)…come nella preparazione dell’aceto di vino…terminato il processo di acetificazione il mosto può essere distribuito nelle botti dove ne viene controllata periodicamente l’acidità e la concentrazione (e qui si esprime l’abilità dell’acetaio!). Altrettando periodicamente è necessario effettuare i travasi….dalla botte più grande, vengono prelevate piccole quantità da riversare via via nelle altre fino ad arrivare a quella piccola dove si trova il prodotto più concentrato che sarà prelevato, parzialmente, per l’imbottigliamento. Ai travasi si alternano i cosiddetti rincalzi ovvero aggiunte di mostro cotto laddove il contenuto delle singole botti dovesse risultare eccessivamente acido o concentrato.
Balsamico dunque perché profumato per effetto dei sentori rilasciati dal legno delle botti.
Balsamico e tonico perché in passato veniva utilizzato come ricostituente e preso a cucchiai.
Tradizionale se ottenuto da solo mosto cotto proveniente dalla provincia di Modena e lavorato ed imbottigliato in loco (con riconoscimento IGP). Nel corso degli anni, al fine di rendere disponibile il prodotto nella grande distribuzione a prezzi contenuti i Consorzi di Tutela che associano i vari produttori hanno autorizzato l’utilizzo di altri tre prodotti, aceto di vino, mosto concentrato e caramello (sulla cui origine il disciplinare nulla esige…con tutte le perplessità che possono derivarne), che combinati insieme, tutti o in parte, danno tutto un altro prodotto…l’aceto balsamico di Modena DOC, spesso di qualità scadente (e riconoscibile dall’aspetto troppo liquido, da un colore poco intenso, da acidità o grado zuccherino eccessivo) a meno che, come nel caso de La Vecchia Dispensa non si facciano delle scelte produttive volte comunque a garantirne uno standard qualitativo elevato (due soli ingredienti…80% mosto e 20% aceto di vino, italiani e selezionati).
Simone ci suggerisce di individuare la tipologia di aceto che più lega con il nostro palato e con la nostra cucina e ci consiglia di utilizzarlo con pietanze calde (quasi aborrendo la classica combinata insalata-aceto balsamico!) per esaltarne al meglio i profumi e gli aromi. Oppure per preparare un favoloso mojito alle fragole…
foto de La Vecchia Dispensa
(il viaggio continua, alla scoperta dei segreti del parmigiano reggiano…)