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"...di quella pira..." (di Axel)

Creato il 23 marzo 2014 da Tafanus

Si è a lungo parlato dei costi delle regioni e delle provincie in funzione della razionalizzazione della spesa pubblica, oggettivamente al di fuori dei parametri di buona amministrazione in quanto dilatata senza necessità: leggere questo pezzo evidenzierà chiaramente quali siano queste aree grigie…

Tre mesi fa il governatore del Piemonte Roberto Cota si è recato in Giappone con una delegazione del Ceip (Centro estero per l’internazionalizzazione), un’organizzazione regionale che ha il compito, udite, di «rafforzare il Made in Piemonte nel mondo», una delegazione formata da 27 persone con una spesa complessiva di 455.000 euro, operazione sinistramente similare a quella denominata «Made in Lombardy», (finanziato dalla Regione Lombardia tramite la sua Finlombarda, una bella società il cui presidente è Antonello Turturiello, vicesegretario generale del Pirellone nonché membro del cda di Arexpo, equidistante da CL e Lega…) e di svariate altre società nate sotto l’ombrello di provincie, regioni e camere di commercio.

Perché le Regioni debbano occuparsi della gesione dei rapporti esteri allo scopo di incrementare le  esportazioni di piante di viti e di altri prodotti, e per questo (per esempio) organizzino missioni a Baku, non ci è dato sapere: sappiate che la governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha organizzato poche settimane fa una vera e propria missione  (31 persone) con tanto di incontro ufficiale fra la governatrice del Friuli-Venezia Giulia e il presidente azerbagiano Ilham Aliyev.

Lo sfizio delle regioni di farsi ognuna la propria politica estera con tanto di ambasciate e consolati è precedente alla famosa modifica del titolo V della Costituzione, che ha ampliato in modo sconsiderato le competenze delle Regioni, è proprio da allora che la situazione è degenerata, ovviamente con il classico, indecente spreco di denaro pubblico, regolarmente ad uso e consumo dei notabili regionali e provinciali: un esempio si trova nella regione Campania che spende 1,4 milioni di dollari l’anno per affittare un lussuoso appartamento a New York, a lato della sede dell’ufficio turistico della provincia di Napoli con un budget complessivo di 28 milioni l’anno per cinque dipendenti.

Difficile giustificare questa duplicazione, ma tant’è: sarebbe utile, ovviamente, poter riportare fra le competenze esclusive dello Stato le azioni di advertising il commercio con l’estero, come prevede il disegno di legge costituzionale pubblicato da qualche giorno sul sito del governo, come del resto sarebbe auspicabile un sostanziale miglioramento ed integrazione nella promozione turistica, dopo che la stessa riforma del titolo V avrà fatto tornare sotto il cappello unico dello Stato (articolo 117 lettera z) anche la «programmazione strategica del turismo».

In effetti queste azioni si sono svolte mentre l’Italia scivolava al quinto posto nella graduatoria mondiale per presenze estere, al sesto per fatturato e addirittura al ventiseiesimo per competitività, e contemporaneamente per la promozione turistica nel periodo 2009-2011 (dati Confartigianato) le Regioni hanno speso mediamente 939 milioni l’anno e le provincie 185…

Dai dati del World Travel & Tourism Council solo il 4,1% del Prodotto interno lordo Italiano proviene dal turismo con il mezzogiorno fanalino di coda visto che nel 2012 ha incassato in tutto solo 4 dei 32 miliardi arrivati in Italia grazie ai visitatori esteri, ma è riuscito a lasciare nella più vergognosa mancanza di manutenzione siti archeologici di primaria importanza.

A proposito, sapete quanti dipendenti ha il sito di Pompei? 218 (Fonti: CISL, Radio24) Per una superficie pari a 44 ettari, significa che c’è la disponibilità di un dipendente ogni 2000 metri quadri ma non il budget per evitare crolli.

Benché sia chiaro che ogni parallelo lascia il tempo che trova, considerato che per esempio l’area archeologica di Stonehenge ha una superficie simile ma 11 dipendenti non ci dovremmo fare alcune domande?

Che dire poi della incredibile abitudine delle provincie di inaugurare aeroporti ? Il disegno di legge prevede che ritornino ad esclusiva gestione centrale «porti e gli aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale», frase che ha già creato fortissimi malumori negli amministratori locali e nelle sale del potere.

In una nazione dove regioni e provincie hanno speso nell’ultimo decennio 15,6 miliardi di euro per realizzare aeroporti come quello di Malpensa (senza collegamenti che non siano via gomma, su una delle autostrade più trafficate d’Italia ad uso e consumo dell’attuale rais della Lombardia Maroni) Foggia (che dopo 188 milioni di euro spesi per il recupero funzionale dispone di 86 dipendenti, utilissimi atteso il fatto che dal 2009 vi sono ben 14 voli settimanali…) oppure di altre genialate come l’aeroporto di Albenga (si badi bene, a 45 chilometri da Genova…) dove per anni l’unico volo di linea era quello trisettimanale di Alitalia che viaggiava regolarmente con un solo gruppo di passeggeri, quelli a rimorchio del ministro Claudio Scajola.

Immagino che anche in questo caso si trattasse di un fatto non a conoscenza dell’ex ministro, che aveva deciso un finanziamento di un milione di euro per ripristinare questo volo che costava alle casse provinciali 4,7 milioni di euro l’anno.

Il nuovo articolo 122 della Costituzione decreterebbe poi il divieto di versare contributi pubblici ai gruppi politici dei consigli regionali e provinciali: per capirci, questo renderebbe impossibile il ripetersi di casi come quelli di Franco «Batman» Fiorito e di altri scandali che hanno investito gran parte delle Regioni, fra mutande verdi, attrezzi erotici e pasti a base di ostriche e champagne pagati dai contribuenti ed inoltre conterrebbe il principio che spetta allo Stato fissare gli stipendi degli organi regionali, mai in ogni caso superiori a quelli dei sindaci dei comuni capoluogo della Regione: questo però senza poter toccare le prerogative interne del personale dei consigli regionali, che grazie all’autonomia riconosciuta alle Regioni continua a sfuggire a limiti, tetti e regole imposte centralmente

Nel solo 2012, dice un’analisi di Roberto Perotti pubblicata da lavoce.info , i gruppi consiliari hanno inghiottito 95,6 milioni di euro, 28 mila euro a consigliere in più rispetto a quanto incassato dai gruppi parlamentari della Camera, con in particolare evidenza il caso Sicilia, dove lo stipendio del segretario generale dell’Assemblea regionale sarebbe di 600 mila euro l’anno, che contribuisce a fare dell’Ars un organo fra i più costosi al mondo, con una spesa per ogni rappresentante pari a circa 1,8 milioni ed un totale di 160 milioni annui.

Capite perché la nuova formulazione della Costituzione (lettera g dell’articolo 117) che affida allo Stato la «disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» potrebbe aprire qualche pericoloso appiglio per lo stato utile ad uniformare i trattamenti economici ma anche per la riorganizzazione degli apparati, considerando che secondo la Confartigianato nelle Regioni italiane in media un dipendente su tre sarebbe di troppo, con punte di 4.746 in Campania e 6.780 in Sicilia.

Per la cronaca in Molise i dipendenti regionali pesano per 178 euro su ogni molisano, contro 23 euro in Lombardia, mentre giusto per fornire un dato sull’efficacia con cui si spendono i soldi,  in un decennio la Regione Sicilia ha speso per la formazione professionale 4 miliardi di euro mentre il tasso di disoccupazione giovanile nella regione saliva dal 34 al 42 per cento.

Il fatto che il disegno di legge riconosca la «salvaguardia» dell’interesse regionale in tema di formazione professionale, un autentico buco nero, in particolare al Sud, dove si traduce quasi sempre in un grande business solo per i formatori senza (evidentemente da quanto scritto due righe sopra) generare effettiva ricaduta occupazionale sul territorio.

Ma del resto appare evidente che le società di formazione hanno sempre pesanti sponsorizzazioni politiche, per cui si tratta del solito gatto che si morde la coda.

Stesso discorso per quanto riguarda un'altra tendenza tipicamente Italiana, quella dell’esplosione delle società controllate dagli enti locali (più di 7 mila in tutta Italia), e che dispongono di criteri di bilancio assolutamente differenziati e che scaricano su provincie, regioni e comuni disavanzi stellari senza pagare i propri fornitori ? Una stima della CGIA di Mestre valuta in circa 4 miliardi l’anno il disavanzo economico complessivo delle partecipate pubbliche… e questi valori non rientrano fra quelli relativi ai bilanci, se non per partite esterne da ripianare come per esempio è stato fatto a Roma.

In realtà la modifica dall’impatto potenzialmente più devastante potrebbe essere quella prevista ancora dall’articolo 117, che esplicita come competenza esclusiva statale il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», includendo quindi il controllo delle spese delle regioni e delle cosiddette “aree urbane”.

L’influsso di anni di contorsioni giuridiche a beneficio dei potentati locali è stato ben illustrato dieci giorni fa dal presidente della Corte dei conti Raffaele Squitieri sottolineando che in un ventennio la pressione fiscale nazionale complessiva è salita dal 38 al 44 per cento, le imposte locali sono cresciute invece del 130 mentre le tasse centrali continuavano ad aumentare senza avere servizi in contraccambio.

Ricordiamoci che le tasse in un paese servono a garantire i servizi, che sono sostanzialmente tre, sicurezza, sanità e scuola: pretendere di aumentare la tassazione diminuendo la qualità dei servizi è assolutamente il modo migliore di dare voce agli urlatori tipo Grillo…

Proprio per questo motivo (ricordate che il governatore pugliese Vendola è indagato per una bella storia di nomine ASL pilotate) in questo progetto di riforma costituzionale che stabilisce che la sanità rimanga di competenza regionale rimangono grossi dubbi sulla vera volontà di attaccare i centri di potere economico e i veri sprechi: forse sarebbe arrivato il momento di riconoscere che la regionalizzazione decisa 35 anni fa non ha funzionato, come stanno a dimostrare i dati sulla qualità del servizio sanitario, diversissimi da Regione a Regione.”

 Axel


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