Magazine Diario personale

Di quelle volte in viaggio … – #confessionidiunaviaggiatrice

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

Durante questo mese di Gennaio che per cause di forza maggiore dovrà essere piuttosto sedentario, sto approfittando per fare una di quelle cose che sono solita rimandare per mesi: ordinare le mie foto. Lascio spazio all'ossessiva compulsiva che è in me e che gode tantissimo a costruire gerarchie di cartelline ordinate per anni e destinazioni.

Ordinare le foto, però, è sempre una cosa utile, perché fa rivivere i momenti, le emozioni del viaggio, le persone che ci accompagnavano zaino in spalla. Fa ritornare in mente anche quegli avvenimenti di cui ci vergogniamo un po', le manie dei preparativi [presente!] e le situazioni che - al ritorno da un viaggio - non abbiamo avuto il coraggio di raccontare. Mi sembra il momento giusto per dichiarare d'un fiato le mie #confessionidiunaviaggiatrice.

1. Ogni tanto seguo gli sconosciuti per strada.

Istanbul, esterno notte, io e il mio compagno nella piazza antistante Hagia Sofia, spazzata da un vento invernale.
Un signore sulla cinquantina, esile e con degli occhiali spessi sul naso, si avvicina pronunciando la parola magica di questa città: çay. The. Durante il viaggio a Istanbul ho bevuto caraffe di çay venduto nei carretti ambulanti per strada: un po' per avere qualcosa di caldo fra le mani e combattere il freddo novembrino e un po' perché ne adoravo il sapore dolciastro. Il signore che si è avvicinato sembra uno di loro, un altro venditore di the. Lo seguiamo per prendere l'ennesimo. Solo che non c'è nessun carrellino: il signore continua a farci cenno di seguirlo, si gira puntualmente per vedere se siamo dietro di lui, al buio. Ci siamo, perché ormai siamo curiosi di vedere dove è diretto. Pochi passi ancora e varca un cancello: è entrato nell' Haseki Hürrem Sultan Hamamı, un magnifico hamam dell'epoca di Solimano il Magnifico, all'epoca del viaggio in restauro.

Ok, cosa fate se siete a Istanbul, di sera, e un signore vi chiede di seguirlo all'interno di un hamam in restauro?
Ecco, non siamo scappati, ma lo abbiamo seguito. Con le gambe tremanti. Come quando in un film dell'orrore vedi la vittima che si dirige nel posto più pericoloso della casa, dove sicuramente si nasconde l'assassino. E tu mentre la guardi nello schermo urli "scappaaaa!", ma lei non ti sente. Non so con che coraggio abbiamo seguito il signore: ricordo che ci siamo affidati all'istinto, al fatto che avesse una faccia buona. Superato il cancello, di fronte il buio pesto dell'hamam in restauro, io già con le visioni di sultani fantasmi, il signore si affaccia da un container e ripete çay çay.
Capiamo così che è il guardiano dell'hamam, e nel suo mini ufficio in lamiera ha veramente una teiera con cui ci prepara un dolcissimo the. Parliamo a gesti, della sua famiglia, di quanti figli ha e intanto si profonde in riverenze, ci fa capire che ci sta augurando una bella vita insieme.

È stato il the più dolce che abbia mai preso, ma anche quello bevuto con più ansia in corpo. Nessun fantasma si è manifestato, e nemmeno i 40 ladroni che temevo ci avrebbero aggredito mentre bevevamo il çay.

Buenos Aires. Una domenica pomeriggio passeggio nella zona di Plaza de Mayo, ho letto che c'è un museo della storia della città nascosto lì nei paraggi e voglio farci un salto. Lo trovo, c'è un porta di legno aperta ma un cartello annuncia che il museo è chiuso, nonostante gli orari dicano il contrario. Di fronte all'entrata ci sono solo io e un ragazzo con la macchina fotografica al collo, pure lui. Non è un turista, mi dice, vive in città ma deve fare delle foto a dei costumi d'epoca, per un film su Martina Céspedes, eroina porteña che si ribellò all'invasione inglese di inizio Ottocento.
Entriamo nel museo cercando di capire il motivo della chiusura, ma il custode ci rimanda amabilmente al mittente. E quindi? Siamo a pochi passi dal quartiere di San Telmo e Sebastian, così si chiama, mi invita a bere una birra. Camminiamo per le strade di questo barrio antico, uno dei più storici della città, famoso per i suoi innumerevoli cafes e tavolini all'aperto e soprattutto per gli artisti di strada e i ballerini. È qui che la domenica pomeriggio le persone si radunano per ballare il tango in piazza. Io e Sebastian ci sediamo in un tavolino del bar Medio y Medio, a due passi dalla panchina di Mafalda, e ci beviamo una birra nazionale, la Quilmes, chiacchierando un po'.

Ricordo quella bella sensazione di conoscere una persona nuova e trovare molti punti in comune, e quel senso di libertà nel lasciarsi conoscere. Siamo ancora in contatto e mi scrive ogni tanto per aggiornarmi sui nuovi progetti della scuola.

2. Non resisto a provare lo street food locale e poi rimango in ansia pensando che ne rimarrò intossicata.

Non ce la faccio. Se passo di fronte a un venditore ambulante che offre qualche pietanza locale, la devo assaggiare. Mi sono lanciata su pannocchie cosparse di formaggio fuso a Buenos Aires, succhi di frutta spremuti sul momento a quasi 4000 mt di altura a Chivay, pesce grigliato a Istanbul, empanadillas andine durante una festa boliviana...

Adoro provare nuovi sapori, e normalmente lo faccio d'istinto, compro e mangio.
Salvo poi farmi attanagliare dal pensiero terrorista-ansiogeno "ma sarà stato cibo buono?" quando ormai ho già ingoiato il tutto e non posso più tornare indietro. Sono ancora viva, magari con qualche brontolio di stomaco in più, ma viva.

3. Mi ritrovo in situazioni assurde in cui devo fare da interprete.

Non ho mai avuto paura di parlare le lingue. Ricordo la prima volta in cui mi lanciai nelle strade di Parigi, dodicenne, decisa a ritrovare la strada che io, mia sorella e una zia, avevamo perso: chiesi indicazioni in inglese a una signora con occhiali da sole così grandi che a Paris Hilton le facevano un baffo. Non capii niente: un po' per il suo accento francese marcatissimo e un po' perché i miei anni di autodidatta con English Junior De Agostini non mi avevano evidentemente dato ancora delle basi solide...

Ma l'esperienza clou da interprete è stata a Puno, Perù.
La guida, approfittando della nostra gentilezza e del fatto che comunque ci portava in giro con la sua macchina, ci condusse a casa di un suo parente che in seguito a un pestaggio era in stato comatoso. Pensava che potessimo aiutarlo a farlo arriva in Europa e curare in un ospedale italiano. Ci chiese il favore di portare in Italia tutta la documentazione medica, e intanto ce ne stavamo di fronte al capezzale di questo pover'uomo. Io cercavo di tradurre dallo spagnolo all'italiano mentre il mio ex gli faceva un'anamnesi medica. All'epoca il mio spagnolo si fondava sullo studio di un trimestre all'Università, per un esame complementare. Per dire.

Fu un'esperienza piuttosto toccante, peggiorata dal senso di impotenza, sapevamo benissimo di non avere alcun potere per far arrivare un moribondo peruviano in Europa.

4. Ho cambiato dei soldi con un arbolito al mercato nero di Buenos Aires.

In Argentina, tristemente famosa per la sua instabilità economica, vive sotto gli occhi di tutti la dualità del cambio del peso, moneta locale.
Sulle pagine dei quotidiani troverete sempre il doppio cambio: quello ufficiale, applicato dalla banche e casas de cambio ufficiali, e quello del mercato nero. Quest'ultimo naturalmente è molto più conveniente per convertire i vostri soldi in pesos. Il cambio di valuta si può richiedere "a prezzo vantaggioso" in hotel o, se conoscete qualcuno, farvi indicare una casa de cambio che ve lo possa applicare.

E poi ci sono gli arbolitos (gli alberelli): basta fare un giro nel Microcentro, in calle Florida, e vedrete decine di uomini e ragazzi che stanno in mezzo alla strada, come alberi appunto, e passano le loro giornate al ritmo di " Cambio Dolar, Euro, Cambio". Mi ricordava la cantilena dei " cerveza, beer, marijuana" dei paki di Barcellona.
Per cambiare i vostri soldi con un arbolito dovete avvicinarvi, chiedere qual è il suo prezzo di cambio e seguirlo in qualche nascosto corridoio condominiale perché vi dia i soldi. Essendo un'attività illegale, non si può fare alla luce del giorno.
Io mi ero ripromessa di starne alla larga. Viaggiando da sola a Buenos Aires, seguire un arbolito in qualche edificio buio per spuntare il risparmio di qualche euro non era esattamente il rischio che avevo intenzione di correre.

Ma poi ho conosciuto Solen, una ragazza turca conosciuta in ostello a Iguazù, con cui ho passato anche la mia ultima giornata a Buenos Aires. Anche lei prossima a partire, aveva nel portafoglio l'equivalente in pesos di 100$ da cambiare. E visto che ci trovavamo a passeggio per il Microcentro, lei decise che quei soldi non li voleva perdere e che, essendo ora in due, poteva farsi forza e trovare il coraggio di rivolgersi a un arbolito per avere il cambio più conveniente. Anche io mi dissi, ma si, siamo in due, è più sicuro. Gira che ti rigira, ne scegliemmo uno che ci disse che dovevamo ripassare nel giro di 10 minuti ed entrare a un numero civico di calle Florida, dove lui ci avrebbe aspettato.
E così facemmo.
Pensavamo di entrare in una casa de cambio segreta, invece no. L'arbolito, un signore tarchiato con un cappellino a visiera, apre una porta e ci fa entrare: uno sgabuzzino tre metri per tre metri. Tira fuori da una borsetta un fascio di biglietti verdi dollarosi che mai avevo visto tutti insieme. Una quantità enorme di denaro che inizia a contare sulla punta delle dita. Chiuso l'affare ci butta fuori di fretta e ci dice di fare le indifferenti.

Il tutto sarà durato 2 minuti, due lunghissimi minuti in cui, di nuovo, nella mia mente già erano più che concreti scenari in cui degli energumeni si univano al tarchiatello e approfittavano di noi, magari con una bella pistola in mano, giusto per rendere il tutto più hollywoodiano. Niente di tutto questo, ma io in uno sgabuzzino con un arbolito non ci entro più.

E per voi quali sarebbero le confessioni da viaggio? Quali sono stati i momenti più curiosi del vostro viaggio del cuore? Sono tutta orecchi!

...

E se volete dare il vostro contributo, potete scrivere un post usando gli hashtag #confessionidiunaviaggiatrice e #CONFESSIONIDIUNAVIAGGIATRICE e #VIAGGIODASOLAPERCHÉ seguendo le istruzioni che trovate qui.

Durante questo mese di Gennaio che per cause di forza maggiore dovrà essere piuttosto sedentario, sto approfittando per fare una di quelle cose che sono solita rimandare per mesi: ordinare le mie foto. Lascio spazio all'ossessiva compulsiva che è in me e che gode tantissimo a costruire gerarchie di cartelline ordinate per anni e destinazioni.

Ordinare le foto, però, è sempre una cosa utile, perché fa rivivere i momenti, le emozioni del viaggio, le persone che ci accompagnavano zaino in spalla. Fa ritornare in mente anche quegli avvenimenti di cui ci vergogniamo un po', le manie dei preparativi [presente!] e le situazioni che - al ritorno da un viaggio - non abbiamo avuto il coraggio di raccontare. Mi sembra il momento giusto per dichiarare d'un fiato le mie #confessionidiunaviaggiatrice.

1. Ogni tanto seguo gli sconosciuti per strada.

Istanbul, esterno notte, io e il mio compagno nella piazza antistante Hagia Sofia, spazzata da un vento invernale.
Un signore sulla cinquantina, esile e con degli occhiali spessi sul naso, si avvicina pronunciando la parola magica di questa città: çay. The. Durante il viaggio a Istanbul ho bevuto caraffe di çay venduto nei carretti ambulanti per strada: un po' per avere qualcosa di caldo fra le mani e combattere il freddo novembrino e un po' perché ne adoravo il sapore dolciastro. Il signore che si è avvicinato sembra uno di loro, un altro venditore di the. Lo seguiamo per prendere l'ennesimo. Solo che non c'è nessun carrellino: il signore continua a farci cenno di seguirlo, si gira puntualmente per vedere se siamo dietro di lui, al buio. Ci siamo, perché ormai siamo curiosi di vedere dove è diretto. Pochi passi ancora e varca un cancello: è entrato nell' Haseki Hürrem Sultan Hamamı, un magnifico hamam dell'epoca di Solimano il Magnifico, all'epoca del viaggio in restauro.

Ok, cosa fate se siete a Istanbul, di sera, e un signore vi chiede di seguirlo all'interno di un hamam in restauro?
Ecco, non siamo scappati, ma lo abbiamo seguito. Con le gambe tremanti. Come quando in un film dell'orrore vedi la vittima che si dirige nel posto più pericoloso della casa, dove sicuramente si nasconde l'assassino. E tu mentre la guardi nello schermo urli "scappaaaa!", ma lei non ti sente. Non so con che coraggio abbiamo seguito il signore: ricordo che ci siamo affidati all'istinto, al fatto che avesse una faccia buona. Superato il cancello, di fronte il buio pesto dell'hamam in restauro, io già con le visioni di sultani fantasmi, il signore si affaccia da un container e ripete çay çay.
Capiamo così che è il guardiano dell'hamam, e nel suo mini ufficio in lamiera ha veramente una teiera con cui ci prepara un dolcissimo the. Parliamo a gesti, della sua famiglia, di quanti figli ha e intanto si profonde in riverenze, ci fa capire che ci sta augurando una bella vita insieme.

È stato il the più dolce che abbia mai preso, ma anche quello bevuto con più ansia in corpo. Nessun fantasma si è manifestato, e nemmeno i 40 ladroni che temevo ci avrebbero aggredito mentre bevevamo il çay.

Buenos Aires. Una domenica pomeriggio passeggio nella zona di Plaza de Mayo, ho letto che c'è un museo della storia della città nascosto lì nei paraggi e voglio farci un salto. Lo trovo, c'è un porta di legno aperta ma un cartello annuncia che il museo è chiuso, nonostante gli orari dicano il contrario. Di fronte all'entrata ci sono solo io e un ragazzo con la macchina fotografica al collo, pure lui. Non è un turista, mi dice, vive in città ma deve fare delle foto a dei costumi d'epoca, per un film su Martina Céspedes, eroina porteña che si ribellò all'invasione inglese di inizio Ottocento.
Entriamo nel museo cercando di capire il motivo della chiusura, ma il custode ci rimanda amabilmente al mittente. E quindi? Siamo a pochi passi dal quartiere di San Telmo e Sebastian, così si chiama, mi invita a bere una birra. Camminiamo per le strade di questo barrio antico, uno dei più storici della città, famoso per i suoi innumerevoli cafes e tavolini all'aperto e soprattutto per gli artisti di strada e i ballerini. È qui che la domenica pomeriggio le persone si radunano per ballare il tango in piazza. Io e Sebastian ci sediamo in un tavolino del bar Medio y Medio, a due passi dalla panchina di Mafalda, e ci beviamo una birra nazionale, la Quilmes, chiacchierando un po'.

Ricordo quella bella sensazione di conoscere una persona nuova e trovare molti punti in comune, e quel senso di libertà nel lasciarsi conoscere. Siamo ancora in contatto e mi scrive ogni tanto per aggiornarmi sui nuovi progetti della scuola.

2. Non resisto a provare lo street food locale e poi rimango in ansia pensando che ne rimarrò intossicata.

Non ce la faccio. Se passo di fronte a un venditore ambulante che offre qualche pietanza locale, la devo assaggiare. Mi sono lanciata su pannocchie cosparse di formaggio fuso a Buenos Aires, succhi di frutta spremuti sul momento a quasi 4000 mt di altura a Chivay, pesce grigliato a Istanbul, empanadillas andine durante una festa boliviana...

Adoro provare nuovi sapori, e normalmente lo faccio d'istinto, compro e mangio.
Salvo poi farmi attanagliare dal pensiero terrorista-ansiogeno "ma sarà stato cibo buono?" quando ormai ho già ingoiato il tutto e non posso più tornare indietro. Sono ancora viva, magari con qualche brontolio di stomaco in più, ma viva.

3. Mi ritrovo in situazioni assurde in cui devo fare da interprete.

Non ho mai avuto paura di parlare le lingue. Ricordo la prima volta in cui mi lanciai nelle strade di Parigi, dodicenne, decisa a ritrovare la strada che io, mia sorella e una zia, avevamo perso: chiesi indicazioni in inglese a una signora con occhiali da sole così grandi che a Paris Hilton le facevano un baffo. Non capii niente: un po' per il suo accento francese marcatissimo e un po' perché i miei anni di autodidatta con English Junior De Agostini non mi avevano evidentemente dato ancora delle basi solide...

Ma l'esperienza clou da interprete è stata a Puno, Perù.
La guida, approfittando della nostra gentilezza e del fatto che comunque ci portava in giro con la sua macchina, ci condusse a casa di un suo parente che in seguito a un pestaggio era in stato comatoso. Pensava che potessimo aiutarlo a farlo arriva in Europa e curare in un ospedale italiano. Ci chiese il favore di portare in Italia tutta la documentazione medica, e intanto ce ne stavamo di fronte al capezzale di questo pover'uomo. Io cercavo di tradurre dallo spagnolo all'italiano mentre il mio ex gli faceva un'anamnesi medica. All'epoca il mio spagnolo si fondava sullo studio di un trimestre all'Università, per un esame complementare. Per dire.

Fu un'esperienza piuttosto toccante, peggiorata dal senso di impotenza, sapevamo benissimo di non avere alcun potere per far arrivare un moribondo peruviano in Europa.

4. Ho cambiato dei soldi con un arbolito al mercato nero di Buenos Aires.

In Argentina, tristemente famosa per la sua instabilità economica, vive sotto gli occhi di tutti la dualità del cambio del peso, moneta locale.
Sulle pagine dei quotidiani troverete sempre il doppio cambio: quello ufficiale, applicato dalla banche e casas de cambio ufficiali, e quello del mercato nero. Quest'ultimo naturalmente è molto più conveniente per convertire i vostri soldi in pesos. Il cambio di valuta si può richiedere "a prezzo vantaggioso" in hotel o, se conoscete qualcuno, farvi indicare una casa de cambio che ve lo possa applicare.

E poi ci sono gli arbolitos (gli alberelli): basta fare un giro nel Microcentro, in calle Florida, e vedrete decine di uomini e ragazzi che stanno in mezzo alla strada, come alberi appunto, e passano le loro giornate al ritmo di " Cambio Dolar, Euro, Cambio". Mi ricordava la cantilena dei " cerveza, beer, marijuana" dei paki di Barcellona.
Per cambiare i vostri soldi con un arbolito dovete avvicinarvi, chiedere qual è il suo prezzo di cambio e seguirlo in qualche nascosto corridoio condominiale perché vi dia i soldi. Essendo un'attività illegale, non si può fare alla luce del giorno.
Io mi ero ripromessa di starne alla larga. Viaggiando da sola a Buenos Aires, seguire un arbolito in qualche edificio buio per spuntare il risparmio di qualche euro non era esattamente il rischio che avevo intenzione di correre.

Ma poi ho conosciuto Solen, una ragazza turca conosciuta in ostello a Iguazù, con cui ho passato anche la mia ultima giornata a Buenos Aires. Anche lei prossima a partire, aveva nel portafoglio l'equivalente in pesos di 100$ da cambiare. E visto che ci trovavamo a passeggio per il Microcentro, lei decise che quei soldi non li voleva perdere e che, essendo ora in due, poteva farsi forza e trovare il coraggio di rivolgersi a un arbolito per avere il cambio più conveniente. Anche io mi dissi, ma si, siamo in due, è più sicuro. Gira che ti rigira, ne scegliemmo uno che ci disse che dovevamo ripassare nel giro di 10 minuti ed entrare a un numero civico di calle Florida, dove lui ci avrebbe aspettato.
E così facemmo.
Pensavamo di entrare in una casa de cambio segreta, invece no. L'arbolito, un signore tarchiato con un cappellino a visiera, apre una porta e ci fa entrare: uno sgabuzzino tre metri per tre metri. Tira fuori da una borsetta un fascio di biglietti verdi dollarosi che mai avevo visto tutti insieme. Una quantità enorme di denaro che inizia a contare sulla punta delle dita. Chiuso l'affare ci butta fuori di fretta e ci dice di fare le indifferenti.

Il tutto sarà durato 2 minuti, due lunghissimi minuti in cui, di nuovo, nella mia mente già erano più che concreti scenari in cui degli energumeni si univano al tarchiatello e approfittavano di noi, magari con una bella pistola in mano, giusto per rendere il tutto più hollywoodiano. Niente di tutto questo, ma io in uno sgabuzzino con un arbolito non ci entro più.

E per voi quali sarebbero le confessioni da viaggio? Quali sono stati i momenti più curiosi del vostro viaggio del cuore? Sono tutta orecchi!

...

E se volete dare il vostro contributo, potete scrivere un post usando gli hashtag #confessionidiunaviaggiatrice e #CONFESSIONIDIUNAVIAGGIATRICE e #VIAGGIODASOLAPERCHÉ seguendo le istruzioni che trovate qui.

Grazie Dana, forse è una temerarietà che pensandoci da casa mi sembrerebbe assurda...ma a volte le cose semplicemente succedono, e quando sei in viaggio certi parametri non valgono più

Di quelle volte in viaggio … – #confessionidiunaviaggiatrice

Giulia. Trent'anni e qualcosa, dopo una separazione e molti traslochi, ora vivo in una scatola di fiammiferi di fronte al mare di Barcellona (♥). Ogni tanto riempio uno zaino e vado a esplorare il mondo. Se sono ben accompagnata ne sono felice, altrimenti cammino benissimo da sola. Per avere più dettagli clicca qui.

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