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Dialogo con Socrate, un amico di altri tempi.

Da Motovita

platone-e-socrateVorrei raccontarvi di un mio caro amico del passato, un individuo che mi ha dato tanto senza saperlo.
Quest’uomo arrivava persino ad affermare di non sapere nulla, tuttavia mi ha insegnato moltissimo.
Una di quelle persone che a prima vista trasmettono nulla o quasi, ma che se osservate con attenzione possono aprirci un vero e proprio mondo di idee e possibilità inedite. Non è stato ciò che egli esprimeva con il suo pur gradevole linguaggio verbale a colpirmi, bensì il suo esempio.

Confrontandomi con lui mi sono reso conto che le parole hanno poco valore, che le chiacchiere alla fin fine si perdono nell’etere e le uniche cose che veramente contano sono le intenzioni individuali che motivano il fare. Un buon esempio di vita, di comportamento, ha il potere di risvegliare quella positività che sicuramente risiede da qualche parte nella mente di ogni persona.

Il mio amico è stato per me, senza saperlo, un modello di vita. Sotto quegli abiti trasandati e quell’aspetto fisico così buffo si celava una personalità estremamente coerente e sincera, una di quelle capaci di incrinare in un attimo le presunzioni e la superbia tipiche del pensare umano, trasmettendo al tempo stesso una spinta vitale verso la ricerca di una verità più autentica.

Il mio antico compagno di viaggi si chiama Socrate.
Ricordo le intense passeggiate attraverso le calde e accoglienti strade di Atene, nonché le nostre conversazioni basate non tanto sulle certezze quanto sui dubbi. Rievoco con grande entusiasmo i suoi interrogativi all’apparenza scontati, ma terribilmente profondi una volta valicata la barriera del preconcetto e della presunzione.

Al crepuscolo tornavo a casa tremolante come un bambino che abbia appena sognato un mostro inquietante, ma ero pieno di stupore. Tutti i quesiti che Socrate mi poneva e poneva a se stesso mi mandavano in crisi. Cercavo di rispondere ad essi facendo ricorso alla mia razionalità, solo che mentre lo facevo sentivo crescere dentro di me l’angoscia e l’insicurezza. A volte ero costretto ad interrompere le mie spiegazioni poiché rimanevo senza parole.


Rimembro un certo episodio in particolare. Il mio caro amico mi chiese che cosa fosse per me la paura.
La domanda era facile ed io fornii una risposta del tutto convincente:
“La paura è una qualità dei deboli, tipica di chi teme le cose della vita”.
“Quindi sostieni che la paura riguarda la vita, caro Luca”.
“Certo”, dissi io.

Socrate mi domandò a quel punto se io avessi mai provato paura nella mia vita ed io naturalmente gli risposi di no.
“E per quanto riguarda la morte?”, tuonò Socrate.

Non capivo perché ora cercasse di spostare il fulcro del discorso su un argomento tanto scabroso. Non gradivo la piega che stava prendendo la conversazione e così tentai di fare un passo indietro:
“La vita è gioia e la morte è dolore. Preferisco pensare alla prima piuttosto che alla seconda”.
“Perché non vuoi pensare alla morte, caro Luca?”.

Le sue insistenti domande sul tema della fine della vita iniziavano ad indispormi. Dove voleva arrivare? Voleva forse destabilizzarmi, indebolirmi, arrecarmi sofferenza? Eppure fino a quel momento mi era parso un uomo di buon cuore.

“Luca, io non conosco la morte essendo ora vivo. Tuttavia, perché dovrebbe spaventarmi ciò che non conosco?”.
“Ma io non ho paura della morte, Socrate, però non ci voglio pensare”.
“Luca caro, non hai affermato poc’anzi che i deboli temono le cose della vita e che tu non hai mai avuto paura?”.
“Se la vita conduce alla morte potremmo legittimamente supporre che le due cose siano parte di uno stesso progetto”.

Socrate stava traendo conclusioni a mio parere irragionevoli, ciò nondimeno ero del tutto incapace di confutare le sue scomode deduzioni.

“Luca, la fine della vita non è forse parte della vita stessa?”.

Basta, non ne potevo più delle sue continue domande. Inventai una scusa per poter tornare a casa. Volevo rimanere solo e scacciare dalla mia mente quei pensieri negativi.
Ricordo che durante la breve camminata verso casa pensai per qualche istante di non voler più rivedere Socrate. Forse mi ero sbagliato sul suo conto, evidentemente non era quella persona buona e amichevole che avevo creduto essere nei primi momenti della nostra frequentazione. Se ora stavo male era per colpa sua.

Passarono due giorni nei quali non feci altro che pensare alle ultime parole del mio amico. Trascorsi quel tempo in solitudine poiché la presenza di altre persone mi arrecava turbamento. Vedevo Socrate in ogni altro individuo che mi si presentava davanti.


Il terzo giorno cominciai inspiegabilmente a stare meglio e il ricordo degli interrogativi del mio compare mi indisponeva di meno. Il quarto giorno capii che la mia era effettivamente paura, la stessa paura che andavo criticando nelle persone deboli. Ma di cosa avevo paura?

La mia domanda trovò risposta il quinto giorno: non era la certezza della morte a spaventarmi, bensì l’idea che di essa mi ero fatto. Accidenti, aveva ragione Socrate anche questa volta: avere timore di un fenomeno sconosciuto è insensato. La paura della fine aveva ingabbiato il mio spirito impedendogli di comunicare con la mia coscienza, ma ora mi sentivo libero e volevo godere di tale sensazione fino in fondo.

Il sesto giorno feci un ulteriore piccolo passo verso la consapevolezza: accettai l’idea che ogni fatto sconosciuto merita di essere approfondito. Le domande del mio compagno di passeggiate non erano dunque finalizzate a ferirmi, tutt’altro! Egli voleva semplicemente conoscere e capire meglio un fenomeno apparentemente così lontano dalla quotidianità: la morte.

Per farlo c’era un solo modo: partire dalla paura di essa.

Il settimo giorno ebbi l’impressione che fossero trascorsi decenni da quando tornavo a casa inquieto ed impaurito qualche sera addietro. Nel frattempo era come se fossi morto e poi rinato mantenendo il ricordo della mia vita precedente. Sperimentai l’impulso incontenibile di andare a cercare nuovamente il mio vecchio e straordinario amico. Mi sentivo tranquillo e sollevato, forse addirittura felice. La mia intenzione non era più quella di fornire risposte ai suoi antichi quesiti, anzi io stesso avevo ora tantissime domande da condividere con lui.

Socrate, senza saperlo, mi aveva appena regalato un grandissimo esempio di vita. Con le sue insistenti domande, con il suo non dare mai niente per scontato, era riuscito ad influenzare positivamente il mio modo di pensare e di affrontare le cose. Ora sapevo di non sapere, proprio come affermava lui stesso di tanto in tanto. Ora non viaggiavo più inseguendo risposte accomodanti, bensì in cerca di nuove domande. Perché ogni nuovo interrogativo è una vita che rinasce dalle proprie ceneri per proseguire quel misterioso cammino che è l’esistenza.

Grazie Socrate.

 
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Ringrazio Silvia per avermi invogliato a scrivere questo articolo attraverso la sua iniziativa denominata #liabbiamoaiutaticosì. Cliccando sul link potrete leggere altre storie interessanti e partecipare voi stessi al progetto.

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