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Questa mattina quasi tutti i giornali italiani parlavano di una bambina costretta fuori dalla propria classe per il solo fatto di essere stata in vacanza in Uganda ("Hai l'Ebola!"), Bruno Vespa ha fatto una puntata di Porta a Porta in cui un salotto di incompetenti ha commentato l'ultima moda in fatto di dispositivi di protezione individuale contro le febbri emorragiche e la caposala del pronto soccorso del mio ospedale a Milano (ciao Manu!) mi ha chiesto che disinfettanti andrebbero usati in una situazione come questa.Ma io voglio raccontare un'altra storia.
Anche stamattina la sirena che annuncia l'inizio della giornata lavorativa mi ha ricordato che era ora di scostare la zanzariera e alzarsi dal letto e, dopo una lunga mattinata in reparto e un piatto di riso e fagioli (il pranzo del giovedì, in questo alienante e periodico alternarsi di piatti è uno dei momenti peggiori), mi sono rinchiuso nel piccolo stanzino della radiologia dove faccio ecocardiogrammi a chiunque si infili dentro la porta con una richiesta congrua.
Prima delle 16.30 sono riuscito a smaltire la fila (line, come la chiamano qui), ho messo un pó di musica e mi sono seduto al computer a fare un po' di lavoro burocratico.Dopo quasi un'ora bussa alla porta tale Patrick L., un signore di una cinquantina d'anni con una maglietta arancione di qualche campagna di raccolta fondi per la lotta all'AIDS. Deve fare l'esame, ma non è stato chiamato. L'infermiere alla reception - mi spiega - lo ha indirizzato all'ambulatorio sbagliato. Ha aspettato lì fuori per ore in questo pomeriggio greve di un'umidità assurda e ora teme di non essere più in tempo.
- Devo tornare domani?
- No, prego, si accomodi, mi spiace per il ritardo, non sapevo stesse aspettando!
- Non si preoccupi, grazie!
- Allora, come mai le anno chiesto di fare questo esame?
- Ho la pressione alta e allora sono preoccupato per il mio cuore
- Dai, adesso diamo un'occhiata. Sa per caso di essere diabetico?
- Non ho idea, non avevo mai avuto problemi di salute prima
- Fuma?
- No
- Bravo
Zzzzzzzzzzzz (gli ecografi, qui, fanno parecchio rumore)
- Perfetto, il suo cuore è completamente normale
- Davvero?
- Davvero, non si vedono nemmeno i primi segni dell'ipertensione, a volte il cuore si ispessisce un po', ma il suo è perfettamente normale. Vuol dire che siamo arrivati in tempo!
- Grazie dottore, mi ha rassicurato tantissimo. Pensavo dovessi morire da un momento all'altro
- Ma no, si figuri, va tutto bene!
- Allora posso sospendere le pastiglie?
E così, dopo settimane intere passate a visitare anziane signore vestite con colori sgargianti che ti guardano come se fossi un fantasma incapaci di comprendere persino il linguaggio dei gesti e bambini spaventati quanto me davanti alle loro valvole distrutte dalla malattia reumatica, un frammento di normalità. Limpido, improvviso.
Con questo Patrick ci parlo quasi mezz'ora: degli effetti della pressione alta sulle arterie di tutto l'organismo, della necessità di proseguire la terapia perché sono proprio quelle pastiglie a tenere sotto controllo i valori di sistolica, del fatto che, si, i calcio antagonisti gonfiano le gambe e fanno venire le palpitazioni e che forse, nel suo caso, è meglio passare all'ACE-inibitore.
E mentre parlo per lui, raccontandogli cosa deve e non deve fare, mi accordo di parlare anche per me.
Se ne va contento, lo capisco dal suo "God bless you", il saluto che i pazienti più devoti mi dedicano uscendo dalla porta. Ma mai quanto me, di aver ritrovato casa in questi discorsi che nei nostri ospedali si colgono continuamente, a frammenti intercambiabili, ogni volta che si gira un angolo.
Con un click il generatore mi avvisa che per oggi ha fatto il suo dovere e che se voglio restare qui devo farlo al buio. Il tempo quaggiù, più che dalle lancette del mio orologio giallo, adorato dai bambini ugandesi, viene scandito da suoni e rumori a cui mi sto abituando. Dalla chiesa di fronte cominciano a sentirsi i canti del coro dell'ospedale. E' ora di tornare a casa.
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