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Creato il 19 aprile 2012 da Albertogallo

DIAZ (Italia 2012)

locandina diaz

Può un film essere brutto e allo stesso tempo necessario? Può un film non avere nulla da dire dal punto di vista estetico ed essere comunque importante? Sì, se la materia prima, la storia (o la Storia) che ne sta alla base, è potente, tragica e attuale al punto giusto. Sì, se può contribuire al mantenimento della memoria collettiva e dell’indignazione e se riesce a creare o portare avanti un dibattito intorno a temi di grande rilevanza.
Come nel caso in questione.

Non parlerò, in queste righe, dei tragici giorni del G8 di Genova: l’hanno già fatto in molti, in troppi, e d’altronde, io, in quell’estate del 2001 ero a migliaia di chilometri di distanza – sebbene mi ricordi tutto come se fosse ieri. Mi limiterò a giudicare Diaz (il cui titolo fa riferimento alla scuola in cui, per molte ore, il nostro Paese si trasformò nella peggiore delle dittature sudamericane) da un punto di vista cinematografico.

E le notizie, purtroppo, non sono affatto buone: questo di Daniele Vicari (già autore del pessimo Il passato è una terra straniera) è un film goffo, povero, sconnesso, poco documentato, recitato da cani, diretto coi piedi e chi più ne ha più ne metta. Si inizia malissimo con una bottiglietta di vetro tristemente computerizzata che vola al rallentatore per dieci interminabili secondi (leitmotiv visivo di raro squallore che torna varie volte nel corso del film) e si continua ancora peggio con una serie di scenette da recita scolastica ai limiti del ridicolo.
Poi, con l’irruzione della polizia nelle aule e nei corridoi della scuola, adibita a dormitorio e sala stampa, arriva la violenza. E non si può dire che in questi frangenti il film non sia efficace, ma la verità è che – come capita coi film sul nazismo, con cui Diaz ha non poche cose in comune – l’impresa sarebbe stata piuttosto riuscire non commuovere e a non coinvolgere emotivamente illustrando simili situazioni. Anche in questo caso, comunque, l’impressione è che il film non sappia bene dove andare, con chi prendersela, su chi concentrarsi. Forse l’obiettivo era quello di girare una pellicola corale, ma il risultato è soltanto un’accozzaglia di personaggi e situazioni che, per quanto oggettivamente sconvolgenti, rimangono decisamente in superficie: se un marziano (o, più semplicemente, una persona molto ignorante) arrivasse al cinema senza sapere nulla sui fatti del G8 genovese, potrebbe quasi pensare che si tratti di una storia completamente inventata, mancando quasi del tutto nomi, date, luoghi, orari e tutto ciò che avrebbe potuto contribuire all’approfondimento giornalistico o, meglio, storico degli avvenimenti. Avete presente Bloody sunday di Paul Greengrass? O i film italiani di denuncia degli anni Settanta? O, per rimanere sul recente, Romanzo di una strage? Ecco, tutto il contrario. Raddrizzano parzialmente la situazione le (velocissime) scritte finali, che ci informano del fatto che, gira e rigira, nessuno ha davvero pagato per il disastro di quei giorni.

Uno dei rari casi di film brutto che sono contento di aver visto, sebbene sia un peccato che un evento storico così importante e drammatico non abbia (ancora) dato vita a una vera opera d’arte.

Alberto Gallo



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