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Dichiarazione di “non voto”

Creato il 26 novembre 2012 da Albertocapece

Dichiarazione di “non voto”Anna Lombroso per il Simplicissimus

Stremata dallo sterile esercizio di rispondere alla rituale chiamata al voto “contro” anziché “per”, contro Renzi, contro Bersani, contro Grillo, mentre non era previsto l’unico voto “contro”, cui mi sarei piegata, quello contro questo governo, i suoi mandanti e la sua ideologia di riferimento, ampiamente rappresentata invece e appoggiata esplicitamente da tutti i candidati, ieri mi sono sottratta alla liturgia domenicale, domestica e consolatoria come l’andar per funghi in queste giornate autunnali, senza fare troppa attenzione se siano o no commestibili.

Sono difficile. Non mi conforta la menzogna convenzionale secondo la quale un popolo si riscatta dal disincanto della democrazia facendo una fila ordinata in una incantevole simulazione, occasionale ed estemporanea,  quando invece il ritratto elettorale è più probabile sia quello siciliano.

Sono snob. I partiti non si sono dissolti: pur avendo rinunciato al loro ruolo parlamentare, salvo  nella difesa di privilegi e rendite castali, conservano la loro funzione nelle competizioni elettorali, dove si esalta sempre di più la volontà di coagulare il consenso al servizio di figure-leader. È smentita la convinzione – da Aristotele a Giucciardini, da Harrington a Montesquieu – che è serpeggiata per secoli e che sosteneva la natura “aristocratica” delle elezioni, per denotare la mancanza di somiglianza tra elettori e eletti, differenti dai cittadini in quanto “superiori”. Convinzione largamente superata e vorrei ben vedere, ma ormai il bacino nel quale si muove il ceto politico e nel quale viene operata la selezione del personale ha dimostrato una specificità, ma nel rappresentare se non il peggio, certamente una penosa mediocrità, quella dell’interesse personale che ha il sopravvento su quello generale, di una indole alla delega e alle dimissioni dalla responsabilità, decretando il successo pare imperituro dei sedicenti tecnici, di una abdicazione dalla vocazione di rappresentanza delle istanze dei lavoratori, penalizzati dall’ideologia del mercato.

Sono di sinistra. Continuo come molti a credere che se sono morte le ideologie del secolo breve non vuol dire che lo siano le idee, e che l’azione politica si debba muovere guardando a irrinunciabili stelle polari, quelle dell’uguaglianza, della solidarietà, della libertà, della laicità, della legalità. Che non si debba a nessun costo abbandonarle o sottometterle, né alla necessità, né all’ineluttabilità del pragmatismo, che addomestica la volontà di darsi un’alternativa. Né tantomeno al consolidamento di formazioni e alleanze artificiali in modo da appagare un progetto moderato, una indole al compromesso che ha segnato il fallimento del partito liquido di Veltroni come, oggi, della candidatura di Vendola, cui è bene ricordare che quei voti che non sa ancora su chi spostare non sono “suoi” oltre ad essere pochi, e forse ne verrà rivendicata la proprietà da chi vorrà reclamare l’appartenenza alla sinistra.

Sono moralista. Proprio come scriveva ieri Marco Revelli, se quella carta d’intenti vuole essere qualcosa di più del contratto con gli italiani di Berlusconi, significa che è un impegno che va mantenuto nelle urne, quelle vere, ben oltre questo fantasioso spot di propaganda, questa pubblicità progresso della democrazia, così coerente con la mutazione in mediocrazia che si addice anche ai primari nelle studio di X Factor come a un governo presenzialista e annunciatore, come ieri la Cancellieri dal giallista Lucarelli, o Monti da Fazio. E allora la sottoscrizione di quel documento  significa che poi, se non si è affetti da un cinico disincanto, si va a votare per una coalizione con Casini, per una formazione sgangherata che ritiene Monti una risorsa, Fornero desiderabile, Passera irrinunciabile, Ichino un riferimento.

Sono pratica. Mi sono preoccupata di quello che mancava in quel programma, risorsa secondaria  peraltro rispetto ai primari, un programma contrassegnato dall’accontentarsi, ché sono tempi bui, di una legge per la corruzione al posto della legalità, di briciole per la ricostruzione al posto di una politica di tutela del territorio e di prevenzione delle catastrofi, di auspici in materia di convivenze al posto di un approccio laico per l’autodeterminazione e la difesa dei diritti universali. Ma ancora più mi preoccupa quello che c’è e che è una conferma dell’adesione ufficiale a una politica di governo e a una ideologia che ha usato la cancellazione dell’articolo 18 come grimaldello per rubare garanzie e diritti dei lavoratori e il pareggio di bilancio come bulldozer per smantellare, con la Costituzione,   la sovranità dello Stato e seppellire la democrazia già sospesa.

Sono incontentabile, non mi basta il meno peggio, anche se è un po’ meglio di Grillo, un po’ più decente di Berlusconi, un po’ più educato della Polverini. La democrazia o è o non è, è come la libertà, è come la ragione, è come la “sinistra”, è come l’amore, è come i diritti. O è o non è: non accontentiamocene di un pezzetto, di un boccone per toglierci la fame. Mettiamoci insieme, noi incontentabili, per rifarla.


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