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Didala Ghilarducci, LA DIDALA. Una donna in formazione

Da Paolorossi

Il tredici settembre 1943 mi hanno costretto a lasciare la mia casa e con un bimbo di pochi giorni sono andata in montagna per seguire mio marito Ciro Bertini, Chittò, condividendone per amore la scelta di aderire alla resistenza clandestina contro il nazifascismo.

Era nato da pochi giorni Riccardo, anzi Quinto Riccardo, Quinto come il padre di Chittò. Il due settembre 1943, la gioia di dare il primo figlio a Ciro era talmente grande che riuscii a sopportare i dolori delle doglie con grande forza, ero molto orgogliosa di diventare madre. Quello fu il giorno più felice della nostra vita di giovani sposi.

Poi il tredici settembre comiciarono i disagi e le sofferenze, anche se allora a me non parevano tali, ero con Chittò e in qualsiasi posto fossimo andava bene.

La formazione si spostava spesso in base alle azioni di disturbo che venivano progettate ed in base agli spostamenti delle truppe tedesche. Quasi mai i nostri accampamenti erano luogi adatti ad una puerpera e ad un neonato, ma la sorte sembrò sostenerci: né io né il bimbo ci ammalammo seriamente.

A volte scendevo in Pradale, a Pian di Conca, dove era sfollata mia suocera e mi fermavo per qualche giorno. Una mattina però fui presa dai tedeschi in un rastrellamento, mi avevano già messo in fila con il bimbo in collo. Per mia fortuna il commissario repubblichino fece in modo di farmi scappare ed io ritornai al campo. Da allora non mi allontanai più dalla formazione.

X Brigata Garibaldi, così si chiamava la nostra formazione, che più tardi prese il nome del comandante partigiano Tito, cioè Marcello Garosi, morto nella battaglia partigiana di Forno a Massa.

Eravamo in maggioranza tutti molto giovani, alcuni come Chittò avevano esperienza militare, altri avevano incontrato le armi proprio scegliendo la lotta partigiana. Poi c'era qualche adulto, antifascista della prima ora: erano operai, marittimi, commercianti, per lo più legati al partito comunista e quelli erano il nostro punto di riferimento politico.
A volte Chittò mi raccontava delle discussioni in seno al gruppo dei responsabili dei gruppi partigiani che operavano nella zona, altre volte mi parlava dei nostri comuni ideali: la libertà, la giustizia ed insieme sognavamo la nostra casa.

[...]

Noi viareggini facevamo un po' un gruppo a parte, ci spostavamo spesso anche per cercare il mangiare. Il nostro cuoco era Ermanno Biagini, il fratello di Sergio di "Tito del Molo". Per me e per il bimbo aveva sempre un occhio di riguardo. Ad esempio: se un po' di zucchero arrivava col lancio potevo star tranquilla che lo zucchero veniva lasciato per Riccardo, che da quando, per la paura di essere stata presa nel rastrellamento, mi era andato via il latte, veniva alimentato con le pappine.
Erano giorni tristi quelli, sempre con il fiato e la vita sospesi. Quando però la sera ci riunivamo, cercavamo di ricordare le bravate che facevamo quando non eravamo ancora in guerra e allora ci scappava sempre una risata.

[...]

Ho cercato sempre di sorridere e di essere quasi allegra. Solo quando, per maggior sicurezza, abbiamo dovuto affidare il nostro bimbo a mia sorella, allora si ho pianto, ma piangeva anche Chittò.
Poi la sua morte, insieme a Giancarlo Taddei, il ventotto agosto, per mano nazista, a una manciata di giorni dalla liberazione di Viareggio.
Lui no, non è sceso a valle, non ha rivisto il nostro molo. E' rimasto lassù con gli altri ragazzi, per quei sentieri che avevano percorso insieme in nome della libertà e dell'amore.

( Didala Ghilarducci, LA DIDALA. Una donna in formazione - Articolo pubblicato su "1944/2004 - 60 anni di libertà" rivista distribuita alle famiglie dall'Amministrazione del Comune di Viareggio nel 2004 )


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